mercoledì 21 ottobre 2015

BEIJU DE TAPIOCA - CREPE DI TAPIOCA CON FORMAGGIO

Anche se il racconto della settimana (Questi Pazzi Pazzi Letti) è ambientato sia in Brasile che in Venezuela, ho scelto una ricetta brasiliana per rappresentarlo. Questo piatto è tipico del Nord Est brasiliano e si mangia a colazione, cioè dopo che ho passato una notte passata a cadere dal letto. E' il tipico comfort food, quelli che ti consolano perché sanno di mamma e di infanzia. Di solito si serve con cocco fresco grattugiato o formaggio o entrambi, alcuni lo preferiscono naturale senza aggiunte di nessun tipo. Spesso si usa come accompagnamento per gli ingredienti tipici del Nord Est, come la Carne Secca e Salata detta Carne de Sol. Non è difficile da realizzare, però è necessario prendere un po' la mano sulla quantità di acqua, il tempo di cottura e un po' di abilità con il colino sopra la padella. Ci vorrebbe la Goma de Tapioca per realizzarlo, che si trova sotto forma di una palla dura che bisogna grattugiare con l'aiuto di un colino. E' difficile da trovare anche in Brasile, se riuscite a comprarla in qualche negozio di specialità esotiche, fatemelo sapere... mi interessa! Comunque il Polvilho Azedo (che io preferisco perché ha un sapore più marcato) o Doce (Amido di Manioca) vanno benissimo. Qui inserisco anche l'aggiunta di cocco, visto che la ricetta originale lo prevede. 

80 grammi di Goma de Tapioca o Polvilho Azedo (Amido di Manioca) - un pizzico di sale - tre cucchiai colmi di acqua - formaggio dal gusto delicato ma saporito, tipo un scamorza non affumicata o un Italico, ma anche del parmigiano non ci sta male (per l'orginale ci vorrebbe il Queijo Minas Fresco)  - cocco fresco  grattugiato (facoltativo)

Grattugiare il formaggio con la grattugia a fori larghi.
In una ciotola unire il sale all'amido di manioca, mescolare bene. Aggiungere l'acqua e lavorare con la punta delle dita fino ad ottenere un composto umido e granuloso, come quello che si ottiene quando si prepara una Pasta Brisée o una Pasta per crostata. La quantità di acqua è solo indicativa, per ottenere la giusta consistenza della "pasta" (non è esattamente una pasta, in verità) aggiungerla a poco a poco, è importante non mettere troppo liquido: la farina deve esse umida e non bagnata. Questo procedimento serve a idratare la farina in modo che quando la si setaccia in padella riesca ad aglomerarsi e a formare una crepe.
Sul fuoco scaldare una piccola padella antiaderente (diametro circa 15 cm)  porvi sopra un colino a maglia larga con l'amido, lavorare con le mani, pressando e lavorando la farina con movimento circolare facendola cadere nella padella in modo uniforme fino a formare una crepe, la crepe dovrebbe avere spessore uguale all'interno e all'esterno. Con il dorso di un cucchiaio premere la superficie per livellarla. Ci vorranno minimo quindici secondi di cottura perché la crepe sia pronta da girare, nel dubbio controllare che i bordi si siano sollevati dal fondo della padella. A questo punto la crepe è pronta per essere girata con l'aiuto di una spatola, cuocere ancora qualche secondo, la pasta cotta deve avere una consistenza flessibile. Togliere dal fuoco e unire il formaggio e il cocco (se lo usate), chiudere a mezzaluna e rimettere qualche secondo sul fuoco in modo che il formaggio fonda. Tra una crepe e l'altra pulire bene la padella con un panno carta in modo che non ci siano antiestetiche macchiette nere sulla superficie di quella nuova.
per due persone 

P.S.: Alcuni amano spalmare un po' di burro sulla crepe prima di unire il formaggio. La scelta è vostra, io preferisco di no. Se dovessero avanzare, nessun problema: metterle in un contenitore ermetico e poi scaldarle a pezzetti in padella, saranno ottime come accompagnamento per qualche crema da aperitivo al posto dei cracker. 
P.P.S: Se volete potete ungere la padella nella quale cuocete le crepes, io preferisco di no...

mercoledì 14 ottobre 2015

QUESTI PAZZI, PAZZI LETTI

La spiaggia di Natal, in fondo la lingua di sabbia di Morro do Careca
Come direbbero gli inglesi, e come provano alcuni racconti del blog sono, "accident prone", ho tendenza ad avere incidenti. Inciampo spesso, oscillo, mi scuoto come l'albero maestro di una nave nella tempesta, ma raramente cado, più sovente mi storco una caviglia. Oppure se c'è una qualsiasi barriera, palo, oggetto appuntito o sporgente, cancello pericoloso, vetrina (racconto "L'insostenibile trasparenza delle vetrine a Copenhagen"), pavé sconnesso (racconto "Attenzione caduta cani a Milano"), pietra nascosta da un ciuffo d'erba (e io ho i sandali), invariabilmente mi viene incontro e si para davanti a me in tutta la sua arroganza. Non c'è niente da fare, è più forte di loro,  devono assolutamente incontrare una parte del mio corpo. Ormai la mia imbranataggine è nota a tutti, soprattutto alle mie amiche Galline che mi aiutano a schivare gli oggetti all'urlo di "At-ten-ta!!!!". Quando ero adolescente avevo un amico che anziché salutarmi con un "Ciao, come stai?" diceva "Eccola che arriva e che inciampa", tante erano le volte in cui finivo stesa tra le sue braccia. Vero è che, in questo caso, spesso accentuavo la mia tendenza alla caduta, dato che lui era veramente carino e avrei voluto che fosse più di un amico. Mio marito è ormai abituato a sentirmi sgranare un rosario di "Porca miseria, accidenti, ma noooo, ecchecavolo" quando mi chiudo un dito nella porta finestra della cucina oppure prendo una testata nell'anta del pensile o, ancora, riesco a scottarmi il braccio infilando la teglia del Pollo con Patate nel forno. Ormai ride, mentre io lo guardo in cagnesco dicendo "Non hai nessun rispetto per il mio dolore". Vero è che rido anche io, la mia testa fra le nuvole fa parte di me e mi aiuta a creare il mito di "quella che si fa male, sempre e comunque".
Sono talmente distratta che riesco anche a far danni mentre dormo, anche se a volte la cosa non dipende proprio da me. Una delle tante volte è accaduta quando vivevo a San Paolo, in Brasile. Era la notte che precedeva un viaggio che avevo molto desiderato. La meta era Natal, un posto di magnifiche dune e mare aperto, lì avremmo anche incontrato una persona a cui tenevo molto e che si sarebbe fermata solo pochi giorni. Il volo era previsto la mattina presto e, di solito, ho tendenza ad avere un sonno leggero e agitato prima delle partenze all'alba. Ho la sindrome del "Terrore di perdere l'aereo perché mi sono addormentata". Quella notte no, dormivo come un ghiro, ero talmente rilassata da fare sogni meravigliosi. Il più bello è stato quello di rotolare lungo la duna più alta e grande di Natal, il Morro do Careca. Si tratta di una lingua di sabbia candida, lunga più di cento metri, contornata da vegetazione folta e rigogliosa, che parte dall'alto e scende a strapiombo verso il mare. In cima si gode di un panorama mozzafiato sulla meravigliosa spiaggia di Natal, lunga chilometri, dove l'oceano si infrange con onde da surfista. Un tempo si poteva salire fino in cima e scendere scivolando come su un'onda da surf, ora non più. Però, nel mio sogno il mio corpo rotolava giù, avvolto dalla sabbia, un po' come rotolavano i corpi dei protagonisti di "Zabriskie Point", prima lentamente poi sempre più veloce. La grande rotolata terminava in mare in un'esplosione di schizzi e allegria. Rotolavo, giù, sempre più giù, verso l'acqua cristallina, forse un po' fredda, ma senz'altro meravigliosa. Ad un certo punto, mentre stavo per toccare l'oceano ho sentito un tonfo e un dolore sordo alla schiena. In sogno rotolavo nella sabbia della duna, nella realtà avevo preso a rotolare tra le lenzuola, avevo esagerato e mi ero auto sbalzata dal materasso, cadendo tra il comodino e le zampe dell'antico, altissimo, letto appartenuto alla bisnonna della padrona di casa. Vedevo letteralmente le stelle, perché avevo urtato l'angolo del comodino giusto sulla nuca, toccando il suolo l'aria era uscita dai polmoni impedendomi di urlare, però devo aver fatto molto rumore, infatti una luce si è accesa nella stanza. Mio marito mi ha vista, lì, stesa a terra, inerme, stranita, stralunata e impietoso ha cominciato a ridere a crepapelle, mentre io cercavo disperatamente di alzarmi senza riuscirci. Nemmeno mi ha testo la mano, tanto si stava divertendo. Ancora oggi ricorda l'episodio in modo ilare. In quel momento l'ho odiato.
Non ho ben capito come mai, quando siamo in Sud America con mio marito abbiamo tendenza a scegliere case i cui letti sono altissimi, più alti della media europea. E' vero che abbiamo scelto anche appartamenti oltre il decimo piano, forse ci pare che stare più vicino al cielo se abbiamo una casa con un letto che guarda il mondo dall'alto. Anche in Venezuela, dunque, entrare nel nostro nostro letto era come scalare una montagna. La stanza era fantastica, completamente bianca: mobili, letto, tende, piastrelle, pareti, lenzuola, copriletto. Dormivamo dentro un letto king size, avvolti da un unico perfetto candore. Ai venezuelani piacciono molto le cose king size, letti, case, macchine, ristoranti, palazzi. Una notte mi sono alzata per andare a bere un bicchiere d'acqua in cucina. Ho tendenza a camminare scalza, deambulo veloce nei luoghi conosciuti della casa senza nemmeno accendere la luce. E' strano, ma di notte fiuto la strada, come un gatto, non sbaglio mai, arrivo a destinazione illesa come non ci arriverei di giorno. Calate le tenebre per me non esistono ostacoli di nessun tipo. Tranne quella volta. Sono entrata in cucina al buio, ho preso un bicchiere dalla dispensa e ho aperto la porta del frigo. Mi sono servita dalla bottiglia un grande bicchiere d'acqua fresca, faceva molto caldo, e ho bevuto immersa nella luce lattiginosa della porta aperta. Ho rimesso la bottiglia al suo posto e lasciato il bicchiere sul bancone. Ho ripreso il mio cammino verso la camera da letto, forse un po' abbagliata. Quando sono entrata mi sono avvicinata al letto, era buio pesto, una notte senza luna, ma sapevo esattamente dove andare per istinto. L'unica cosa che ho fatto è stato controllare di essere dalla parte giusta dell'enorme letto matrimoniale e ho toccato lievemente i piedi di mio marito. Sentito il calore del suo corpo addormentato, mi sono buttata sull'altro lato. Mi sono buttata a corpo morto, un tuffo con planata, una cosa che non faccio mai, ma vista l'altezza del letto ci stava che mi alzassi in volo prima di atterrare. Sì, prima di atterrare sul pavimento candido, duro come una lastra di ghiaccio e altrettanto freddo. Quel burlone di mio marito si era accorto della mia assenza e aveva deciso di farmi uno scherzo. Rotolando, consciamente e maliziosamente, aveva preso il mio posto nel grande letto. Mi aveva aspettata, semi addormentato, cosa che non gli ha impedito di ridere sotto ai baffi, sono sicura. Devo dire che si è molto divertito a guardarmi dall'alto, indecisa se ridere o piangere, ancora una volta incastrata, tutta dolorante, tra il comodino e le gambe del letto. A posteriori posso dire che anche quella volta, per un nano secondo l'ho molto odiato, però.

P.S. So per certo che mio marito nei momenti di tristezza ripensa a quegli attimi e torna a sorridere. E' bello sapere che si fa del bene all'umanità. No?

venerdì 9 ottobre 2015

ORECCHIETTE CON POMODORINI SCOTTATI (detti anche al punto di fumo)

Ricetta del mio adorabile amico scemo, con una modifica mia: il timo. La trovo meravigliosa per almeno tre motivi: sapore squisito, rapida esecuzione e facilissima. Un consiglio fondamentale: l'olio deve essere veramente caldissimo anzi, come dice l'adorabile, rovente, insomma praticamente deve fumare. Ecco, lo so che l'olio che supera il punto di fumo fa male, ma qui non bisogna superarlo, solo azzeccare l'attimo prima che... insomma. Ci vorranno un paio di volte prima di azzeccare la giusta temperatura, ma la pasta sarà buona comunque. 

500 gr di orecchiette fresche - 15 pomodori cigliegini o datterini - due spicchi d'aglio - tre rametti di timo fresco - 60 ml di olio d'oliva - sale pepe e peperoncino in tritato (se piace)

Tagliare a metà i pomodorini. Portare a ebollizione abbondante acqua. Pelare l'aglio, schiacciarlo con il palmo della mano e tagliarlo a tocchetti. In una grande padella, ma bella grande, unire l'olio. Sul fuoco far scaldare l'olio. Bisogna avere pazienza e aspettare che sia veramente caldo, come detto sopra. Quindi versare il pomodorini e lasciarli cuocere per un paio di minuti, girare e far cuocere ancora un paio di minuti. Unire l'aglio. Lasciar insaporire. Salare, pepare e aggiungere il peperoncino tritato. Unire il timo sfogliato. Nel frattempo cuocere le orecchiette, scolarle al dente e unirle alla padella. Saltare qualche secondo. Servire.
per quattro persone 


martedì 6 ottobre 2015

L'ADORABILE AMICO SCEMO

Ce lo abbiamo tutti, nessuno escluso. Ha una faccia birichina e gli occhi svegli, un sorrisetto monello e la battuta pronta. E' forse la persona più adorabile, quella con cui ci fa più piacere stare. A volte dice anche cose serie, però ci vuole qualche minuto prima di capire che sta parlando seriamente e si rimane spiazzati. E' quello che mette il dito finto nel tuo bicchiere di vino, che tratteggia una cosa buffa con la maionese mentre condisce la tartare di carne, che arrangia le zucchine e le cipolle sul tagliere in modo creativo (lascio all''immaginazione di ognuno sul modo in cui vengono sistemate), quello che risponde al tuo SMS con parole strane, che arrivano direttamente da una confezione dell'Ikea (per esempio, Sprutt per esprimere disappunto). E' lui (o lei, ovviamente) che cita a memoria Totò, "Frankenstein Junior" e tutte le battute di "Amici miei I-II-II". Insomma, l'adorabile amico scemo, Spezziamo una lancia nei suoi confronti, non è scemo, è come una Jessica Rabbit dello scherzo, "lo disegnano così".
Il mio è un ragazzo dai capelli sale e pepe, che suona la batteria (cos'altro poteva suonare, altrimenti?) ed è creativo di professione, nel senso che ha una professione creativa. Mi fa morire dalle risate, sempre e comunque. Non passa serata senza che si sia inventato qualcosa di carino, nulla di speciale, ma che riesce a far sorridere tutti. Molto spesso ripete vecchie battute già collaudate, eppure è in grado di rinnovarle e renderle divertenti e mai noiose. Spesso si inventa scherzi elaborati, di cui siamo vittime un po' tutti. Sono talmente divertenti e lievi, che raramente qualcuno si offende.
Ci siamo conosciuti a una festa a casa sua, una casa piccola e piena fino all'inverosimile di gente assortita, una serata divertente. Mi aveva invitata un'amica comune e quella sera, tra risate e birre, mi sono distratta e ho diementicato la sciarpa a casa sua. Il giorno dopo ho chiamato e mi ha risposto la segreteria telefonica: esordiva un clangore di vetri rotti, seguito dalla voce di Totò che diceva "Commendatore, sono al palazzo di vetro", in chiusura il amico che ridacchiava e un "lasciate un messaggio". Ho talmente riso che non sono riuscita a mettere una parola dietro l'altra nel tempo utile. Ho aspettato che fosse a casa per dirgli che sarei passata a ritirare la sciarpa. Quando sono andata, un paio di giorni dopo, lui mi ha accolto offrendomi un aperitivo, poi una cena, nel frattempo ci avevano raggiunto un paio di amici. Dimenticavo di dire che è un festaiolo incredibile, cuoco generoso e ancor più generoso mescitore di bibite, alcoliche e meno alcoliche. Da lui ho imparato a cucinare piatti che sono diventati alcuni dei miei cavalli di battaglia: Spaghetti col Granchio (http://naviezafferano.blogspot.it/search?q=granchio), Orecchiette con il Pomodorini Scottati, Penne alle cipolle. Tornando a quella una serata, è stata piacevole e si è protratta fino a notte fonda, come sempre a casa sua. Nonostante l'euforia generale non mi sono dimenticata del motivo per cui ero andata lì. La sciarpa.
"Ah sì, l'ho messa in camera da letto", aveva detto lui, distratto, mentre, indossando una parrucca arancione, serviva un bicchiere di vino a una ragazza appena arrivata. Sono andata per recuperare la sciarpa. La casa non era grande e pochi passi separavano il salotto dalla stanza da letto, ho aperto la porta, alle mie spalle la gente continuava a chiacchierare. Nella stanza la luce era abbastanza bassa, ma sufficiente perché potessi vedere la mia sciarpa che penzolava dalla maniglia della finestra, che si trovava sul soffitto, essendo la casa una mansarda, attaccata a uno dei lembi stavano una bambolina di pezza e un biglietto "Depressa perché finita birra". Ho sorriso, un po' a denti stretti, era tardi e volevo andare a casa. Ho cercato qualcosa su cui salire per recuperare la sciarpa. E i miei occhi hanno incontrato l'orrore: da sotto il letto spuntavano due gambe, avvolte in un paio di jeans, corredate da stivali da cowboy, immobili, senza vita apparente. Ho sentito il sangue defluire e prima che potessi capire cosa fosse successo, una mano si è posata sulla mia spalla. Un urlo mi è salito dallo stomaco alle labbra, ero piombata dentro un film di Dario Argento, in uno "Psycho" versione milanese. Mi sono girata e anziché Norman Bates, dietro di me stava un mostro con una parrucca arancione, denti sporgenti e radi, gli occhi maliziosi, che è scoppiato a ridere fino a piegarsi in due. Dietro tutti gli altri, in diverse fasi di risate assortite. Mi sono ripresa a stento dallo shock, ma alla fine ho riso anch'io, usando una frase che ho usato infinite volte nel corso degli anni "Ma sarai scemo!". Ero appena stata vittima della divina burla, della madre di tutti gli scherzi, quello che negli anni ha preso il nome di "Il letto", semplicemente così, senza tanti fronzoli. Non esiste una festa, una cena fra amici, una vacanza con relativa condivizione di casa, un fine settimana speciale, una notte in hotel, in cui sfoggiare "Il letto".  In queste occasioni il nostro adorabile amico scemo sparisce, lo fa con un'abilità e una lievità che ci impedisce di capire quando, e si organizza: prende un paio di pantaloni, un paio di scarpe, preferibilemente stivali, qualche calzino per maggior realismo, saccheggia gli armadi di tutti e monta il morto sotto al letto. E aspetta. Aspetta che qualcuno entri nella stanza e si accorga del pezzo di cadavere che spunta tra il tappeto e il copriletto. Nei pochi secondi che passano tra la vista delle gambe alla realizzazione che tutto è inverosimile, nella testa della vittima si affollano le ipotesi più improbabili: uno di noi che ha bevuto troppo ed è andato a coricarsi sotto al letto (la logica non fa parte di questi momenti), un ladro è entrato in casa e ha ammazzato il primo che gli capitava a tiro (logica, zero), qualcuno ha deciso di fare un pisolino sotto al letto (logica, sottozero) ,  uno è entrato striscindo dall'esterno ed è rimasto incastrato sotto al letto (qui anche solo nominare la logica è di cattivo gusto). Di solito le vittime preferite sono nuovi amici, ignari che si trovano a dover gestire una situazione di emergenza, spesso a casa loro.
E' inspiegabile, invariabilmente lo scherzo riesce. Ma è preoccupante che anche coloro i quali lo hanno subito per anni continuino a spaventarsi, dimenticando che quello sotto il letto non è che uno scherzo. Incomprensibile. Ma una domanda sorge spontanea: e se quelle gambe che spuntano fossero vere? Se in un futuro non troppo lontano dovesse capitare che uno decida di sucidarsi incastrandosi sotto al letto, come si potrebbe capire che è veramente accaduto? Semplice, basta guardarsi alle spalle e se non si trova l'adorabile amico scemo con il suo allegro sorriso... Beh, è veramente successo.

Una pallida, pallidissima imitazione de "Il letto"

ASSENZA

Dopo una lunga pausa riprendo a scrivere il blog. E' passato molto tempo dall'ultima volta, sono successe molte cose, belle e brutte, che mi hanno tenuta lontana. Forse non scriverò con la frequenza di prima, ma sono contenta di essere tornata.