martedì 23 ottobre 2012

LA VALIGIA

Litorale paulista, che non si trova sull'altopiano
Quando ho preparato la valigia per il Brasile è stato difficile, non perché ci saremmo trasferiti per "fino a data da destinarsi", piuttosto perché è stata una lotta mettere la roba dentro a quella valigia. Mi spiego meglio. Avevo l'armadio davanti a me, pieno di cose invernali: montagne di piumini e roba tecnica, strati di pantaloni anti vento, cumuli di guanti con imbottiture variabili, per temperature rigide e meno rigide; c'erano maglioni a diverse gradazioni di calore e colore, scarponi rivestiti di pelo o semplici, calzettoni, calze, calzamaglie. Guardavo la roba e mi veniva da piangere. Si mi scendevano dei metaforici lucciconi agli occhi perché ero felice, e triste insieme, quella roba era servita per la nostra permanenza in Cina in una zona dimenticata da Dio e da alcuni uomini. Una zona dove era considerata una temperatura mite meno quindici gradi sotto zero, un posto dove soffiava un vento, tagliente e inesorabile, misto a carbone e terra finissima. Terra finissima e carbone che si depositavano sulle tue labbra, sui tuoi polmoni, sulle tue cose. Vento inesorabile che rendeva i meno cinque gradi centigradi una temperatura primaverile, da uscire di casa con le mezze maniche. Per intenderci, faceva talmente caldo in quella zona che il garage della nostra macchina era dotato di un riscaldamento autonomo. E poi secco. Aria secca, senza neanche una minuscola goccia d'acqua. Così secco che se mettevi la crema dopo dieci minuti dovevi riapplicarla, così in un vizioso loop per tutto il giorno. Lì avevo perso ogni nozione di cambio di stagione, sia dal punto di vista atmosferico sia ambientale. Non c'erano alberi, non c'erano fiori, non c'era nulla. Solo roccia, fango, colline brulle punteggiate da mozziconi di Muraglia e un paio di fiumi gelati d'inverno, immoti d'estate. Colore imperante: le cinquanta sfumature del grigio, senza gli intemezzi sadomaso. Anche il cielo era grigio perla, sempre, in qualsiasi stagione dell'anno, ma solo dove eravamo noi, pochi chilometri più in là già era tutto diverso. Stranamente in quegli anni, e nei precedenti, abbiamo vissuto in luoghi dove tutto cambiava solo "pochi chilometri più in su o più in giù", eravamo dotati di una grande sfiga meteorologica.
Come dicevo ero davanti a quell'armadio, stracolmo di roba da sci e similari, e dovevo preparare qualche misera valigia per i primi tempi. Le nostre casse sarebbero arrivate a seguito. Che tempo fa in Brasile? Lo dice la canzone di Jorge Ben Jor "Moro num pais tropical abençoado por Deus..." (vivo in un paese tropicale benedetto da Dio... ). Tropicale. Caldo. Umido.  La gioia di pensare all'umido, al sudore, a quel caldo che ti tramortisce, a quei bei trenta gradi di ebollizione, alla foschia da caldo sull'asfalto. Puro Paradiso, ma io avevo accumulato tanto di quel freddo che mi pareva giusto portare un bel piumino pesante anche dalle parti di San Paolo. Se fino a quel momento avevo vissuto in un paese in bianco e nero, adesso mi aspettavano i colori. Verde in tutte le sue sfumature, rosso nelle varie gradazioni, azzurri come se piovesse, bianchi accecanti, gialli da tramortirti, così tanti rosa da stuccarti. Questo era il mio ricordo dei viaggi precedenti in Brasile: colori e caldo. Però desideravo il piumino. Mio marito cercava di dissuadermi, porta i costumi da bagno diceva. Ovvio che li avrei portati, ma una giacchettina a vento non sarebbe stata una cattiva trovata. No, giacchetta a vento no. Dentro quella valigia mettevo T-shirt, gonelle vaporose che non avevano visto la luce da svariato tempo, abitini leggeri, pantaloni freschi, camicie di lino. Ogni tanto ci provavo, infilavo un giacchino pesante giusto per non rimanere senza calore. Mio marito passava, gli dava un'occhiata e lo rimetteva nell'armadio. Là si suda, si ostinava a ripetere. Sono riuscita ad occultare alcune calzette di cotone negli angoli di una valigia, un magliocino di puro cashmire è stato nascosto nel doppio fondo della Samsonite, sotto le giacche di lino, lontano dagli occhi indiscreti del nemico. Ho esagerato, e mi sono pure lanciata in un paio di scarpe chiuse, non gli scarponcini da montagna, ma un paio di scarpe che potevo anche far passare per scarpe estive. Erano scarpe primaverili, nascoste sotto strati di sandali e ciabatte da mare. "Happiness is a Warm Gun" (La felicità è una pistola calda) titolavano i Beatles, per me Happiness era un maglioncino caldo. Il nemico era in agguato, non so bene come è riuscito a scovare uno scialle di lana leggera dentro al mio bagaglio a mano, eppure era nascosto così bene. L'avevo occultato dentro al mio beauty, sotto le creme e gli shampoo. Sequestrato. La mia ossessione mi stava facendo impazzire. Andavo a vivere ai Tropici, ai Tro-pi-ci. Ok, ho mollato il colpo.
Siamo partiti una mattina di metà settembre, un settembre mite e soleggiato. Niente di eclatante, ma quando hanno chiuso il portellone dell'aereo c'era il sole e faceva discretamente caldo. Il volo è stato perfetto. Siamo arrivati in orario, verso le sei del mattino, all'aeroporto di Guarulhos, a un'ora dal centro di San Paolo, di più se c'è traffico. Dogana, valigie, che come al solito erano troppe, gentile taxista che ci viene a prendere con pulmino, causa esubero bagagli. Fuori dall'aeroporto ci accoglie la mattina dell'altopiano paulista. Una mattina di primavera, perché come tutti sanno da quelle parti le stagioni sono invertite, anche se per i tropici si dovrebbe semplicemente parlare di stagione secca o umida. Nessuno può sapere che cosa ti aspetta una mattina di primavera sull'altopiano paulista, settecento metri di altitudine. Una di quelle settimane che a San Paolo capitano raramente, ma capitano, e che a volte si spingono anche a durare quindici giorni, un mese, come è accaduto quella volta. Sono quei settecento metri verso il cielo che ti fregano. Faceva freddo. F-r-e-d-d-o. Noi coi nostri pantaloni leggeri, la nostra magliettina sbracciata, i nostri sandali. A rinfrancarci nemmeno uno scialletto di lana leggera, quello del bagaglio a mano rimesso a forza nell'armadio. Io con la pelle d'oca (sì, sì lo so, per me uno stato naturale)  e mio marito che batteva i denti. L'ho guardato e lì, sul marciapiede affollato di viaggiatori, tra cui si riconoscevano i paulistani DOC, perché dotati di piumino, ho aperto la valigia e tirato fuori il maglioncino di puro cashmir occultato nel doppiofondo della Samsonite. Perché, io, in, fondo, al, mio, cuore, lo, sapevo, che, la, sfiga, meteorologica, non, ti, molla.

Nessun commento:

Posta un commento