giovedì 31 marzo 2011

PASTEL

Questo è uno spuntino tipico dei mercati di strada e rionali. Di solito il banco si trova all'inzio o alla fine del mercato, non ho mai capito perché, e frigge a pasteis a getto continuo fino alla chiusura del mercato. Vendono anche la pasta già pronta da stendere o già stesa e tagliata a rettangoli. I ripieni classici sono quelli di carne,  di pollo con cuori di palma, di formaggio, di verdura ma soprattuto di catupiry. Si tratta di un formaggio morbido, molto grasso e amatissimo dai brasiliani che lo mettono ovunque, lo aggiungono anche agli altri ripieni, devo ammettere che non capisco a fondo il loro amore per questo formaggio. Questa ricetta non è una di quella tradizionali.


Per la pasta: 
250 ml di acqua tiepida - 1 uovo - 1 cucchiaio di olio di arachidi - 1 cucchiaio di cachaça - farina 00 


Mescolare i primi quattro ingredienti e poi aggiungere piano piano la farina, a cucchiaiate, fino quando si forma una pasta che si stacca dalle mani. Far riposare mezz'ora e stendere la pasta sulla spianatoia infarinata. Deve essere spessa almeno un paio di millimetri. Tagliare la pasta a rettangoli di 10 cm X 6 cm. 


Per il ripieno:
500 gr di pomodori freschi o pelati - 150 gr provolone dolce tagliato a dadini - uno spicchio d'aglio - qualche foglia di basilico - sale pepe


Sbollentare i pomodori per un minuto e togliere la pelle. Togliere i semi e preparare una salsa passandoli in padella con un po' d'olio e l'aglio schiacciato, salare e pepare e far cuocere una decina di minuti. Non deve rimanere troppo liquida, togliere lo spicchio d'aglio. Su un quadrato di pasta mettere un po' della salsa, qualche pezzetto di provolone, una foglia di basilico, con un altro quadrato chiudere il tortello gigante e con in rebbi della forchetta sigillare i bordi. Friggere in olio caldo finché non è gonfio e dorato. 


P.S. Questa è la mia versione, italianizzata. Prima o poi vi darò quelle tradizionali. 














mercoledì 30 marzo 2011

BOLINHOS DE PEIXE - FRITTELLE DI PESCE

I bolinhos di peixe, insieme al pao de quijo e alle coxinhas, fanno parte dei petiscos, gli stuzzichini, veri sfizi brasiliani. Con l'aperitivo e prima di cena o anche solo come spuntino sono sempre deliziosi e speciali. Esistono anche i bolinhos di bacalhau, di tradizione portoghese, ma io preferisco questi perché hanno un sapore più delicato.  Questa ricetta può anche essere fatta cogli avanzi del pesce, è un modo egregio di consumarli. 


500 gr di filetti di merluzzo o  di pesce a carne bianca e ferma - 500 gr di patate bollite - 1 cipolla tritata - 1 cucchio di olio - 1 uovo - prezzemolo, coriandolo, erba cipollina tritati a piacere - pan grattato - sale pepe - olio per friggere

Sbollentare il pesce in acqua salata, sfilacciarlo con un forchetta togliendo tutte le spine. In una padella stufare la cipolla, aggiungere il pesce far cuocere per pochi minuti. Aggiungere le erbe tritate a fine cottura . Schiacciare le patate con lo schiacciapatate ed aggiungere il pesche, il pepe e l'uovo. Mescolare bene. Con cucchiaio fare delle crocchette di forma ovale, passarle nel pan grattato e friggere in olio caldo finché non sono dorate. Servire caldo.
per 6 persone

P. S. A volte è necessario aggiungere un altro uovo, dipende dalla qualità delle patate. Io le servo con una salsina fatta con succo di lime, peperoncino e un po' di cachaça. Attenzione a non esagerare con le erbe, ammazzerebbero il gusto del pesce anziché esaltarlo, usatele tutte e tre insieme o sceglietene una, a vostro gusto. 

martedì 29 marzo 2011

PAO DE QUEIJO - PANE AL FORMAGGIO

Ieri abbiamo iniziato la settimana brasiliana con la ricetta della caipirihna quasi perfetta. Il nome dell'aperitivo nazionale brasiliano deriva dalla parola caipira che significa contadino, ma anche cafone. Non è affatto una bevanda di campagna, la si beve in tutto il Brasile ed è al mare che ha la sua massima espressione. Seduti su una sdraio pieghevole, su una spiaggia di sabbia fine e bianca, contornata dalla verdissima Mata Atlantica (foresta Atlantica) patrimonio dell'umanità, una caipirinha ghiacciata al tramonto è uno dei motivi per i quali valga la pena vivere. Un altro è il pao de queijo che la accompagna degnamente. E' una specialità mineira, cioè dello stato di Minas Gerais, un posto caldissimo, ma affascinante. C'è un baretto a San Paolo, in Rua Haddock Lobo di fronte al 1447, una panca ed un bancone, dove servono caffé con spuntini e dove l'arte del pao de queijo rasenta la perfezione. Lo sfornano a tutte le ore ed è uno dei migliori che abbia mai mangiato. La rivista Gula, la bibbia culinaria brasiliana, per festeggiare il suo centesimo numero, ha incluso il Pao de Quiejo da Rua Haddock Lobo nella lista dei cento luoghi e piaceri di culto. 


250 gr di polvilho azedo (vedere P.S.) - 60 gr di farina 00 - 125 ml di latte - 60 gr di parmigiano grattugiato - 50 gr di burro o olio - 1 uovo - 1 cucchiaino di sale - 15 gr lievito di birra

In una ciotola mettere tutti gli ingredienti secchi cioè le farine, il parmigiano e il sale. Scaldare il latte su fuoco basso, quando è tiepido toglierne un paio di cucchiai per far sciogliere il lievito, e fuori dal fuoco aggiungere il burro. Sciolto il burro aggiungere il composto di latte insieme a quello col lievito alla farina e mescolare con il cucchiaio di legno. Infine incorporare l'uovo. Coprire con un canovaccio e far  lievitare per una mezz'ora.
Quando è pronto prendere con un cucchiaino pezzi di pasta e disporli sulla placca del forno rivestita di carta forno. Cuocere per una ventina di minuti in forno a 180° o finché non sono bene dorati e gonfi. Servire caldo
per 24 panini circa


P.S. Il polvilho azedo è una una fecola di manioca, si trova nei negozi di specialità latine, a volte in quelli di specialità orientali (a Milano da Kathai). Nel caso non trovaste l'"azedo" usate quello "doce", è quasi la stessa cosa, ma non sostituitelo con la maizena o la fecola di patate, il sapore non sarebbe lo stesso. I brasiliani per il pao de queijo usano il queijo minas meia cura, ma anche la versione locale del parmigiano... quindi la ricetta è piuttosto fedele. 



lunedì 28 marzo 2011

IL CORALLO NON LO TROVI SOLO IN MARE


Il Mato Grosso, stato del Brasile. Doppio, perché in quel paese amano fare le cose in grande. Si divide in Mato Grosso e Mato Grosso do Sul. Mato Grosso significa foresta fitta. Sono due mondi diversi? No, si tratta dello stesso  stato diviso negli anni settanta, tanto per passare il tempo temo. In entrambi si trova il Pantanal, la palude più grande del mondo. La natura più rigogliosa, gli jacaré (coccodrilli) più grossi, i serpenti più velenosi e quelli più lunghi, gli uccelli più veloci, tutti lì a passeggiare nello stesso acquitrino gigante. Anche io ho fatto le mie brave passeggiate in quello Stato. Sei lunghissimi mesi di panorami mozzafiato: terra rossa-canna da zucchero in diversi stadi di maturazione- canna da zucchero in diversi stadi di maturazione- terra rossa...canna da zucchero... terra rossa. Non è così ovunque, ma lì dove avevamo preso casa e lavoro si coltiva la canna da zucchero e noi, quindi, avevamo vinto l'ambita accoppiata con la terra rossa. Vivevamo in un villaggio sorto dal niente, dove fino a qualche anno prima si girava per strada la notte con la propria lanterna. Non era ad olio, però, e quelle rinvenute nei periodi successivi non fornivano geni o altre amenità. Nel villaggio non mancava niente, c'era il supermercato, il bar, il sarto, il ristorante, tutto quello che si può chiedere ad un tranquillo villaggio immerso nel niente assolato. Tutto era molto rustico e la sera si andava a dormire presto, con gli emù perché le galline non c'erano.
Un pomeriggio, verso il tramonto, ero seduta in giardino, niente erba, avrebbe attirato animali di ogni tipo, ma tante belle piastrelle bianche rallegravano il pezzo terra davanti a casa. Sopra di me una triste tettoia di metallo mi proteggeva dai meravigliosi rami di un anacardo in piena stagione dei frutti. La protezione non serviva per l'ombra, a quella ci pensava la pianta, ma era necessaria per proteggerci dalla natura. Da quelle parti un ragno ha le dimensioni di una mano, un'ape ronza con lo stesso tono di un cacciabombardiere pronto all'attacco e le zanzare, già le zanzare, sono grosse come elicotteri per il trasporto truppe. Trovarsi all'improvviso ad indossare qualcosa che cadeva dall'albero, e non era uno dei succosi frutti, non era contemplato nel nostro decalogo del "mai più senza". Quel pomeriggio ero lì con la mia sdraietta a righe gialle, un bel libro e un succo di mango appena fatto, quando sento frusciare i rampicanti che coprivano il muro di cinta. Guardo in quella direzione e non vedo niente. Riprendo a leggere le avventure culinarie di Antony Bourdin, di nuovo il fruscio. Sguardo. Niente. Ancora Fruscio. Occhiata. Nulla. Mi alzo, piano, piano mi avvicino al muro, non tocco la siepe, allungo il collo. Il cuore fa un balzo. Il miei occhi hanno colto il movimento e hanno registrato. Rosso, bianco, nero, snello. Molto snello. Molto lungo. Affascinante. Repellente. Un serpente Corallo si stava arrotolando ai rami della siepe, lentamente e pigramente. Pronto a dormire probabilmente. Il mio rapporto con gli esseri striscianti non è mai stato di amicizia, meno che mai con un velenossissimo serpente Corallo. A quel punto, sono uscita in strada. I tagliatori di canna stavano tornando dai campi sporchi di fuliggine, li ho sorpassati a passi veloci e sono andata al bar dell'angolo. Gli occhi sbarrati, la gola secca ho guardato la padrona del bar e ho detto "Coralo". E' stato sufficiente, Maria, la padrona, mi ha preparato una caipiriha magnifica, come sempre, ha mandato il marito, di professione "aggiusta tutto", a controllore cosa stesse facendo il Corallo. Lui, il marito di Maria, non il Corallo,  è partito col suo machete da lavoro, è tornato col machete sporco e il Corallo senza testa. Un po' mi ha fatto pena, solo un po', non il marito di Maria sia bene inteso. Siamo tornati a casa dopo cena, leggermente sbronzi, Maria era in vena e ci ha preparato il pollo con gli anacardi. La siepe era un disastro, a terra c'erano rami tagliati, foglie ovunque, la testa del Corallo tra un ramo e un monterozzo di foglie. Accidenti al povero Corallo.

P.S. I cinesi della comunità hanno gentilmente ringraziato il marito di Maria per l'omaggio.

CAIPIRINHA 

100 ml di cachaça - un lime sugoso - zucchero di canna a piacere (almeno 2 cucchiai, però) - ghiaccio

Tagliare il lime prima in quarti poi a pezzetti, metterli in un bicchiere tipo tumbler. Aggiungere lo zucchero e con un pestello di legno lavorare fino ad ottenere tutto il succo del lime. Mettere il ghiaccio rotto, non tritato, a pezzi grossolani. Aggiungere la cachaça e con un stecchino da cocktail girare bene, facendo attenzione che tutti i sapori si mescolino. Servire
per un bicchiere

P.S. Non è come si fa una caipirinha che la rende indimenticabile, sono gli ingredienti. Prima di tutto ci vuole una cachaça di grande qualità. Ingrediente molto difficile da trovare dalle nostre parti. Tra le migliori marche ci sono la Rainha de Minas e la Espirito de Minas. I marchi che si trovano in Europa sono accettabili,  ma se andate in Brasile procuratevi una bottiglia delle migliori, sentirete la differenza. Lo zucchero non è il demerara, scuro e a granello grosso, che troviamo oramai ovunque da noi. No, quello ideale per un drink perfetto è bianco e finissimo. A volte si trova nei negozi di specialità etniche, altrimenti al supermercato... in Brasile. Un trucco per ottenerlo: frullate il demerara finché non diventa una polvere fine. Il lime, vanno bene quelli nostrani. Anche se la caipirinha fatta col limao galego, un piccolo limone/lime che è raro trovare anche in Brasile, è celestiale. Se per caso vi interessasse... a volte si trova al mercato principale di Sao Paulo. Volete stare nella tradizione? Usate uno stecchino, tipo quelli del gelato, per girare il drink. Se volete potete sostituire la cachaça con la Vodka, il Rum o il Sake, a questo punto la bevanda prenderà il nome di Caipiroska, Caipirissima o Sakerinha. L'ultima è la mia preferita. 

domenica 27 marzo 2011

PROSSIMAMENTE

Da domani prenderemo l'aperitivo i Sud America, prometto ricette interessanti e una sbronza colossale.

sabato 26 marzo 2011

CAVOLO IN INSALATA

Non a  tutti piace, capisco, a me piace moltissimo soprattutto crudo. E' una verdura che fa benissimo  perché contiene molte fibre ed è ricco di vitamine salvavita. Questa ricetta è sempre esitistia a casa mia, non so chi l'abbia insegnata a mia mamma. 

1 cavolo cappuccio bianco - 2 cucchiai di olio di oliva - il succo di mezzo limone - 2 acciughe sotto sale -uno spicchio d'aglio - semi di finocchio o carvi - sale pepe

Lavare e pulire il cavolo, tagliarlo a listarelle sottilissime. Tagliare a fettine fini l'aglio.  Lavare e pulire le acciughe togliendo la lisca e lasciando i filetti. In un'insalatiera far sciogliere il sale nel succo di limone, aggiungere l'aglio e l'olio. Far riposare una mezz'ora. Aggiungere le acciughe, pepare. Mettere il cavolo e spolverare con i semi di finocchio a piacere. Mescolare bene e lasciar riposare una decina di minuti prima di servire.

P.S. Quando eccedete, passate una giornata facendo amicizia con il tè verde, le verdure, la frutta e una minestra di cavolo, solo acqua e cavolo tagliato a listarelle e fatto bollire,  per dare un po' di sapore: un cucchiaino, ino-ino, d'olio.  Terribile, la minestra, ma efficace. 

venerdì 25 marzo 2011

MONTE BIANCO - MONT BLANC

Un dolce di origini francese, senz'altro visto il nome che porta. Noi magari lo avremmo chiamato Le Tre Cime di Lavaredo o Monte Grappa, aromatizzandolo in questo caso col nostro liquore. E' un dolce autunnale, ma in questo contesto montano non poteva proprio mancare. Questa è la mia variante della ricetta che mi ha regalo Josette, un'amica di mia mamma.

700 gr di marroni - mezzo litro di latte - 120 gr di zucchero - un bicchierino di rum - 10 grammi di cacao in polvere - una stecca di vaniglia -   un pizzico di sale

Per ricoprire:
mezzo litro di panna fresca - 50  grammi di scaglie di cioccolato - una grossa meringa sbriciolata - 2 marron glacés sbriciolati - 2 cucchiai di cacao in polvere - 2 cucchiai di zucchero a velo

Incidete la vaniglia e togliete i semini interni, mettere da parte. Lavare e incidere i marroni metterli in pentola con acqua bollente e farli cuocere per un quarto d'ora. Poi sbucciarli e metterli in pentola con il latte, lo zucchero e il sale. Portare ad ebollizione e far cuocere a fuoco dolce per circa un'ora. Passarli nel passaverdure e aggiungere la vaniglia, il rum e il cacao. Mescoalare fino ad ottenere un impasto compatto e asciutto, nel caso non lo fosse fatelo asciugare un po' sul fuoco. Schiacciatelo con lo schiacciapatate a fori grossi su un piatto da portata, facendo attenzione a formare un monterozzo. Compattare, senza esagerare e far raffreddare in frigo per alcune ore. Montare la panna con lo zucchero a velo e ricoprire con la montagnetta di marroni. Decorare con il cioccolato, la meringa e un po' di marroni sbriciolati. Spolverare appena col cacao.

P.S. I pignoli decorano la crema di marroni mettendo la panna nel sac à poche, io preferisco versare la panna e usare la spatola, lasciando alcuni punti non coperti. Un trucco per sbucciare meglio i marroni è tenerli nella loro acqua di cottura. La ricetta originale prevedeva il cognac al posto del rhum, scegliete voi. 

giovedì 24 marzo 2011

POLENTA E FINFERLI

La rivincita dei vegetariani. Adoro i funghi cucinati in qualasiasi modo, tra i miei preferiti ci sono i finferli che adoro. Sono saporiti, profumati e hanno un bel colore. Sono un po' lunghi da pulire, ma ne vale la pena. Vengono una merviglia per il sugo della pasta o sott'olio con gli aromi, ma si esaltano nella polenta. 


1 kg di farina di mais - 1 kg di finferli - 2 spicchi d'aglio - un bel mazzo di prezzemolo - burro (di montagna s'intende) - 2 cucchiai di olio extra vergine d'oliva - sale pepe

Portare ad ebollizione circa due litri di acqua, versare  a pioggia la farina e cuocere sempre mescolando per un'ora circa. Dovrà essere bella morbida.
Pulire i funghi tagliali a pezzi. In una padella far soffriggere l'aglio nell'olio e nel burro. Mettere i funghi e cuocere a fuoco medio mescolando di tanto in tanto. A fine cottura aggiungere il sale, il pepe e il prezzemolo tritato fine. Servire con la polenta calda.

P.S. In questa ricetta tipica delle zone montane del veneto i funghi sono cucinati in maniera molto semplice, il tipico sapore dei finferli risulta perfetto. Per chi ha problemi di colesterolo l'olio può sostituire il burro, in questo caso aggiungere un un po' d'acqua durante la cottura. 







mercoledì 23 marzo 2011

CARBONADE-STUFATO DI MANZO

Il cavallo di battaglia di mia mamma, donna di montagna, che non ama la carne, ma fa degli spezzatini e degli stufati da manuale. Questa ricetta è tipica della Valle d'Aosta, ma si trova anche in Francia ed in Belgio, dove il vino viene sostiuito con la birra scura. 


800 gr di carne di manzo (spalla o scamone) - 2 cipolle - 50 gr di burro - 200 ml di vino rosso (possibilmente nebiolo, ma non è fondamentale) - spezie secondo il proprio gusto: chiodi di garofano, cannella, noce moscata a scelta o tutte insieme - due foglie d'alloro - 2 - brodo di carne - farina

Tagliare la carne a dadini ed infarinarli. Rosolarli nel burro con un cucchiaio d'olio finché non sono dorati. Metter da parte. Far dorare le cipolle tagliate fini, aggiungere poco brodo e far evaporare. Unire la carne, le spezie, l'alloro, sale. Versare il vino e farlo evaporare su fiamma vivace. Abbassare la fiamma e cuocere su fuoco dolce, coperto bagnando di tanto in tanto con il brodo, per circa 45 minuti.
per quattro persone

P.S. Piatto da accompagnare rigorosamente con una bella polenta soda e fumante. Mi piace anche molto con le patate bollite o la polenta abbrustolita. 

martedì 22 marzo 2011

FRITTATINE IN BRODO

Questa è una delle ricette con il brodo che preferisco, mi scalda l'anima perché mi ricorda l'infanzia. Mia nonna paterna non sapeva cucinare, lasciava che fossero mia mamma, un'amica o il ristorante a prendersi cura di lei per quanto riguardava il cibo. Lei considerava la cucina un campo di battaglia dove avrebbe perso anche solo una scaramuccia. Aveva imparato a fare la minestra stracciatella e pochi altri piatti, tra cui questo, apposta per me. Nelle serate d'inverno, quando ho freddo e ho voglia di un po' di calore preparo una delle due specialità nonnesche. Il ricordo di mia nonna, donna non proprio d'altri tempi, che si era sforzata di imparare a cucinare qualcosa per me, mi fa sorridere di nostalgia e tenerezza. 

70 gr di farina - un uovo - 125 ml di latte - prezzemolo tritato - erba cipollina tagliata fine - burro o olio- sale pepe - brodo di carne o vegetale

Mescolare la farina con il latte e il sale, aggiungere l'uovo e le erbe. Far riposare una decina di minuti. In una padellina far scaldare il burro o l'olio e versare un po' di pastella come per fare una crepe. Farla cuocere da entrambe le parti finché non è bene dorata. Ripetere l'operazione fino all'esaurimento della pastella. Far raffreddare le frittatine, arrotolarle e tagliarle a striscioline. Portare il brodo ad ebollizione, mettere le frittatine nel brodo e servire.
per quattro persone

P.S. Mia nonna usava rigorosamente brodo di dado Star. NON fatelo, piuttosto rinunciate. Preparate un bel brodo di verdure o di carne, potete anche congelarlo ( lo so non sono cose che una brava cuoca fa.. ma è così comodo) e usarlo quando è necessario. 

lunedì 21 marzo 2011

IL CANE DELLE NEVI

Ci tengo a precisarlo, sono un'ottima nuotatrice. Nuotare in piscina o al mare mi distende i nervi e mi libera il cervello, dopo esco tonificata e contenta. Insomma l'acqua è il mio elemento. Detto questo posso affermare in tutta tranquillità che l'elemento deve essere nelle tonalità del blu, con le onde e di temperatura superiore ai 22 gradi. Sull'acqua che prende le tonalità del bianco, immobile e ghiacciata ho un certa difficoltà ad adattarmi. Insomma, detto in parole semplici, non sono una grande sciatrice.
Mi diverto molto ad andare in montagna, mi piacciono i suoi paesaggi invernali ed estivi, ma quando devo cimentarmi sulle piste sono veramente reticente. Tendo a cannibalizzare gli sci, li uso come armi improprie per fendere la neve a casaccio anche nelle discese più facili.  In acqua sembro quasi un delfino rilassato che scivola senza quasi spostarla, sulla neve sono rigida, le gambe che paiono due tronchi pesanti e le spalle tese nello sforzo di mettercela tutta. Questo mio stile eccelso mi ha lasciato il mio nom de bataille: il cane delle nevi. Come se non bastasse soffro di vertigini e le piste aperte, quelle con il panorama mozzafiato, dalle quali si domina una vallata in tutto il suo splendore, ecco quelle, mi fanno venire le crisi di panico.
Non è la difficoltà della pista a bloccarmi, come molti pensano quando mi vedono li appollaiata in cima al muro, ferma in posizione sciistico fetale. E' il maledetto vuoto che mi cementa le gambe in una posizione accovacciata tra lo spazzaneve e il seduto. E' la vista della valle più sotto che mi fa sudare freddo e caldo in contemporanea, che mi taglia il respiro e mi impedisce di muovermi. Tengo le mani avanti coi bastoncini uniti, in un poco muto gesto di preghiera. Ferma, terrorizzata. Sono una dura e non mi capacito di non poter fare una cosa, quindi regolarmente provo ad affrontare i muri iniziali di piste con vista, di solito i più aperti, e allora mi trovo a combattere nella situazione fatale. Tutto accade quando ho già affrontato una parte della discesa, che percorro in diagonale per poi curvare ai lati, alla prima vera curva per scegliere la direzione vedo il vuoto e mi blocco. Lì sul posto, esattamente dove sono, normalmente in nel mezzo della pista, cogli altri sciatori che mi ronzano intorno, eleganti. Resto ferma lì, quasi piangente maledicendo me stessa e il mio compagno che, anima pia,  mi  lascia fare queste cose. Urlo cose terribili mentre scendo a scaletta, per dare l'idea: "tu mi vuoi morta" è una delle più gentili. Non è una bella immagine quella di una signora di nero-arancio vestita, immobile e urlante su una bellissima pista dolomitica. Se a qualcuno è capitato di vedere una scena simile all'inizio del Ciampinoi a Selva di Val Gardena o a Porta Vescovo ad Arabba, mi ha senz'altro incontrata. La prossima volta fermatevi e fatemi un salutino. Non preoccupatevi per gli insulti che ne ricaverete, non è niente di personale.

P.S. Per capire che è solo questione di vertigini e non di vera imbranataggine sciistica ho testimoni che possono tranquillamente affermare che, in caso di nebbia, sono scesa dallo stesso muro con la massima indifferenza.

MINESTRA D'ORZO

Uno dei piaceri di andare in montagna è il conforto del buon cibo a cena. Io di solito riprendo tutte le calorie che ho perso durante il giorno, ma viste le crisi di panico non pensate che me lo meriti? 
Dato che vi ho raccontato uno dei miei segreti meglio custoditi, adesso vi passo la mia versione della ricetta per la zuppa d'orzo, la mia preferita, e con questo fanno due segreti rivelati in un colpo solo. Mi sento esposta. 

150 grammi orzo perlato - 100 gr di speck  - 25 gr di funghi secchi - una cipolla - una carota - un gambo di sedano - un piccolo porro - una patata- olio - sale pepe

Mettere a mollo i funghi in acqua tiepida. Tritare la cipolla, affettare il porro, tagliare a dadini la carota, la patata e il sedano. In una casseruola far soffriggere la cipolla, il porro, il sedano e lo speck con due cucchiai di olio, far stufare qualche minuto.  Mettere l'orzo e aggiungere due litri di acqua, quando raggiunge l'ebollizione far cuocere a fuoco basso. Dopo una ventina di minuti aggiungere le carote, i funghi strizzati e le patate, salare e pepare. Far cuocere ancora per una mezz'ora circa o finché l'orzo non è giunto a cottura. Servire spolverato da prezzemolo tritato.
per quattro persone

P.S. La versione originale, quella altoatesina, comprende 200 grammi di carne affumicata e non include i funghi. Per i vegetariani: viene buonissima anche senza lo speck. Io preferisco che l'orzo resti piuttosto al dente, riduco leggermente i tempi di cottura.

domenica 20 marzo 2011

PROSSIMAMENTE

Da domani resteremo in quota, ma con i piedi ben piantati a terra. Prometto nuove, rustiche ricette.

sabato 19 marzo 2011

CHIMICHURRI

Adoro le domeniche argentine, ci si trova a casa degli amici e si fa un asado, una bella grigliata con ogni ben di Dio. Si sta insieme tutto il giorno mangiando con calma e chiacchierando in totale relax. La protagonista assoluta è la carne, di che far felice un vegertariano vegano. Il chimichurri è la salsa che accompagna i vari tagli di carne, cotti un po' più a lungo che da noi. Il nostro "al sangue" non corrisponde al loro. Ogni famiglia ha la sua versione della salsa e la propone con diversi gradi di piccantezza, sapidità, acidità. Non esiste una ricetta del chimichurri codificata e nel caso esistesse, ognuno aggiunge la spezia o l'erba che preferisce per avere il migliore del vicinato. E' anche un'ottima marinata per la carne, soprattutto per quella di pollo. Questa è la mia versione.


125 ml di olio di oliva - 60 ml di aceto - una cipolla  rossa tritata - un peperone rosso tagliato a dadini- un grosso mazzo di prezzemolo tritato - un cucchiaio di origano fresco tritato - un cucchiaino di origano secco - un cucchiaino di paprika dolce - uno spicchio d'aglio tritato - un pizzico di peperoncino in polvere o un piccolo peperoncino fresco affettato - un cucchiaino di sale - pepe 



In una ciotola di ceramica sbattere bene l'aceto e sale, finché non si sia sciolto, aggiungere gli altri ingredienti ed infine l'olio.  Lasciar riposare per alcune ore prima di servire.


P.S. E' anche un'ottima marinata per la carne, soprattutto per quella di pollo, oppure si possono condire le verdure alla piastra o bollite..

venerdì 18 marzo 2011

MATAMBRE - PUNTA DI VITELLO RIPIENA

Una ricetta tipica argentina, un grande classico della cucina casalinga a base di carne di vitello. Esistono infinite varianti, alcuni mettono la carne, altri aggiungono la salsiccia, molti non mettono i peperoni o le bietole, però non devono mai mancare le uova che sono belle da vedere quando si tagliano le fette. La tradizione vuole che sia bollito, ma è frequente anche la cottura al forno. Questa versione mi è stata data da un'amica italiana, ha modificato un po' l'originale che aveva ricevuto come regalo di nozze dalla suocera argentina. Era il piatto preferito dal marito, si sono separati quasi subito, ma non a causa del matambre che era diventato il suo cavallo di battaglia. La versione non è ortodossa perché propone la punta di petto, che ricorda la cima alla genovese, e non il taglio classico argentino.

una punta di petto di vitello da circa un chilo -  2 carote crude grattugiate - 20 foglie di bietole crude tagliate non troppo fini - 1 peperone rosso tagliato a dadini - 1 peperone verde  tagliato a dadini -  2 cipolotti tagliati - 100 gr di prosciutto cotto tritato - 100 gr di formaggio grattugiato (asiago o simili) -  50 gr di olive verdi denocciolate metà tritate, metà intere - 2 panini morbidi ammollati nel latte e strizzati - 2 o 3 uova sode (dipende dalla grandezza della punta di petto) -  1 uovo intero -  prezzemolo tritato - 1 spicchio d'aglio tritato - maggiorana - paprika dolce  (pimentòn) - sale pepe 

Dal macellaio far praticare un tasca alla punta di petto. Preparare il ripieno mettendo tutti gli ingredienti, tranne le uova sode, in una  terrina e mescolare bene con le mani fino ad ottenere un impasto omogeneo. Aggiustare di sale e pepe. Inserire le uova dentro la tasca e disporre il ripieno, far attenzione a non inserirne troppo perché cuocendo la carne potrebbe rompersi. A questo punto cucire la tasca  con ago e spago da cucina facendo attenzione a non lasciare spazi. Cuocere in acqua bollente, non salata, aromatizzata con una cipolla steccata con un chiodo di garofano, sedano, prezzemolo intero, carota, maggiorana, per un paio d'ore circa. Lasciar raffreddare nell'acqua di cottura, poi mettere il matambre tra due piatti e sopra i quali metterete un peso. Lasciar riposare così per almeno un'ora.

P.S. Il matambre si prepara il giorno prima, sarà più facile tagliarlo. In generale viene servito come antipasto con prosciutti e altri salumi, ma a me piace anche come secondo con un'insalata verde e verdure grigliate. Se avanza il ripieno fate degli involtini che farete cuocere in padella. 


giovedì 17 marzo 2011

UNITA' D'ITALIA

Anche se è la settimana argentina, oggi festeggiamo l'Unità d'Italia con un piatto tricolore. Una ricetta patriottica, facile, gustosa, veloce.

BUON COMPLEANNO ITALIA


250 gr di fagioli cannellini bolliti - 250 gr di fagiolini verdi bolliti al dente- 250 gr di pomodori datterini  o cigliegini- sale

Per la vinaigrette:
125 ml di olio extra vergine d'oliva - 2 cucchiai di aceto di vino bianco (o mela) - mezzo cucchiaino di senape di Dijon -  mezzo cucchiaino di sale - pepe

Tagliare a metà i pomodorini. Su un grande piatto di portata rettangolare disporre i fagiolini coprendo un terzo della superficie, accanto mettere i cannellini e terminare con i pomodori. Preparare la vinaigrette mescolando l'aceto con la senape, il sale, il pepe, sbattendo fino ad ottenere un composto omogeneo, aggiungere l'olio continuando a mescolare. Irrorare l'insalata con la vinaigrette e servire.


P.S. e una ricetta italiana non ci sta per niente male nella settimana argentina perché, come dice il mio amico Eugenio, argentino DOC, "Gli argentini sono italiani, che parlano male lo spagnolo e credono di essere inglesi." ;-)

mercoledì 16 marzo 2011

PROVOLETA

La provoleta, uno degli attentati alla linea più classici e deliziosi della cucina argentina. Un piatto che si trova in tutti i ristoranti tipici, nelle pizzerie (le pizzerie argentine meritano un capitolo a parte), nei ristoranti di parilla, dai più eleganti fino alle bettole dei quartieri malfamati.  E' un piatto semplice, di facile esecuzione, unto al punto giusto. Delizioso. La prima cosa che ho mangiato al mio arrivo a Buenos Aires da Los Immortales, pizzeria con uno charme tutto suo. La cucina tradizionale argentina non è senz'altro attenta ai grassi e al colesterolo, d'altronde quale delle cucine classiche lo è? Avete presenta la milanese fritta nel burro? 

Una fetta di provolone dolce spessa un paio di centimetri - origano

Mettere il provolone in una piccola teglia di ghisa che lo contenga di misura, cospargere di origano e mettere in forno caldissimo finché non è sciolta. Degustare.

P.S. Slurp... e difficoltà zero.

martedì 15 marzo 2011

EMPANADAS

Ieri con la ricetta dell'alfajor abbiamo inaugurato la settimana argentina e le empanadas sono uno dei piatti più tipici.  In città spesso si pranza con un'empanada, nelle zone rurali sono lo spuntino di metà mattina per di bovari (gauchos) che controllano le vacche nella Pampa. Possono essere farcite in diversi modi: formaggio, verdura, salsa blanca (béchamel) sono i più tipici. Le meno tradizionali, ma molto diffuse, sono quelle di roquefort e noci, le più tradizionali quelle di carne che vi propongo oggi.


Per la pasta: 
150 gr di farina 00 - 3 cucchiai di olio extra vergine d'oliva - mezzo cucchiaino di sale - acqua fredda 


Per il ripieno: 
150 gr di carne di manzo di buona qualità tritata (preferibilmente battuta al coltello)  - 1 cipolla tritata - 2 uova sode tritato grossolanamente - una decina di olive verdi denocciolate - 1 cucchiaio di uva passa - 1 cucchiaio di pimentòn (in mancanza paprika dolce) -  mezzo cucchiaino di cumino in polvere - 1 cucchiaio di olio extra vergine d'oliva - sale 


Mettere l'uvetta in acqua tiepida. Sulla spianatoia impastare la farina e gli altri ingredienti aggiungendo l'acqua necessaria a formare una pasta morbida e liscia. Far riposare in frigo per una mezz'oretta. 
Appassire la cipolla in una casseruola, aggiungere la carne e farla rosolare, poi l'uvetta, le spezie e il sale. Far raffreddare.  Tirare la pasta ad uno spessore di circa 2 millimetri e tagliare dei dischi 12/14 centimetri di diametro. Su ogni disco disporre un po' di ripieno (un bel cucchiaio colmo), un'oliva tagliata a metà e un po' di uova tritate. Chiudere il raviolone, se avete manualità formate un bel cordone, altrimenti, con i rebbi di una forchetta. Infornare a 180 gradi per una ventina di minuti.  


P.S. esistono anche in versione piccante, in questo caso aggiungete peperocino in polvere a piacere, ma in realtà il piccante argentino per noi non è piccante.  Le empanadas vengono proposte anche fritte, in questo caso si chiamano Empanadas Criollas.  




lunedì 14 marzo 2011

IL VOLO

Per un certo periodo della mia vita la rotta Italia-Argentina-Italia è stata quasi un'abitudine. Il mio fidanzato viveva a Buenos Aires e spesso piantavo le tende a casa sua per lunghi periodi. Il volo era lungo, dalle 13 alle 17 ore, se era diretto era più veloce, se faceva scalo era una tradotta. Gli scali potevano essere due o tre, incluso un cambio in una città europea. Quello di quel giorno era uno dei primi Roma-Buenos Aires diretti. Salivi sull'MD11 a Fiumicino, solcavi le nuvole sull'oceano per tutta la notte e la mattina ti ritrovavi all'aeroporto di Ezeiza fresco come un piccione viaggiatore stanco.
Per gli amanti del "forse non sapevate che": era anche il volo senza scalo più lungo della compagnia di bandiera, a pari merito col Roma-Tokyo.
Sedeva accanto a me una signora argentina molto gentile, ma in vena di conversazione.  Io avevo il posto accanto al finestrino e lei quello sul corridoio, quindi ero incastrata tra l'oblò, la signora e le mille parole al secondo che le uscivano di bocca. Dopo quel viaggio ho sempre scelto il posto in corridoio, una via di fuga eccellente. La signora aveva paura di volare e me lo aveva annunciato subito dopo essersi presentata. Ana, si chiamava, Ana un nome che non posso dimenticare. Se c'è una paura che non ho mai avuto è proprio quella di volare, potete tenermi giorni interi nella pancia di un aereo e farmi sfrecciare sugli oceani, io al massimo dormo. La signora no, lei era terrorizzata e continuava a puntualizzarlo, ancora prima che il pilota avesse acceso i motori. Non fece che parlare dell'aereo che poteva - Dio ce ne scampi e liberi - avere un guasto oppure diceva,  guardi signorina, guardi, e tirava fuori dalla borsetta le foto spiegazzate di un velivolo non ben identificato sfracellato contro una montagna (ecco, mi ci voleva proprio); e poi ancora, le hostess, continuava, non ti guardano nemmeno, non si preoccupano del tuo benessere, lo sa anche lei, vero signorina? Io avrei voluto avere dei tappi di cera, delle ali di cera, delle gambe di cera, avrei voluto essere di cera e fondere lì sul posto, prima ancora del decollo. Eravamo ancora saldamente a terra e desideravo che alla signora spuntassero delle ali affinché potesse volare via da sola. Forse speravo che diventasse un angelo con tutte le conseguenze e antecedenze del caso. Nonostante tutto cercavo di essere gentile e la confortavo assicurandole che l'aereo era nuovo (vero, si trattava di un MD 11 di appena qualche mese), raccontandole cose allegre. Il peggio era alle porte, anzi alle colonne, alle colonne d'Ercole.
Durante la notte le spie d'avviso si accesero tutte, l'interno pareva un albero di natale pronto per la vigilia. Sull'Atlantico, mai avaro di perturbazioni, quella notte si era scatenato l'inferno. C'era la madre di tutte le perturbazioni e turbolenze. L'aereo beccheggiava, saliva e scendeva, andava a destra e a sinistra, minacciava di cadere da un momento all'altro. Sopra alle nuvole, a diecimila metri di altitudine, cosa strana, il possente MD11 era  come come un fuscello in balia del mare forza 9. La signora, bianca come un cencio, si era appesa al mio braccio e mi conficcava le unghie, piuttosto lunghe, dentro alla carne del braccio "Glielo avevo detto che saremmo caduti, che saremmo caduti, precipitati, schiantati". La mia risposta la gelò "Le auguro proprio di no, signora. Sa quante probabilità abbiamo di sopravvivere se tocchiamo al superficie dell'oceano? Zero signora, zero. E se pensa che potrebbe sopravvivere all'impatto, se lo tolga dalla testa. L'acqua è fredda, là sotto,  molto fredda." Non era ancora uscito il film Titanic, con l'eroe che muore congelato e spiega la crudeltà dell'Atlantico. Questo la zittì, ma non le impedì di devastarmi il braccio, forse da qualche parte c'è ancora la mezza luna delle sue unghie, a memento dell'occasione, cicatrizzata ma sempre gloriosa. Per la prima, e unica, volta non chiusi occhio per tutta la notte, un groppo mi chiudeva la gola impedendomi di respirare bene. Credo che fosse paura di volare.
All'arrivo ero tanto agitata che per riprendermi dovetti mangiare otto Havanettes di seguito.  Mangio raramente cose dolci. Ecco, il sapore di quel viaggio è quello cremoso, burrroso, tostato del dulce de leche, la mitica e consolatoria caramella mou della nostra infanzia, ma spalmabile.

SEMBRA UN HAVANETTE

Gli havanettes sono dei dolci fatti con un piccolo e sottile alfajor, che è un biscotto morbido, sopra il quale viene messo un monterozzo, ha proprio la forma di un Monte Bianco in miniatura, di dulce de leche, soffice e deliziosamente morbido, il tutto ricorperto da un sottile strato di cioccolato fondente. Non esiste niente di più consolatorio.

1 barattolo di Dulce de Leche di buona marca - 250 gr di maizena - 200 gr di farina - 200 gr di burro a temperatura ambiente - 150 gr di zucchero - 3 tuorli  - la scorza grattugiata di un limone - 2 cucchiai di lievito  per dolci - 200 gr di cioccolato fondente

Setacciare le farina e il lievito. In una ciotola lavorare con una forchetta lo zucchero e il burro, aggiungere i tuorli uno ad uno, infine mettere le farine con il lievito e il limone grattugiato impastando il meno possibile ma in modo da ottenere una pasta morbida e liscia.  Su un piano infarinato stendere la pasta con il mattarello ad un altezza di mezzo centimetro e tagliare con il tagliapasta rotondo dei biscotti di 4 centimetri di diametro. Passare in formo a 160 gradi fino a doaratura, 15 min circa. Quando sono freddi mettere un po' di dulce de leche sul biscotto, coprirlo con l'altro biscotto e poi passarlo nel cioccolato fatto sciogliere a bagno maria. Lasciar raffreddare e degustare.


P.S. Soluzione veloce? Prendere cucchiaiate di dulce de leche dal barattolo e un Taralluccio del Mulino Bianco, spezzare un quadrato di cioccolato. Mangiare un po' di dulce de leche spalmato sul biscotto e un po' spalmato sul ciccolato, a bocconi.

domenica 13 marzo 2011

sabato 12 marzo 2011

LABAN - FORMAGGIO FRESCO

Questa ricetta me l'ha data una cuoca libanese in Brasile, forse sarebbe stato meglio una cuoca brasiliana in Libano? Non so. Si tratta di un formaggio, una cagliata fresca, che si trova in quasi tutto il bacino del mediterraneo con nomi diversi. Condito con menta secca e olio d'oliva è uno dei mezzes tipici della cucina araba.

1 litro di latte - 2 cucchiai di caglio (può essere sostituito con un vasetto di yogurt naturale di buona qualità).

Mettere il latte in una pentola e portarlo ad ebollizione. Togliere dal fuoco e lasciar intiepidire fino alla temperatura di 45°.  Aggiungere il caglio con un po' di latte tiepido. Mescolare molto bene, aerando il composto in questo modo: prendere una mestolata di latte e versalo dall'alto nella ciotola più volte in modo da ottenere un schiuma in superficie. Ripetere per alcune volte. Mettere in un recipiente possibilmente di ceramica, coprire e avvolgere dentro ad un panno pesante per tenere la temperatura. Lasciar riposare a temperatura ambiente per 3 ore in inverno e 2 d'estate senza mescolare né toccare la ciotola. Quando il latte sarà cagliato mettere in frigorifero almeno due ore prima di servirlo.


P.S.  Esiste un trucco empirico per capire se la temperatura per aggiungere il caglio è giusta: inserire un dito (possibilmente pulito...) dentro il latte, toccando il fondo della pentola, e contare fino a dieci, se si resiste, la temperatura è corretta.


P.P.S se si usa lo yogurt la prima volta la cagliata risulterà più acida.

venerdì 11 marzo 2011

CREMA DI MANGO E LATTE DI COCCO

Un dessert brasiliano facile e veloce. E' di frutta... ma come tutti i dolci ha un po' di calorie.

2 manghi grandi o 3 medi - 150 gr di zucchero - 150 ml di latte di cocco - 300 ml di panna fresca freddissima - il succo di un limone - foglie di menta e cocco grattugiato per decorare

Pulire i manghi, tagliarli a fette e frullarli con il latte di cocco, tre quarti dello zucchero, il limone. Mettere la crema ottenuta in una ciotola grande. Montare la panna e lo zucchero con le fruste. Con delicatezza incorporare la panna alla crema di mango e cocco. Mettere in frigorifero per almeno un paio d'ore. Spolverare con il cocco grattugiato, meglio se fresco, e le foglie di menta.

giovedì 10 marzo 2011

MOZZARELLA IN CARROZZA

Un grande classico della cucina meridionale, un piatto che sfizia e sfama. Forse un po' calorico, ma mette allegria... la vita è breve godiamocela! Mai avere rimpianti quando si tratta di mangiare.

400 gr di mozzarella - 3 uova - 16 fette di pane in cassetta - 100 ml di latte - sale e pepe - farina - olio per friggere

Tagliare la mozzarella a fettine non troppo sottili. Togliere i bordi dal pane in cassetta. Mettere la mozzarella tra due fette di pane e tagliare a triangoli. In una ciotola o un piatto fondo sbattere le uova con il latte, il sale e il pepe. Infarinare bene e passare i triangoli nel composto di uova. Friggere nell'olio caldo finché non sono dorati.
per quattro persone


P.S. a volte aggiungo un'acciuga o dei pomodori secchi tritati fini al ripieno di mozzarella, una delizia.


mercoledì 9 marzo 2011

CREME CARAMEL

Conosciuto anche come Latte Portoghese o Latte in piedi, oggi propongo il classico dei classici, un dolce che ricorda l'infanzia e i sapori dolci che ti coccolano i sensi  e lo spirito. E' un piacere quasi sensuale affondare un cucchiaio dentro alla morbida crema, portarla alle labbra e sentire il suo sapore di vaniglia e caramello.

Per la crema:
450 ml di latte fresco -  250 ml di panna fresca - 4 uova - 100 gr di zucchero - una stecca di vaniglia

Per il caramello:
200 gr di zucchero - acqua

Far fondere lo zucchero con due cucchiai di acqua su fuoco basso fino ad ottenere un caramello biondo scuro. Facendo molta attenzione, versare il caramello negli stampini appositi e rivestirli completamente.
Preparare la crema mettendo in una casseruola la panna, il latte, la stecca di vaniglia aperta a metà nel senso della lunghezza e far scaldare a fuoco basso senza raggiungere il bollore. Far riposare una mezz'ora lasciando in infusione la vaniglia. Terminato questo tempo, togliere la stecca e versare il latte a filo sulle uova sbattute con lo zucchero. Versare negli stampini.
Mettere in gli stampini immersi per 2/3 dentro una pirofila o una teglia con acqua bollente. Far cuocere a bagnomaria nel forno, precendentemente scaldato a 180 gradi,  per circa 40 minuti.


P. S. se si formano delle bolle dentro la crema è perché il forno  e il bagnomaria erano troppo caldi. La prossima volta state attenti ed abbassate la temperatura... ;-)

martedì 8 marzo 2011

MAIALE AL LATTE

Sempre sul tema del latte oggi propongo una ricetta che è un classico di famiglia, questa è la versione di mia mamma.

1 Kg di filetto di maiale – 50 gr di burro – tre foglie di salvia – rosmarino – 1 lt di latte – olio sale pepe

Praticare dei fori nel filetto e mettere ciuffi di rosmarino, legarlo con un spago per mantenere in forma, salare e pepare. Far soffriggere in una casseruola il burro, la salvia e far rosolare la carne a fuoco vivo, coprirla col latte caldo, mettere il coperchio e quando la gran parte del latte sarà assorbito, togliere il coperchio e portare a cottura mescolando spesso (circa tre quarti d'ora- un'ora).

lunedì 7 marzo 2011

Viaggio d'inverno

Ho fatto il primo viaggio a tre mesi a bordo di una 1100 bianca, guidava mia mamma, l'unica in famiglia ad avere la patente a parte mio nonno. Vivevamo in una cittadina di montagna e quel viaggio veniva affrontato perché bisognava presentare ai parenti trasferiti al tepore della Riviera la "piccola", come mi chiamavano tutti nonostante avessi un nome. A bordo dell'auto, oltre a noi, c'erano i miei nonni, terrorizzati  dalla strada  che dovevamo percorrere. Faceva molto freddo e l'asfalto era coperto da un sottile strato di ghiaccio, persino in città. 
Il nonno avrebbe voluto prendere il volante sin dalla partenza, in fin dei conti sua nuora aveva preso la patente da un anno soltanto e poi, insomma, era pur sempre una donna. Mia madre, volitiva donna degli anni sessanta con sprazzi di femminismo ante litteram,  lo aveva incenerito con lo sguardo quando aveva osato esprimere il desiderio di guidare. Così, ingranando la prima, mentre mio padre ci salutava, era iniziato il viaggio.
Fuori il tempo minacciava neve, sulla strada due rotaie di ghiaccio rendevano la guida difficile e la situazione nell'abitacolo era più o meno normale. Io, come ho sempre fatto su ogni mezzo di trasporto, dormivo della grossa; mia nonna teneva una mano sulla culla da passeggio e mi guardava come se fosse l'ultima volta; il nonno seduto davanti,  stava appeso con entrambe le mani alla maniglia e guardava terreo in viso la strada; la giovane autista, i palmi delle mani stretti sul volante, le nocche bianche, era preoccupata di non darla vinta al suocero. Un viaggio veramente tranquillo e rilassato.  Non c'era l'autostrada e, tra il ghiaccio, la preoccupazione, le soste per darmi da mangiare, ci vollero circa otto ore per arrivare. Un'odissea, ma senza la maga Circe o Polifemo come ostacoli, solo vento, neve e ghiaccio. Lo stesso percorso oggi in un giorno di traffico normale può essere coperto in meno di tre ore. 
Questo è senz'altro da considerarsi il primo viaggio avventuroso al quale ho partecipato.  Lo ammetto non ho ricordi, ma quel primo spostamento ha il sapore del latte. 


LATTE DA VIAGGIO

Mio nonno avrebbe senz'altro tratto beneficio da svariati bicchieri di questo latte, a me piace berlo nelle serate d'inverno leggendo un bel libro. A casa. 

125 ml di latte intero - 25 ml di rhum (bianco o scuro) - una scorzetta d'arancia - zucchero - una spolverata di noce moscata 

Far scaldare a fuoco basso il latte con la scorzetta d'arancia e lo zucchero. In un bicchiere mettere il rhum. Togliere il latte dal fuoco, eliminare la scorzetta, spolverare con la noce moscata. 
Per una persona


P.S. potete aumentare indiscriminatamente la quantità di rhum, ma lasciate un po' di latte... ne vale la pena. Dopo non guidate, però.