venerdì 29 marzo 2013

PIC NIC DI PASQUETTA - PISSALADIERE

Una via di mezzo tra una crostata e un focaccia farcita è un piatto tipico pronvenzale, come tutte le cose tradizionali ne esistono mille versioni che prendono diverse sfumature a seconda della zona di provenienza. Questa ricetta è quella della mia bisnonna, cresciuta a Marsiglia. 

per la base: 250 g di farina - un cucchiaio di olio - dieci grammi di lievito di birra fresco - mezzo cucchiaino di sale - acqua
per il ripieno: un kg di cipolle bianche - dieci filetti di acciuga (vanno bene anche sott'olio) - dieci olive taggiasche - due cucchiai di olio evo - sale pepe

Preparare la pasta mescolando la farina con il sale, fare la fontana, aggiungere l'olio e mescolando unire il lievito fatto sciogliere in poca acqua tiepida e l'acqua necessaria per iniziare ad impastare. Quando gli ingredienti sono amalgamati impastare a piene mani sulla spianatoia finché la pasta non sarà morbida e liscia. Mettere in una grande ciotola e far lievitare per un paio d'ore coperto.
Pulire le cipolle affettarle sottili e farle appassire in padella con l'olio, tenendo la fiamma bassissima in modo che non si brucino e diventino traslucide. Bagnare con qualche cucchiaio di acqua e farle cuocere  per una ventina di minuti sempre a fiamma dolcissima. Nel caso l'acqua si riassorbisse aggiungerla fino a portare le cipolle a cottura.
Lavorare di nuovo la pasta e allargarla con le mani in una teglia rettangolare bene oliata, fare un cordone sul bordo. Unire le cipolle distribuendole bene su tutta la superficie. Mettere i filetti di acciuga in modo decorativo sopra le cipolle e completare con le olive. Cuocere in forno a 210 gradi per circa venti minuti. A fine cottura i bordi devono essere leggermente dorati e non troppo cotti.
per sei persone 

giovedì 28 marzo 2013

PIC NIC DI PASQUETTA - INSALATA DI ORZO E FAVE


Se il tempo ci assisterà , riusciremo a fare il nostro pic nic fuori porta. magari con queste Fave e Orzo, un delizioso abbinamento per una fresca insalata che tiene bene il tempo del trasporto. 

250 g di orzo - 500 fave fresche sgranate (vanno bene anche congelate) - 50 g ricotta salata - mezza cipolla - una carota - una costa di sedano - un cucchiaio di aceto di vino rosso - un cucchiaino abbondante di senape di Digione - sale pepe olio 

Soffriggere la cipolla tritata, il sedano e al carota tagliati a dadini in due cucchiai di olio. Unire un litro di acqua aggiungere l'orzo e bollire fino a cottura. Mettere l'orzo in una grande ciotola, condire con olio a piacere e far raffreddare l'orzo, unire le fave. Mescolare l'aceto, la senape e il sale pepe. Condire l'orzo, grattugiare la ricotta e servire. Nel caso del pic nic tenere in frigo fino al momento di metterlo in un contenitore ermetico. 

mercoledì 27 marzo 2013

PIC NIC DI PASQUETTA - POLPETTINE ALLE DUE SALSE


Le polpettine sono un gustoso modo di portare nel cestino un pranzetto coi fiocchi. Queste sono tradizionali, fatele grosse come una noce e in un boccone avrete il paradiso. Le salsine sono un'idea, potete variarle o crearle a vostro piacimento. 

Per le polpette:

800 gr di carne macinata mista (a scelta o insieme tra vitello, manzo, maiale, pollo) – sei fette di pancarré ammollate nel latte freddo e strizzate – due uova – uno spicchio d’aglio tritato (opzionale) – mezza cipolla stufata in padella con poco olio e due cucchiai di acqua - 4 cucchiai di parmigiano - sale pepe

Unire il pancarré alla carne, condire con aglio, la cipolla, il parmigiano, le uova, sale e pepe. Impastare bene prima con la forchetta e poi a piene mani. Far riposare in frigo per un’ora. Formare delle palline grandi come una noce, appiattirle leggermente con il palmo della mano prima di friggerle in olio caldo.

Per le salse:

Pesto: frullare un mazzetto di mentuccia con 4 cucchiai di parmigiano, 40 gr di pinoli 1 spicchio d’aglio, e un bicchiere di olio.

Rafano: Amalgamare un vasetto di rafano grattugiato con 300 gr di yogurt greco, quattro cucchiai di maionese, un cucchiaio di aceto, mezzo cucchiaino di zucchero, sale. 

martedì 26 marzo 2013

IL PIC NIC DI PASQUETTA - PLUM CAKE FORMAGGIO DI CAPRA E POMODORI SECCHI

Il pic nic fuori porta, un grande classico della Pasquetta italiana. Si portano le torte, fave e salame o pecorino, dipende dalle regioni, la pasta in teglia, il dolce che può essere mangiato con le mani. Sono anni che a Pasquetta piove, speriamo che quest'anno ci faccia la grazia e ci lasci mangiare in santa pace all'aria aperta in riva al mare, in mezzo ad un prato, davanti ad un lago o ad una montagna... se la neve si sarà sciolta. 


200 gr di farina – tre uova – 100 ml olio evo – 100 ml di latte – 100 gr di caprino fresco – un crottin (caprino stagionato, peso circa 100 g) – dieci pomodori secchi ammollati in acqua tiepida per alcune ore – 10  foglie di basilico o mentuccia - 50 g di mandorle con la buccia tostate e tritate - una bustina lievito per torte salate – una grattata di noce moscata –  sale e pepe

Sbattere con una frusta il latte con il caprino fresco, aggingere uova, olio, la noce moscata, sale e pepe. Amalgamare bene. Unire la farina setacciata col lievito poi i pomodori tagliati a striscioline, il crottin sbriciolato, le mandorle e il basilico spezzettato. Versare in uno stampo da plum-cake rivestito di carta forno. Infornare a 180 gradi per 35/40 min. 
per sei persone

sabato 23 marzo 2013

PASQUA VEGETARIANA - SGOMBRO CON PISELLI E ASPARAGI

E' la stagione dello sgombro, pesce azzurro economico e sopraffino, e perché non usarlo per arricchire il nostro pranzo di Pasqua? Spesso si tende a trascurare questi pesci per specie apparentemente più pregiate, direi che invece è necessario riprenderne l'uso e diffornderlo. Il ritorno alla sobrietà e alla semplicità in questi anni è, secondo me, essenziale anche in cucina. 
Gli sgombri sono deliziosi icucinati in ogni maniera, ma così, in un piatto della tradizione ligure, con la mia personale aggiunta degli asparagi e menta, sono semplicemente deliziosi. Inoltre è anche la stagione di piselli e asparagi, in un colpo solo si cucina un piatto, per dirla con Slowfood, buono, pulito e giusto. 

un chilo di sgombri - 750 g di piselli freschi - 250 di punte di asparagi - 60 ml di olio evo - mezzo bicchiere di vino bianco secco - tre cucchiai colmi di prezzemolo tritato - un cucchiaio di menta tritata - uno spicchio d'aglio - un cipolla - sale pepe

Pulire, o far pulire dal pescivendolo, i pesci togliendo teste ed interiora. In una casseruola di terracotta far soffriggere la cipolla, l'aglio e unire gli sgombri, farli rosolare. Salare, pepare e bagnare con il vino. Sfumare e togliere gli sgombri, tenerli da parte. Unire i piselli sgranati e coprire appena con acqua calda. Cuocere per una decina di minuti, quindi unire gli asparagi e continuare la cottura, altri cinque minuti circa. Aggiungere prezzemolo, mentuccia e gli sgombri tenuti da parte. Continuare la cottura per altri dieci minuti. Servire subito, accompagnato da patate bollite come contorno.
per quattro persone 

venerdì 22 marzo 2013

PASQUA VEGETARIANA - TAGLIOLINI FAVE E CIPOLLOTTI

Un primo piatto leggero e saporito che usa i prodotti di stagione. Adoro le fave, mi piacciono soprattutto con Pecorino o Salame, ma anche in minestra o crema, in quelle creme tipiche del Sud appetitose e sane. 

600 g di tagliolini freschi - 1 kg di fave - un mazzo di cipollotti - uno spicchio d'aglio - 50 ml di olio - 125 ml brodo di verdure molto leggero- un mazzetto picolissimo di menta

Sgusciare le fave, in quelle più grosse togliere anche la pelle intorno al seme (basta incidere una delle estremità con un coltellino e spingere fuori la fava). In una grande casseruola far scaldare l'olio, unire i cipollotti affettati compresa la parte verde e l'aglio, far cuocere qualche instante, finché non sono morbidi. Eliminare l'aglio e aggiungere le fave. Saltare un minuto o due e unire il brodo, cuocere finché il sughetto non abbia raggiunto una consistenza sciropposa. Aggiungere metà della menta tritata, mescolare bene. Cuocere i tagliolini al dente, scolarli senza eliminare troppa acqua e metterli in una grande ciotola. Unire il sughetto e mescolare bene, spolverare con il resto della menta. Servire.
per otto persone

mercoledì 20 marzo 2013

PASQUA VEGETARIANA - NIDI DI AGRETTI (BARBA DI FRATE) CON UOVA DI QUAGLIA

Una ricetta facile, saporita e scenografica. Si può servire sullo stesso piatto dell'antipasto presentato ieri giocando con gli ingredienti, oppure da solo. 

500 g di agretti o barba di frate - quattro uova di quaglia - un cucchiaio di capperi - cinque acciughe dissalate - uno spicchio d'aglio - tre cucchiai di olio evo  - sale pepe

Cuocere le uova di quaglia per quattro minuti dall'ebollizione, sgusciarle e tenerle da parte (devono essere tiepide per la presentazione in tavola). Tagliare la radice degli agretti, lavarli accuratamente sotto l'acqua corrente e lasciarli immersi in acqua finché non saranno perfettamente puliti. Portare ad ebollizione abbondante acqua salata, cuocere gli agretti per cinque minuti. Scolarli e con le mani stringerli per togliere il grosso dell'acqua. Tritare le acciughe e i capperi insieme. In una padella scaldare l'olio e l'aglio, farlo soffriggere finché non è dorato dai due lati, eliminarlo. Aggiungere le acciughe e i capperi tritati, lasciar insaporire un istante, quindi unire gli agretti, lasciar insaporire per un paio di minuti. Su un piatto di servizio o, meglio, su un cucchiaio di presentazione, mettere arrotolare un cucchiaio di agretti e nel mezzo disporre mezzo uovo di quaglia. Servire.
per otto persone 

P.S. I cucchiai di presentazione sono quelli che hanno la base piatta, stanno in piedi da soli e servono un boccone unico di cibo. Si trovano nei negozi di forniture per ristoranti, nei negozi orientali (cucchiai da zuppa cinesi, bellissimi), e nei casalinghi più forniti. Se volete potete anche usare un piccolo piattino, per esempio quelli del caffé, l'importante che ci sia il "nido" con l'uovo in mezzo per "fare" Pasqua.
P.P.S. Se volete cuocere le uova prima potete poi scaldarle per qualche minuto dentro ad una ciotola piena di acqua molto calda, avendo poi cura di asciugarle con uno Scottex, prima di tagliarle.

martedì 19 marzo 2013

PASQUA VEGETARIANA - SCODELLINE DI UOVA E ASPARAGI

Una Pasqua tutta vegetariana, dall'antipasto al dolce. Questa volta saranno protagonisti i Vegetariani meno stretti, coloro i quali mangiano uova e pesce, poi ci sarà quella dei vegetariani senza pesce, magari prossimamente ci sarà quella Vegana, ma non garantisco, perché le ricette Vegane, lo ammetto, mi annoiano un po', perdonatemi. Magari cambio idea. 

otto asparagi verdi - 100 g di piselli freschi - otto uova piccole - quattro cucchiai di robiola - cinque cucchiai di panna - otto cucchiaini di queso Manchego o Pecorino da tavola - sale pepe - qualche bacca di pepe rosa

Lavare e pulire gli asparagi, cuocerli cinque minuti nell'acqua calda salata. Sgranare i piselli, scottarli due minuti nell'acqua bollente. Tagliare a pezzettini gli asparagi. Dividere gli asparagi in otto ramequins o scodelline che vadano in forno, rompere un uovo in ognuno, suddividere i piselli, salare e pepare. Mescolare la panna con la robiola, suddividerla nei contenitori, spolverare con il formaggio Manchego o Pecorino. Passare in forno a 150 gradi per una otto minuti, anche meno se si desiderano le uova un po' meno cotte. Decorare con il pepe rosa e servire.
per otto persone 

venerdì 15 marzo 2013

RICETTE RIVOLUZIONARIE - STEAK TARTARE CON POMODORI SECCHI PENSANDO A ROBESPIERRE

La Steak Tartare è un grande classico dei Bistrot francesi, che hanno avuto origine subito dopo la Rivoluzione. I cuochi della grande nobiltà si erano trovati disoccupati per carenza di padroni causa taglio teste, non sapendo come sfruttare le loro capacità avevano deciso di aprire dei locali dove si poteva mangiare. Non erano le stazioni di posta o le locande dove si mangiava e dormiva, ma luoghi d'incontro dove mangiare e chiacchierare in compagnia. In una storia che si perde tra realtà e leggenda erano nati i primi Restaurants e Bistrot parigini di una lunghissima serie. Un'idea di successo, senza alcun dubbio. Qui la diamo in versione un po' più moderna. 

mezzo chilo di carne trita battuta a coltello - un uovo - tre cucchiai di succo di olio- due cucchiai di senape di Dijon - un cucchiaio di succo di limone - cinque pomodori secchi lasciati in ammollo per un paio d'ore in acqua fredda - un cucchiaio e mezzo di capperi tritati - mezza cipolla tritata - due cucchiai di prezzemolo tritato fine - un cucchiaio di basilico tritato fine - foglie di lattuga - baguette fresca o patate fritte per servire

Tagliare i pomodori a piccoli dadini. In una grande ciotola porre la carne e l'uovo, unire il succo di limone, la senape, i pomodori secchi, i capperi, il prezzemolo il basilico e l'olio. Mescolare bene con un cucchiaio. Dividere la carne e disporla nei piatti decorati con le foglie di lattuga. Servire subito con la baguette e/o con le patate fritte.
per quattro persone 

mercoledì 13 marzo 2013

RICETTE RIVOLUZIONARIE - BLINIS CON PROSCIUTTO AFFUMICATO E PANNA AL RAFANO PENSANDO A LENIN

Riprendiamo le ricette ispirate ai rivoluzionari di ogni secolo. Oggi ci ispiriamo alla Russia e alla sua Rivoluzione d'Ottobre. I blinis sono una pietanza molto russa, dove tradizionalmente venivano serviti con panna acida e aringhe, e di solito si trovano nei menu dei ristoranti di tutto il mondo abbinati col caviale o il salmone affumicato. Qui invece li propongo in una versione più proletaria, sostiuendo il nobile pesce e le nobili uova con un prosciutto cotto affumicato. Per questo antipasto diciamo che, siccome l'ispiratore della Rivoluzione d'Ottobre era un pensatore tedesco, residente a Londra, Karl Marx, mi sono presa la libertà di unire il cren o rafano, ingrediente tipicamente tedesco, e il prosciutto di York, ingrediente molto, molto inglese. Un po' tirata per i capelli? Massì, dai, non è divertente?

per i blinis: 250 di farina di grano saraceno - 250 g di farina 00 - 400 ml di latte - due uova - 80 g di burro - una bustina di lievito di birra liofilizzato - 200 ml più tre cucchiai di acqua tiepida - due cucchiai di zucchero - mezzo cucchiaino di sale

per servire: 400 g di prosciutto di York (o Praga o affumicato) tagliato a coltello - 200 ml di panna - mezzo cucchiaio di rafano possibilmente grattugiato fresco - qualche grano di pepe rosa - sale

Setacciare le due farine insieme al sale dentro ad una grande ciotola. In un contenitore di ceramica mescolare insieme il lievito, i tre cucchiai acqua, metà zucchero e 60 g del composto di farine. Mescolare bene, coprire con la pellicola e lasciar riposare per mezz'ora fino che non si formino delle bolle. Sbattere 250 ml di latte, le uova, il burro sciolto e il resto dell'acqua e dello zucchero, unire il lievito preparato. Aggiungere al resto della farina, mescolare fino ad ottenere un composto piuttosto denso e corposo. Coprire con pellicola e far lievitare per mezz'ora o finché non ha raddoppiato di volume. Intiepidire il latte rimanente ed unirlo alla pasta lievitata mescolando bene. Scaldare una grande padella dal fondo spesso, ungere bene con carta assorbente imbevuta di olio neutro (semi di arachide ad esempio), versare un grosso cucchiaio di composto lievitato, appiattirlo col dorso del cucchiaio (la frittellina deve avere il diametro di 6/8 cm), cuocere finché non si formano delle piccole bolle sulla superficie, girare la frittella, e terminare la cottura. Si possono cucocere più frittelle insieme senza "affollare" troppo la padella però. Tenere al caldo mentre si completano le frittelle su un piatto tiepido coperto con carta d'alluminio.
Per servire: mescolare poco sale e il rafano con la panna. Su una frittella appena tiepida mettere un cucchiaio di panna, sovrapporre pezzetti di prosciutto e decorare con il pepe rosa. Servire.
per sei persone

martedì 12 marzo 2013

UNA MEZZA RIVOLUZIONE EQUATORIALE - SECONDA PARTE


Il mare di Curaçao
Il concerto dei Manà aveva dato inizio ad un periodo molto caldo. La rivoluzione era nell'aria, i viveri cominciavano a scarseggiare nei supermercati, no però, questo non è vero. I viveri, i generi di prima necessità come farina, zucchero, latte mancavano all'appello da un bel po' di tempo, era una cosa strana, mancava il necessario e il supermercato era rutilante di vini pregiati, cibo speciale, golosità inutili. Strano, strideva con l'idea che il potere fosse del popolo, quella inculcata dal Presidente. Il popolo aveva bisogno di latte e spesso, nel supermercato, non si trovava proprio il latte, quando lo trovavi ne facevi incetta, chiamavi le amiche "quanto te ne prendo?", anche se a te il latte non serviva. Era un principio, il latte è fondamentale e non si rinuncia a qualcosa di fondamentale. Quindi c'era solo la rivoluzione nell'aria, i generi di prima necessità già scarseggiavano da mesi.
Strano momento. Tutto doveva cominciare una domenica notte. Era stato annunciato, il passa parola aveva sfiorato le bocche dell'intera nazione, si era diffusa la notizia, dopo gli scontri di Caracas qualche giorno prima. Scontri tra l'altro neanche troppo cruenti, ma in effetti abbastanza rappresentativi di quello che poteva accadere. Nessuno era sicuro se sarebbe successo veramente. L'aria era carica d'attesa tesa e lineare, come tutti i momenti di stallo. Noi, insieme ad altri, avevamo passato l'intera giornata a casa di un amico, che viveva sulle alture di Valencia, una città collinosa e relativamente tranquilla a due ora da Caracas. Un appartamento dal cui terrazzo si godeva una vista mozzafiato sulla città, una città piena di verde punteggiato da funghi giganti, i grattacieli e i condomini venuti su veloci negli anni precedenti, una città nella quale la giungla riusciva ad avere l'ultima parola col cemento (nel blog "Incontro ravvicinato a Valencia" racconta cosa poteva succedere passeggiando da quelle parti). Ci sentivamo un po' privilegiati, isolati e tranquilli. Com'era naturale l'argomento preferito sin dall'aperitivo era stata la rivoluzione annunciata. Mentre bevevamo Mojito, sorseggiavamo vino bianco cileno e inghiottivamo Whisky con tanto, tanto ghiaccio, come usa in Venezuela, qualcuno aveva detto: "Ma come pensiamo di comportarci dovesse scoppiare il casino?", erano partite parole in libertà. Chi voleva scappare in barca verso Curaçao, magari pagando uno dei traghettatori che di solito portavano a spasso i turisti per i magnifici Cayos, le isole di sabbia bianchissima non lontane da Valencia. Curaçao in linea di mare è vicinissima al litorale venezuelano, ed essendo territorio Olandese all'epoca sembrava una buona via di fuga. Altri pensavano di accamparsi all'aeroporto, saltare sul primo aereo in partenza che avesse come destinazione il primo paese a caso. Altri parlavano di armarsi fino ai denti, controllare l'arsenale casalingo e trovare pistole, coltelli, sciabole, machete, forchette, forbici, qualsiasi cosa potesse essere utile per fare del male e, poi, chiudersi  in casa aspettando il nemico. Magari guatando la porta. Si discuteva di rivoluzione, vie di fuga, spari e bombe, come normalmente di si discute di vino, cibo, figli, amici, moda, politica, meteo con la leggerezza dovuta ai pranzi fra amici. Con nonchalance si parlava di ritirare quanti più soldi possibile dalle banche, si sproloquiava di viveri da accumulare, soprattutto scatolette, di farina da comprare, di cibo congelato per stivare il congelatore ed avere un po' di autonomia, giusto come si dice "la settimana prossima tutti a cena da me". Si facevano piani di fuga  verso la giungla colombiana, si però da quelle parti c'è la guerrilla, diceva qualcuno, rischi di finire dalla padella alla brace, magari ti rapiscono e resti prigioniero anni come la Bettancourt. Ecco si discuteva di queste cose come se fosse normale trovarsi in quella situazione, come se la rivoluzione fosse un pranzo di gala. Prima del dessert ci eravamo già organizzati il nostro piccolo esercito privato, fornito di degno arsenale, che si si sarebbe nascosto a casa di un amico che si trovava in un posto con alti muri e vigilanza armata; ci eravamo già auto traghettati, carichi di contanti, svariate volte tra Curaçao, Aruba e Bonnaire; eravamo volati con diversi aerei alla volta di Miami, San Paolo, Bogotà, Quito, Cuba, ah no Cuba no perché Fidel era il grande alleato di Chavez. Non erano partite telefonate agli amici e familiari che vivevano in una delle città sopraccitate giusto perché ci pareva brutto metterli in agitazione. Io pensavo a cosa potevo lasciarmi dietro senza rimpianti e cosa portami invece di fondamentale. Mi sarebbero manacate moltissimo le Arepas, sì, ecco, magari mi sarei portata dietro un chilo di Masa Harina giusto per non scordarmi il loro sapore. Certo, fossi sbarcata in Colombia non avrei avuto il problema, si mangiano anche da quelle parti, però lì c'era il problema dei rapimenti. Già. Verso sera tutti eravamo tornati a casa, per aspettare l'annunciato inizio della Rivoluzione. E puntuale, come solo le rivoluzioni annunciate sanno essere, era partita. Alle due di notte, perché una rivoluzione seria parte quando meno te l'aspetti, in un momento morto, soprattutto di notte, magari perché si spera di beccare l'esercito addormentato, chissà. Macchine che sfrecciavano lungo i viali, colpi di pistola, fucili tonanti, urla selvagge, qualche bomba moltov lanciata alla rinfusa, tutto il necessaire per una rivoluzione seria era stato dispiegato. Era iniziata così, semplice facile, indolore. Legittima conseguenza dei cazarolazos. Abbiamo guardato per un po' dalle finestre di casa nostra, situata al tredicesimo piano ed in posizione strategica. Non si vedeva niente, si sentiva solo il rumore. Dopo un po' ci siamo stufati. Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, non è nemmeno un momento da perderci il sonno allora. Avremmo visto il giorno dopo quale sarebbe stato il nostro destino. Forse era l'atmosfera, forse un paese così mite come il Venezuela non ci lasciava speranze per una vera rivoluzione di sangue, non eravamo particolarmente impauriti. La mattina dopo ci eravamo aspettati di vedere un po' di carriarmati dell'esercito girare per la città, però niente. Devo dire, avevo sognato di vedere movimento di militari, fucili, fuoco. Dalle piazze si alzavano colonne di fumo, erano gli pneumatici che bruciavano accanto alle barricate preparate dagli studenti. Si sentivano voci, qualche colpo e qualche scoppio (senz'altro molotov), ma niente che facesse veramente paura. Io sarei voluta uscire, sono pur sempre una giornalista e stare sul pezzo, come si dice in gergo, è un dovere che mi è rimasto attaccato dai tempi della redazione. Purtroppo avevo la proibizione di mettere il naso fuori di casa, ma scalpitavo, mi sarebbe tanto piaciuto vedere da dove proveniva il fumo che saliva in basso sulla sinistra, proprio sotto alla collina. Verso le dieci del mattino mi ha chiamata la mia amica "Che fai?" e io a spiegare che dovevo stare a casa. "Già, ma non puoi uscire a piedi, vero?", in effetti non era stato specificato, siccome non possedevo una macchina era ovvio che la proibizione fosse quella di non uscire... a piedi. "Ti vengo a prendere con la macchina", due minuti ed era sotto casa mia, siamo partite verso la sua, di casa, quella col terrazzo vista mozzafiato, e dall'alto ci siamo messe ad osservare. Fumo, movimento, eccitazione. Ci sentivamo un po' Nerone che guarda bruciare Roma, anche se pareva che Valencia non bruciasse abbastanza da decretare il disastro.  Dopo un po' chiedo alla mia amica "Ci facciamo un giro?", senz'altro sì, senz'altro, credo non aspettasse altro. Siamo andate a vedere la Rivoluzione. Tutte contente. Come se andassimo in gita. Siamo rimaste deluse, eravamo armate di macchian fotografica, registratori, quadernetti per appunti, non si sa mai che si riesca ad intervistare un rivoluzionario e a mandare il pezzo in Italia, di primissima mano. La giornalista nemmeno tanto sopita dentro di noi sembrava un puledro sbrigliato. Niente, abbiamo trovato gli ultimi pneumatici che bruciavano, nemmeno una pallida imitazione di  studente in giro, qualche poliziotto, qualche militare, ma nulla, alle undici era già tutto finito. Alle undici e dieci eravamo sedute al solito bar, un'arepa Reina Pepiada in una mano, un caffé lungo nell'altra, nel dehors, a guardare il via vai della gente. Come se non ci fosse stata nessuna rivoluzione degna di nota. 
Il giorno dopo sono riprese le proteste, un po' di scontri con la polizia. Niente di terribile, niente di devastante.  
Alla domenica è arrivata l'ora del Referendum, gli osservatori delle Nazioni Unite pronti a controllare la regolarità del voto, le urne aperte, la gente in fila, il mondo a guardare. Durante tutto il giorno i seggi brulicavano di gente, avanti indietro, dentro fuori, noi eravamo al nostro solito pranzo della domenica con amici. Tutti avevano votato. Ovviamente per il NO alla Reforma. Non vogliamo cambiare la costituzione Presidente, ripeteva il mio amico venezuelano fino al midollo, già un po' alticcio alle due e un quarto del pomeriggio. Alla sera, eravamo lì a bere Tequila Reposado, Birra, Vino, Mojito, sgranocchiando di tutto, era dalla mattina che sgranocchiavamo, in frigo c'era una bottiglia di Spumante, cileno, ovviamente, pronta per ogni evenienza. Parlavamo di tutto e di niente, aspettavamo un filo annebbiati dall'alcool (eufemismo, in Venezuela non si è mai un filo annebbiati dopo il pranzo della domenica), per non parlare della botta di calore di quel giorno salita all'improvviso e che ci aveva devastanti. Due dicembre, caldo, sudore copioso, alcool, votazioni, ci girava la testa. Mentre venivano diffusi i primi risultati, il nostro amico è andato in cucina, ha preso la bottiglia è arrivato e l'ha stappata sorridendo. Abbiamo saputo, più un "si mormora" che una cosa certa, che nello stesso istante Chavez ha tirato un pugno contro uno dei mobili del suo ufficio. C'è stato un boato soddisfatto in tutta la nazione e abbiamo bevuto alla salute del Presidente. Rimasto con un palmo di naso. 

(2-fine)

sabato 9 marzo 2013

RICETTE RIVOLUZIONARIE - MOUSSE DI MATE PENSANDO A CHE GUEVARA

Il Mate è la bevanda preferita di ogni argentino. Tutti, ma proprio tutti, succhiano con la cannuccia la bevanda amarognola che prende sapore dall'erba lasciata in infusione nella zucchetta tipica della tradizione. Ernesto "Che" Guevara, argentino, ha fatto tutta la campagna rivoluzionaria cubana portandosi dietro la Calabaza (zucchetta) e la bombilla (cannuccia) e, senz'altro, quando ha lasciato Cuba, in disaccordo con la politica di Castro, se l'è portata nella giungla peruviana. Questa mousse è pensata ricordando l'amore degli argentini per il Mate e Dulce de Leche. Senz'altro la apprezzerebbe anche Che Guevara.  

200 ml di acqua - quattro cucchiai di Yerba Mate - 14 g di gelatina in fogli - 200 g di meringa italiana (ricetta in basso) - 250 g di panna montata - 100 g di Dulce de Leche

Scaldare l'acqua e toglierla dal fuoco subito prima dell'ebollizione. Mettere in infusione la Yerba Mate per cinque/otto minuti. Filtrare con un passino finissimo. Unire la gelatina fatta precedente ammollare in acqua fredda. Mescolare bene e far raffreddare a temperatura ambiente. In una grande ciotola mettere il composto di Mate, unire un terzo della meringa italiana e amalgamare bene, quindi unire il resto mescolando con delicatezza dall'alto verso il basso. Quindi unire la panna montata, sempre mescolando dal basso verso l'alto per non farla smontare. Riempire per metà con la mousse le coppette di servizio, unire un paio di cucchiaini di Dulce de Leche e coprire col resto della mousse. Tenere in frigo almeno quattro ore prima di servire.
per quattro persone



MERINGA ITALIANA 


250 ml di acqua - 560 g di zucchero - 1 cucchiaio di sciroppo di mais o di glucosio - 3 albumi a temperatura ambiente 

Portare l'acqua ad ebollizione e unire 500 g di zucchero e lo sciroppo di mais o glucosio. Far bollire finché non raggiunge lo stadio di piccola bolla (un liquido denso) o i 105/110 gradi. Mentre lo sciroppo bolle montare gli albumi e quando sono schiumosi unire 60 g di zucchero e montare a neve molto ferma, quasi sul punto di seccarsi. Quando lo sciroppo è a temperatura versarlo a filo sul lato della ciotola delle uova continuando a montare finché lo sciroppo non è incorporato. Decorare la torta a piacere.

venerdì 8 marzo 2013

RICETTE RIVOLUZIONARIE - CARBONARA SOLIDA PENSANDO A MAZZINI

La Carbonara nasce prima e durante i moti rivoluzionari nel'Italia dominata dagli Austriaci. Pare che i protagonisti della Carboneria ne fossero ghiotti. Chissà se è vero, comunque nel blog trovate la ricetta degli Spaghetti alla Carbonara, qui in versione frittata. Non so come mai, ma nessuna di queste ricette rivoluzionarie è dietetica e leggera, sarà che per fare la rivoluzione sono necessari parecchie calorie. 

sei uova grandi - 150 g di pancetta o guanciale a dadini - 100 di pasta cotta, meglio se spaghetti (anche avanzata, se fatta in bianco però) - 30 g di pecorino grattugiato - sei foglioline di salvia - sale pepe

Cuocere gli spaghetti e scolarli al dente. Sbattere le uova insieme al pecorino e alla salvia tritata fine, salare e pepare a piacere. Mettere la pancetta in una padella cuocerla finché non è bella croccante. Unire un po' d'olio nel caso la pancetta non avesse rilasciato grasso a  sufficienza. Aggiungere la pasta e lasciare tostare un poco, poi versare il composto con le uova. Cuocere perfettamente da un lato prima di girare la frittata con un piatto inumidito con un po' d'acqua. Terminare la cottura senza prolungarla troppo a fuoco basso. Servire caldo o, meglio, tiepido.
per quattro persone 

giovedì 7 marzo 2013

RICETTE RIVOLUZIONARIE - RISO IN BIANCO PENSANDO A MAO

La rivoluzione non è un pranzo di gala, lo ha detto Mao. E che cosa si mangia durante una rivoluzione? Di solito chi fa una rivoluzione lo fa perché è oppresso o non ha cibo a sufficienza, i motivi sono nobili e diversi, e nessun rivoluzionario pensa a mangiare. O quasi. Che Guevara, durante le azioni guerrigliere per la conquista di Cuba, raramente lasciava passare un giorno senza bere il suo Mate come provano molte foto scattate nella foresta dove è ritratto con la Bombilla tra le labbra. Mao, durante la Grande Marcia per la Libertà, è arrivato a Pechino a forza di riso e the. I rivoluzionari russi, chissà, non ci è dato saperlo, ma senz'altro non sono stati a pancia vuota. Spesso, anzi quasi sempre a dire la verità,  i rivoluzionari si trasformano in dittatori crudeli, che imbadiscono banchetti sontuosi affamando il popolo. I corsi e ricorsi storici ce lo raccontano ancora oggi. Vediamo di inventare qualche ricetta rivoluzionaria, innocua e che ci faccia sorridere.

300 g di riso Vialone Nano - 150 g di burro freschissimo - 100 g di Parmigiano grattugiato - mezza cipolla - un mazzettino di prezzemolo - un cucchiaio di olio - sale grosso - pepe macinato fresco - acqua

Soffriggere la cipolla con un cucchiaio di olio, unire il riso far tostare e aggiungere due o tre mestoli d'acqua. Cuocere il risotto il tempo stabilito (di solito 16/18 minuti) unendo mestoli di acqua calda a mano a mano che la precedente è assorbita. A metà cottura salare a piacere col il sale grosso. Un minuto prima della fine della cottura, l'acqua non deve essersi completamente assorbita, spegnere il fuoco, unire il burro a dadini e il Parmigiano. Coprire con un coperchio lasciar riposare un minuto. Scoperchiare mescolare bene. Spolverare col prezzemolo tritato e il pepe macinato al momento. Servire.
per quattro persone







mercoledì 6 marzo 2013

IMPREVISTI STORICI

A volte capita, a volte capita di raccontare una storia. Una storia leggera, ma seria, una storia che racconta le vicissitudini di un paese, di come è viverlo, respirarlo, toccarlo e conoscerlo in determinati momenti storici. Di come ci si affezioni. A volte capita di raccontare una storia e questa storia è uno zic fuori sincronia col momento storico. A volte capita ed è capitato a questo blog, la storia lo ha toccato senza che lo sapesse. All'improvviso. Hugo Chavez è morto ieri, il racconto e il suo seguito, la prossima settimana, gli sono doverosamente dedicati, da una che ha vissuto ed apprezzato il suo paese e i suoi abitanti.

martedì 5 marzo 2013

UNA MEZZA RIVOLUZIONE EQUATORIALE

All'equatore le giornate hanno la stessa durata e, come dire, signora mia, non esistono le mezze stagioni. Anzi, non esistono le stagioni concepite come le nostre, inverno-primavera-estate-autunno, da quelle parti c'è un'unica, eterna, dolce estate. Piove un po' di più in certi periodi dell'anno, non piove affatto in altri. In alcuni paesi equatoriali piove sempre, come in quello che prende proprio il nome dal "parallelo latitudine zero", l'Ecuador. Oggi, però, non ci troviamo nel paese dove piove sempre, ma nel paese caraibico che vanta un Presidente simpaticamente socialista, che si autodefinisce Bolivariano, giusto uno zic fuori sincronia con la storia e che guarda a Fidel Castro come ad un fratello maggiore saggio. "Mi chiamo Chavez, Hugo Chavez", il suo atteggiamento è più o meno quello che userebbe James Bond per presentarsi, armato del fascino letale dell'uomo di potere, suadente, un po' adulto e un po' bambino, stringe il suo paese in una morsa d'acciaio di ordini e comando. Eletto Presidente con una maggioranza bulgara nel 1998 è stato eletto più volte ed è ancora in carica. Inutile qui fare un trattato politico sulle scelte di governo del Presidente venezuelano, non competono a questo racconto. Però, in fondo, ad un certo punto è stato anche il mio Presidente, benché non fossi cittadina venezuelana. Per circa un anno  ho vissuto in Venezuela, e mi sono trovata ad essere lì quando il Presidente ha deciso di mettere mano alla costituzione e cambiare un articolo che non gli permetteva di essere rieletto per l'ennesima volta. La Reforma poteva avvenire solo attraverso il Referendum che, controvoglia, El Presidente era stato costretto ad indire, visto che era a capo di un paese democratico. E' partita una campagna piuttosto infervorata, una campagna pro o contro l'abolizione di un particolare articolo della costituzione venezuelana. Un momento in cui lo scambio di opinioni si è fatto intenso e veemente. Un periodo che per una giornalista, seppur ex come me, aveva il sapore del vissuto, dell'essere al centro di un mondo dove si sta facendo la storia. Fantastico.
Il paese di una bellezza struggente, c'è una natura meravigliosa, un'aria di eterna allegria, e i venezuelani sono gente davvero ospitale, gentile e simpatica. In quel periodo c'era un'aria diversa, tesa come un vento di tramontana, gonfia di cambiamento come un maestrale. Si percepiva una sorta di tensione elettrica nell'aria, un certo fastidio per le voglie di potere del capo del governo. I venezuelani sono piusttosto miti e dediti al "vivi e lascia vivere", amano divertirsi e ogni occasione è buona per fare festa, con loro si balla, si mangia, si ride. Difficilmente si pensa ai venezuelani come ad un popolo esplosivo, se esplodono è per ballare un merengue, è per ridere con un amico, sono relativamente pacifici, nonostante il tasso di delinquenza nel paese sia piuttosto alto. Sempre pronti alla festa, quella della Reforma era una festa al contrario. E da bravi festaioli i venezuelani, un po' arrabbiati, organizzavano momenti di protesta: i cazarolazos. Moti di ribellione spontanea che nascevano dal passa parola, da una sorta di rete clandestina che stabiliva che, ad un dato momento, in un dato orario, tutti gli abitanti di una città, o addirittura di tutta la nazione, uscissero di casa, o si mettessero alla finestra, a dimostrare la loro indignazione percuotendo pentole, padelle, teglie. Aiutati da mestoli, cucchiai di legno, posate o qualsiasi oggetto col quale percuotere il pentolame. Il rumore era assordante, esaltante e divertente, sconcertante, una sorta di festa dell'arrabbiatura. Di solito questo capitava verso mezzanotte o l'una a sorpresa, e come era cominciato finiva. Di colpo. Ovviamente, la prima volta che è accaduto, nel cuore del nostro sonno più profondo, a noi è venuto un principio di infarto e nell'ordine abbiamo pensato: è giunta la fine del mondo, e queste sono le trombe celesti, a dire il vero piuttosto furiose per come ci siamo comportati in vita nostra; è arrivato il terremoto e sta crollando tutto, però c'è da dire che nulla si muove, anche se siamo al tredicesimo piano, non male, forse ce la caviamo; la nostra vicina è furiosa perché abbiamo fatto il barbecue sul terrazzo e sta prendendo a pugni la porta, quest'ultima soluzione andava a cozzare contro il rispetto che hanno i venezuelani per le feste altrui. I cazarolazos erano diventati un piacevole passatempo delle nostre serate, ormai li aspetavamo e ci informavamo di quando erano previsti, giusto per non farci cogliere impreparati. Ci siamo armati anche noi di pentola e mestolo, tanto per far numero. Nel corso di queste occasioni nessuno parlava, la protesta stava nel rumore furioso, nel far capire la proprio dissidenza senza pronunciare la parola Reforma. Ad essere sinceri, i cazarolazos erano cominiciati un po' prima della decisione del Presidente di mettere in atto la Reforma, segno che c'era un certo disagio nel paese. Era un modo di protestare senza scendere in strada, un modo di esprimere la propria opinione senza uscire di casa, tutti insieme, senza distinzione di classe e cultura. Mano a mano che diventava più chiaro che il Presidente avrebbe modificato la costituzione, le proteste con le casseruole erano diventate più frequenti. Poi, è stato chiaro che ci sarebbe stato un referendum per stabilire, con voto popolare, se era il caso di cambiare la costituzione. Allora era iniziata la campagna referendaria. SI alla Reforma o NO alla Reforma, sarebbe stato il paese a decidere. E il paese era inizialmente spaccato in due, e allora i partitto del NO protestava, protestava con cazarolazos, ma i cittadini si erano accorti che i cazarolazos non bastavano e allora erano iniziati i cortei. E nei cortei c'erano un po' di scalmanati che la polizia aveva caricato, e quando la polizia aveva caricato gli scalmanati erano aumentati. Un'onda di malcontento, nervosismo, rabbia era calata sulla campagna referendaria, insieme ai dibattiti televisivi erano cominciati i dibattiti per strada. E non erano dibatti dove la fine dialettica degli intellettuali costituzionalisti e dei giornalisti aveva la meglio. Erano un corpo a corpo con i poliziotti, con gli avversari, con il mondo. Il paese era in vero fermento, oramai l'argomento di conversazione alle feste, alle cene, ai pranzi, per strada, alla cassa del supermercato, ovunque, insomma, era la Reforma. Non si perdeva occasione per dire la propria e non sempre i toni erano pacati.  Ricordo perfettamente una sera, eravamo allo stadio di calcio di Valencia, dove i Manà, gruppo rock messicano, tenevano un concerto. Lo stadio era pieno e in ebollizione, un po' per l'eccitazione del concerto e un po' per quanto stava succedendo nel paese. Anche lì si ammazzava il tempo parlando della Reforma. Noi, un gruppetto misto di italiani e venezuelani, scherzavamo e ridevamo, bevevamo birra, un classico in Venezuela, sgranocchiavamo Platanos Fritos, e ovviamente citavamo l'argomento principe. Ad un certo punto nello stadio è calato il silenzio, il sindaco della città era arrivato nel palco d'onore. Il sindaco, uno chavista della prima ora, era un sostenitore della riforma, ovviamente in favore di Chavez. Quando il pubblico ha registrato la sua presenza ha smesso di fare quello che faceva: mangiare, bere, chiacchierare, ridere, baciarsi, tenersi per mano. E' calato il silenzio. E' calato piano, da vociare in toni alti è passato a brusio appena percettibile fino a morire. Trentamila persone in assoluto silenzio. Un momento irreale, solo il rumore del traffico in sottofondo e la musica degli altoparlanti accompagnava l'arrivo del sindaco. All'improvviso è partito, è partito da non si sa dove, non da un punto esatto dello stadio, è partito un mormorio che è andato ad ingigantirsi, è diventata un'onda di voci che scandiva tre parole, tutti all'unisono, una sola unica voce.  "NO a la Reforma" ha fatto il gioro della stadio e l'urlo della folla è diventato gigante. "NO a la Reforma. No a la Reforma" il mantra urlato da trentamila voci è stato ripetuto decine di volte "NO a la Reforma. No a la Reforma". Faceva paura, ti faceva sentire piccolo, un insetto in mezzo ad un traffico folle di macchine, un insetto che avrebbe potuto spiaccicarsi contro un vetro. La folla, le voci, il caldo, un momento incredibile, che ci ha fatto cogliere quanto sia facile esaltarsi in meomenti di arrabbiatura collettiva. Poi, come era iniziata la protesta è finita e la schitarrata di "Corazòn Espinado" ha aperto i concerto.

(1 - continua)

sabato 2 marzo 2013

L'OVETTO SBATTUTO - ZABAIONE SPECIALE CON CANNELLA

A volte mia mamma preparava una merenda speciale per tutti noi, uovo sbattuto con lo zucchero e una punta di caffé. Come tutte le cose speciali ci sentivamo veramente privilegiati e in festa quando accadeva. Ho scelto questa ricetta, in cui l'alcool è leggermente attenuato dalla prima riduzione, perché la cannella secondo me è uno dei sapori dell'infanzia, uno di quegli odori proustiani, che sanno di coccole della mamma quando sei piccolo. Questa ricetta è di Alex Atala, uno degli chef top ten nel mondo. 

sei tuorli - tre cucchiai abbondanti di zucchero - 250 ml di chachaça - due cucchiai di cannella in polvere

In una casseruolina far ridurre la cachaça di metà. Preparare un bagnomaria sul fuoco. Sbattere le uova con lo zucchero finché non sono bianche, unire la cannella e la riduzione di cachaça. Sbattendo vigorosamente, mettere sul bagnomaria finché non prende consistenza e diventa spumoso. Servire con lingue di gatto.
per quattro persone

venerdì 1 marzo 2013

PAIN AU CHOCOLAT - BRIOCHE AL CIOCCOLATO

Un'altra delle cose che ho amato nella mia infanzia, e che sempre amerò, sono i Pain au Chocolat, ancora una delle merende che ci venivano offerte. ERa per le occasioni speciali, perché le nostre mamme reputavano queste brioche troppo ricche di grassi e difficili da digerire, preferivano darci cose più casalinghe. Altri tempi. Noi ovviamente le adoravamo. 


per la pasta: 500 grammi di farina 00 - 10 g di sale - 45 g di zucchero (60 g di per quelli dolci) - 20 g di lievito di birra - 275 g di latte (a 20 gradi centigradi) - 200 g di burro morbido- 1 uovo

per il ripieno: cioccolato fondente al 75%

Diluire il lievito in poco late e mescolare tutti gli ingredienti tranne l'uovo e il burro. Lavorare fino ad ottenere una pasta liscia ed eleastica. Tenere in frigo per un'ora. Ora comincia la parte elaborata: stendere la pasta allo spesso di un centimetro, coprirne metà con il burro morbido e chiudere come se fosse un libro. Stendere la pasta e piegarla in tre, prima un lato verso il centro, poi l'altro. Mettere in frigo per 10 minuti. Ripetere l'ultima operazione, piegarla pasta in tre, per altre due volte e far riposare la pasta in frigo per 10 minuti ogni volta. Dopo l'ultimo riposo stendere la pasta a quattro millimetri di spessore, tagliare in due parti larghe 16 centimetri. Tagliare in rettangoli regolari, non troppo piccoli. Al centro del rettangolo mettere due pezzetti di cioccolata, un poco distaccati uno dall'altro e facendo attenzione che non si avvicinino troppo ai bordi. Modellare piegando prima un lato e poi l'altro verso il centro, facendo attenzione a chiudere i bordi senza schiacciarli in modo che il cioccolato non fuoriesca. Rovesciare il "panetto" così ottenuto, in modo che il lato superiore venga a cotatto con la placca del forno, far lievitare finché non raddoppia di volume. Spennellare con l'uovo sbattuto e mettere in forno a 200 gradi per 15/18 minuti.

Per congelare i pain au chocolat: metterli nel freezer su un vassoio, quando sono perfettamete congelati porli in sacchetti di plastica per conservarli e usarli quando necessario. Si possono passare direttamente in forno, in questo caso il tempo di cottura aumenta e spesso risultano un po' più umidi all'interno e molto meno leggeri, oppure far scongelare quasi completamente a temperatura ambiente. Si possono anche far scongelare per una notte in frigo e terminare la lievitazione poco prima di infornarli. Quest'ultimo è il sistema migliore.