mercoledì 30 ottobre 2013

ORECCHIETTE CON ZUCCA E BOTTARGA

Una ricetta che ho tirato fuori dal cilindro una domenica. La sera precedente c'erano stati degli amici a cena ed erano avanzati un po' d'ingredienti, presi singolarmente non erano sufficienti per un piatto. Li ho messi insieme ed ecco cosa è venuto fuori. 

250 g di orecchiette fresche - 200 g di zucca, non importa il tipo - 50 ml di vino bianco - due cucchiai di pinoli - un'acciuga sotto sale - uno spicchio d'aglio - due cucchiai di prezzemolo tritato grossolanamente - bottarga grattugiata -  tre cucchiai di olio - sale pepe e peperoncino 

Tagliare la zucca a dadini di un paio di centimetri. In una grande padella mettere due cucchiai di olio e far cuocere la zucca da tutti i lati finché non è morbida. Togliere dal fuoco, mettere la zucca su una carta assorbente. Aggiungere alla padella l'altro cucchiaio di olio, unire i pinoli e l'aglio. Quando i pinoli saranno leggermente tostati, aggiungere l'acciuga dissalata sotto l'acqua corrente, il peperoncino, la zucca e sfumare con  il vino bianco diluito nella stessa quantità di acqua di cottura della pasta. Portare a cottura, salare e pepare, poco prima di unire la pasta aggiungere due cucchiai di prezzemolo. Cuocere le orecchiette al dente, saltarle nella padella. Versare nel piatto di portata servire accompagnato da bottarga grattugiata di cui ogni commensale si servirà a piacere. 
per due/tre persone

mercoledì 23 ottobre 2013

UN ROMANZO E UN POSTO DI RISTORO A BRUXELLES


Questa settimana niente racconto, sto finendo il mio romanzo e quindi dedico ogni neurone del mio cervello a inventare un finale degno di questo nome. Magari un giorno lo leggerete, chissà, e scoprirete il segreto del titolo di oggi.  
Non vi lascio soli e nei prossimi giorni posterò qualche ricetta sfiziosa e magari un po' esotica, tanto per rimanere nel tema del blog quelle Navi e quello Zafferano che girano per il mondo e danno colore al nostro autunno. 
Intanto vi lascio in questo delizioso baretto di Bruxelles, dove potete gustare affettati, verdure e sfizi accompagnati da un bicchiere di vino. 

venerdì 18 ottobre 2013

FILETTO DI TROTA AL RIESLING CON CIPOLLINE GLASSATE AL MIELE

Un piatto bianchissimo, dalla carne della trota alla salsa a base di Rieslieng, con un paio di tocchi di colore. Sono appena tornata dall'Alsazia, una posto magico e bellissimo, dove ho scorperto una cucina in bilico tra Germania e Francia con una grande personalità. Questo è un piatto tipico, per la presenza del miele e del Riesling.

per i filetti di trota: due trote non troppo piccole, filetti separati da testa e spine da coservare per il brodo di pesce - 70 g di burro - una cipolla media tritata - un terzo di una carota tagliata a fettine sottilissime - un terzo di gambo di sedadno tagliato a fettine - un terzo di porro - 250 ml di vino Rielieng - un bouquet garni (foglia di alloro - due rametti di timo - qualche rametto di prezzemolo- una scorzetta di limone) - 125 ml di panna - due cucchiai di erba cipollina tagliata fine - sale pepe

per le cipolline: sedici cipolline piccole - 30 g di burro - 2 cucchiai di miele - acqua sale

Cuocere le cipolline, insieme a tutti gli altri ingredienti, in una padella sufficientemente grande da tenerle in un solo strato. Aggiungere acqua sufficiente a coprirle e cuocere con la padella semi coperta finché le cipolle non sono morbide e dorate. Tenere da parte.
In una casseruola media soffriggere la cipolla con 20 g di burro, unire il porro affettato, la carota e il sedano. Aggiungere le spine delle trote e far cuocere per un paio di minuti, quindi versare metà del vino bianco. Lasciar sobbollire per cinque minuti. Quindi unire mezzo litro d'acqua, il  bouquet garni chiuso dentro ad una garza alimentare, qualche grano di pepe portare ad ebollizione, poi abbassare la fiamma e far cuocere per una ventina di minuti. Terminato questo periodo scolare il brodo e riportarlo sul fuoco, lasciar ridurre fino ad ottenere circa 300 ml di liquido. Toglier 125 ml e mescolarli al resto del vino bianco.
Portare ad ebollizione la panna, far ridurre della metà a fuoco bassissimo. Unire il brodo avanzato e lasciar ridurre per cinque minuti. Salare pepare (meglio il pepe bianco in questo caso). Passare nel colino e tenere da parte.
Accendere il forno a 180 gradi. Ungere una teglia e disporre i filetti di trota, salare pepare. Irrorare con la mistura di vino e brodo, e portare in forno per 5/10 minuti, finché i filetti non siano cotti.
Al momento di servire, scaldare la salsa alla panna, e con l'aiuto di una frusta unire il resto del burro tagliato a dadini. Mescolare per ottenere un'emulsione liscia. Dividere i filetti nei piatti di portata, coprire con la salsa, aggiungere le cipolline e decorare con l'erba cipollina. Servire immediatamente con riso bollito
per quattro persone 

giovedì 17 ottobre 2013

CUPCAKES AL BACCALA' CON CREMA AL RAFANO

Il tema della settimana è il bianco, si possono fare molte cose bianche. La pasta con Burro e Parmigiano, la Panna Cotta alla Fontina con salsa di Parmigiano, le Sogliole alla Mugnaia, il Cheecake Salato alle Erbe, e via elencano pietanze bianche. Ma anche questa ricetta non mi pare niente male, si può comunque fare anche con il salmone e la trota affumicate. Con il baccalà ha un sapore più forte e che si sposa benissimo col rafano che aromatizza la panna.

200 g di farina - 70 g di ricotta - 100 ml di latte - 100 g di baccalà affumicato tagliato a dadini  - 2 cucchiai di daikon tagliato a julienne e poi a dadini minuscoli - 2 cucchiai di erba cipollina - 3 uova - 10 g di lievito chimico - sale pepe

150 ml di panna fresca da montare - un cucchiaio scarso di rafano (anche in conserva) - erba cipollina tagliuzzata per decorare.

Stemperare la ricotta col latte, unire le uova e sbattere bene. Mescolare la farina col lievito. Unire ai liquidi il baccalà, il daikon, l'erba cipollina, la farina, salare pepare. Lavorare bene il composto finché non è omogeneo, mettere nella formine da cupcake, riempirle per tre quarti e livellare bene, e cuocere in forno a 180 per mezz'ora/cinquanta minuti secondo la grandezza delle formine. Far raffreddare e mettere i cupcakes nei pirottini da pasticceria. Se i cupcakes avessero assunto la classica forma bombata di un dolce lievitato, tagliare "la testa" in eccesso con un coltello in modo da creare un pasticcino piatto. Montare la panna, unire con delicatezza il rafano senza farla smontare. Decorare ogni cupcake con la panna e spolverare con l'erba cipollina.
per dodici pasticcini

mercoledì 16 ottobre 2013

BIANCO


Oggi anziché il solito racconto di viaggio o ricordo d'infanzia, di vita vera e vissuta vi presento uno dei miei racconti usciti dalla mia fantasia. Nasce qualche anno fa in subito dopo una nevicata a Milano, la città era perfetta, romantica e silenziosa. Ho immaginato i miei due protagonisti in quella mattina, rara e insolita. Il ristorante citato non esiste più, ma era un luogo che mi piaceva molto, rustico ed elegante, altri hanno preso il suo posto e i miei protagonisti potrebbero trovarsi davanti ad uno di questi. 




Silenzio. È insolito, il silenzio. Nessun tram che sferraglia, nessuna sirena che urla o un clacson che protesta nervoso, nemmeno il brusìo ossessivo del traffico.
Solo una rumorosa quiete lo aveva svegliato e lui era rimasto lì, nel dormiveglia, a chiedersi perché questa mattina Milano sembrasse dormire ancora. Bip-biiip-bip-bip. Le sette meno un quarto, Lucio aveva spento la sveglia che continuava a bippare antipatica. Piano, piano aveva portato la gamba destra fuori dalle lenzuola. Freddo. Si era girato sul fianco, si era messo seduto sul bordo del materasso ed era rimasto immobile, così, per alcuni secondi a saggiare lo stato di risveglio. Avrebbe avuto voglia di sdraiarsi di nuovo e tornare a dormire, ma in quel modo non avrebbe scoperto che cosa era successo alla città quella mattina. Allora, appoggiando le mani al materasso si era alzato e aveva tirato su la tapparella sulla via, dove gli alberi avevano i rami nudi e scuri già da un mese. Una meringa. Attraverso il vetro, la via sembrava un’enorme torta di panna con pezzetti di meringa e stecche di cioccolato come decorazione. Neve. Silenzio. Bello, si era detto Lucio con un sorriso sghembo.
“Quando smetterà di nevicare sarà acqua, fanghiglia, scarpe bagnate, poltiglia grigia, pozzanghere profonde come un mare, però oggi è bello”, pensava mentre si faceva la barba in bagno e guardava la sua faccia allo specchio. Il volto scavato, il naso affilato, le orecchie leggermente a sventola. Tutto sommato niente male, si era complimentato mentre spalmava il dopobarba.
La neve continuava a cadere in grandi fiocchi irregolari mentre Lucio faceva colazione. Lo speaker di Radio Popolare commentava le ultime notizie della rassegna stampa e diceva che avrebbe smesso di nevicare solo verso sera, che in quel momento i mezzi di trasporto erano fermi, che solo la metropolitana stava funzionando, e la città sembrava un deserto.
“Non prendete la macchina”, si raccomandava con voce morbida.
“Chi può permettersi una macchina”, diceva Lucio rivolto alla gatta che lo guardava con i suoi grandi occhi ambrati. Lui era un ragazzo da metropolitana e, ci avrebbe scommesso, quella mattina ci sarebbe stato un gran bel casino. Lucio si era vestito, non doveva perdere la metro delle otto e mezza. Ammesso che le corse fossero regolari. Mentre indossava il cappotto aveva buttato un’occhiata all’orologio. Accidenti, si era perso a guardare il panorama ed era in ritardo. Fuori l’aria era fredda, le orecchie improvvisamente gli avevano ricordato che il cappello era rimasto sull’appendiabiti. Si era girato per tornare indietro. “Se prendo il cappello, perdo la metro”. Ci aveva ripensato. “Non importa, che vuoi che sia un po’ di neve sulla testa”, si era detto ignorando la calvizie incipiente infreddolita.  
Nella metropolitana c’era tanta gente e faceva caldo, la testa e la faccia gelate si erano messe a pulsare stimolate dal calore. Schiacciato fra un signore in completo grigio e un ragazzo con lo zaino sulla schiena Lucio respirava appena.  Alla fine, dopo qualche fermata, era riuscito a sedersi. Come tutte le mattine aveva indossato le cuffiette e in quel momento Thelonius Monk e il suo quartetto lo isolavano dal mondo. Era libero di correre con la mente. Galoppava e scorreva gli ultimi mesi. La metro delle otto e mezza, sì, sì, era riuscito a prenderla.
La incrociava tutti i giorni alle nove davanti al Tintero. Anche se lavora lì vicino, Lucio al Tintero non ci aveva mai messo piede. Lui non pranzava mai fuori dall’ufficio, e meno che mai al ristorante, gli sembrava una perdita di tempo, meglio un panino alla scrivania, prosciutto e burro, glielo portava sempre il suo amico Giovanni. Adesso, però, il Tintero era diventato il suo posto preferito, perché lì davanti incontrava quella ragazza così carina. Non tanto alta, minuta, con una massa di riccioli rossi e la pelle chiara, aveva un sorriso luminoso. Lucio ignorava il suo nome e non aveva mai osato fermarla per chiederglielo, anche dopo che si erano scambiati il primo saluto. “Buongiorno” aveva detto lei, “Buongiorno” aveva risposto Lucio. A volte, seduto in metropolitana, si era immaginato mentre le rivolgeva la parola raccontandole che era un programmatore di computer, che lavorava in un grande ufficio e, nella sua testa, si era spinto addirittura a chiederle di pranzare insieme. Tutto sempre chiuso nella sua testa. A immaginare e mai osare. Quella testa che aveva inventato situazioni e parole, proposte, inviti. A volte accettava, a volte rifiutava, ma la voce delle risposte era sempre quella di Lucio. Certo, lei lo guardava con quel suo sguardo vellutato, quello che usava tutti i giorni per ricambiare il suo buongiorno, ma nella mente di Lucio la voce non c’era. Solo sguardo. Forse, quello sguardo era una risposta silenziosa.
Anna, ha la faccia da Anna. Una sera Lucio si era sorpreso a sceglierle un nome, almeno avrebbe smesso di essere Lei o la Rossa Carina. Che anche quel giorno avrebbe incontrato. Oppure no?
Quella mattina uscendo dalla metropolitana Lucio era rimasto a bocca aperta. Era proprio un giorno speciale, irreale, surreale, fantastico. Intorno a lui c’era il deserto, nevicava e lo spettacolo era magnifico. La mole imponente del Castello Sforzesco s’intravedeva appena attraverso la foschia e i fiocchi che cadevano fitti. Lucio camminava cauto, passi incerti, per non rovinare lo strato di neve intonsa e perfetta. Thelonius Monk continuava ad accompagnarlo, con quella musica struggente e cullante. Si era fermato un attimo, aveva respirato, la testa già ghiacciata, le orecchie fredde, aveva sorriso. Poi, si era avviato verso l’ufficio. Le nove e cinque, il cuore si era fermato di un battito, sono le nove e cinque. “L’ho mancata. Accidenti l’ho mancata”, quasi gli erano salite le lacrime agli occhi. Invece l’aveva vista. Camminava lungo Foro Bonaparte, arrancando un po’ nella neve. Il piumino verde mela e il cappello nero coperto da un monticello di fiocchi la facevano sembrare un insolito, gigantesco pasticcino. Teneva le mani in tasca e si era guardata intorno, come se stesse cercando qualcuno. Poi aveva visto Lucio gli aveva sorriso. Un sorriso grande, luminoso. Il sorriso di chi ha quello che vuole. Lucio si era preparato a dire il solito “Buongiorno”, come tutte le mattine. Aveva inspirato l’aria fredda e aveva sorriso anche lui. Il sorriso di chi ha trovato quello che cercava. Lei si era avvicinata, lenta, nella neve alta. A un certo punto aveva fatto una specie di affondo, le braccia tese davanti a sé. Era sembrata cadere, cadere verso Lucio che aveva tirato fuori la mano dalla tasca e l’aveva afferrata. Lui non aveva mosso un muscolo, rimasto senza fiato dopo quel primo contatto fisico. Aspettava. Gli occhi castani di lei fiammeggiavano di una strana furia, erano profondi e intensi. Poi lo aveva afferrato per il bavero del cappotto e lo aveva guardato dritto negli occhi per qualche secondo. Sembrava volerlo rimproverare per qualcosa, ma non aveva detto nulla. Lucio era rimasto immobile a guardarla, lei allora di colpo aveva passato le mani dietro la nuca di lui e si era avvicinata. Si era avvicinata pericolosamente al viso di Lucio, paralizzato, poi con le labbra aveva sfiorato le sue. Una lunga scossa aveva percorso la colonna vertebrale di Lucio, una luce era esplosa dietro ai suoi occhi. La bocca di lei era soffice contro la sua. Un bacio duro, brusco però. Lucio era impietrito, si sentiva come se il ghiaccio di quella mattina gli fosse entrato dentro. Non accennava a muoversi. Allora, lei aveva dischiuso le labbra e con la lingua aveva dato leggeri colpetti al labbro di Lucio che aveva risposto automaticamente movendo la lingua al suo ritmo. Il tempo si era fermato, le mani di lei frugavano sotto il cappotto. Lui era rimasto immobile, basito, esterrefatto. Sentiva dentro un calore che scioglieva il gelo di prima, che liquefaceva ogni inibizione, ogni timidezza. Dopo lo stupore Lucio aveva preso coraggio e si era avventurato nel piumino verde, cercando il suo seno, sorpreso di trovare solo una camicetta, stupito di non sentire un reggiseno. Si erano baciati come se fosse l’ultima volta, come se non ci fosse stato nessun altro al mondo. Intorno a loro non c’era l’urlare delle sirene, non c’era lo sferragliare dei tram, non c’erano i passanti, solo il silenzio della neve che continuava a cadere nel cappello nero rovesciato a terra. Si erano sfiorati, toccati, senza scambiarsi nemmeno una parola. Le mani avevano accarezzato, palpato, inquiete, dure, eccitate. Lui tremava indeciso, frugale, timido. Lei mugolava leggermente, più audace, sfacciata. All’improvviso lei si era staccata, guardandolo di sottecchi, si era abbassata a raccogliere il cappello, aveva scosso via la neve e lo aveva rimesso in testa. Si era girata, “Buongiorno”, aveva detto. Lucio aveva risposto meccanicamente “Buongiorno”, come aveva fatto tutte le mattine, alla stessa ora, per tre mesi. Lei era si allontanata lasciandolo fermo sul marciapiede innevato; l’orologio di Lucio segnava le nove e venti; Thelonius Monk aveva smesso di suonare da un bel po’. 

venerdì 11 ottobre 2013

BOCCONCINI DI POLLO CON ZENZERO E PRUGNE

Un piatto veloce da fare, per chi ama il contrasto dolce salato.

mezzo chilo di petto di pollo - sei prugne secche denocciolate - un centrimetro di radice di zenzero fresco  - 75 ml di acqua - due cucchiai di vino bianco secco - tre cucchiai di olio d'oliva - farina - sale pepe

Tagliare il petto di pollo a dadini di un paio di centimetri per lato. Tagliare le prugne a dadini piccolissimi e lo zenzero a bastoncini. In una padella scaldare l'olio, unire lo zenzero e far cuocere per un paio di minuti. Aggiungere il pollo e farlo dorare da tutti i lati, quindi le prugne, lasciar insaporire un istante. Sfumare con il vino bianco. Quindi unire l'acqua tiepida in cui si sarà stemperato un cucchiaio di farina, portare a cottura lasciando che si formi una cremina densa. Servire.
per quattro persone 

mercoledì 9 ottobre 2013

CREMA DI ZUCCA E FINOCCHIO CON MENTA E PISTACCHI

Una ricetta nata in una sera d'autunno quando i primi freddi cominciano a far desiderare qualcosa di caldo e avvolgente. Aperto il frigo ecco che vengono fuori un paio di spicchi di una zucca piccola e un finocchio che farne? Sotto il risultato. 

400 g di zucca gialla pastosa - un finocchio di medie dimensioni - mezza cipolla bionda - uno spicchio d'aglio - una fettina un po' spessa di zenzero fresco - un paio di cucchiai di pistacchi possibilmente non salati (ma vanno bene anche quelli in mancanza) - un cucchiaio di menta tritata - olio sale pepe

Sbucciare e tagliare la zucca a tocchetti. Fare delle fette spesse con  il finocchio tagliato a metà. Tritare la cipolla. In una casseruola scaldare due cucchiai di olio unire la cipolla e farla sudare, aggiungere lo zenzero tagliato a bastoncini e l'aglio schiacciato. Lasciar insaporire qualche istante giusto il tempo che l'aglio e lo zenzero sviluppino i loro profumi. Unire la zucca e il finocchio, far cuocere così per qualche un paio di minuti. A questo punto aggiungere un litro e mezzo di acqua tiepida e portare ad ebollizione, abbassare la fiamma e cuocere per venti/trenta minuti su fuoco dolce. A metà cottura salare con un cucchiaino di sale grosso. Pepare a piacere, ma non troppo. Tostare leggermente i pistacchi (se sono quelli salati saltare questa parte) in una padellina senza grassi aggiunti. Passare la minestra nel mixer o con il frullatore ad immersione finché non diventa una crema liscia. Mettere nei piatti o ciotole i portata. Decorare con un po' di pistacchi tostati, la menta, una grattata di pepe. Servire.
per quattro/sei persone 

martedì 8 ottobre 2013

KITTY IN VERDUN


A volte le cose serie si mischiano alle cose più facete e danno origine a storie intrise di tenerezza. Credo che questa che vi racconto oggi sia una di quelle.
La cittadina non è grande, la Mosa scorre placida nel suo centro. E' famosa per una cruentissima battaglia della Prima Guerra Mondiale e molti angoli della città sono dedicati al ricordo dello scudo fatto dai francesi contro i tedeschi. Elmetti, divise d'altri tempi, fucili con la baionetta innestata, generali che guardano l'orizzonte, queste le immagini in basso e alto rilievo scolpite nel marmo dei monumenti. Ma questi sono i dettagli di una cittadina con un'eleganza d'altri tempi, dove i popoli si sono scontrati ed incontrati. Le costruzioni parlano di una città di rilievo politico e strategico in un passato lontano, muri fortificati e edifici testimoniano la sua importanza almeno dal 1600. Verdun è una delizia, tranquilla, silenziosa, nobile e a tratti troppo placida. Accogliente con la ruvidezza della gente abituata a stare sola, a guardia di un confine. Una rivelazione. L'eleganza e la pacatezza delle vie cittadine riconciliano con la vista di campi di battaglia, di cui si possono solo immaginare le trincee, il clangore delle armi e l'odore del sangue durante gli scontri tra i soldati. Oggi anche nei campi regna il silenzio, accompagnato solo dal sibilo del soffio di una brezza leggera. Il verde accecante e la terra coltivata riportano ad un'Europa di oggi, dove le barriere sono cadute e non si combatte più per conquistare il territorio di un altro paese. Si è uniti, senza confini e frontiere. Un sogno che un soldato della Prima, e anche della Seconda, Guerra Mondiale non avrebbe nemmeno potuto sognare. Nella notte i monumenti si illuminano di luce artificiale e il silenzio si fa ancora più irreale, accompagnato solo dallo scorrere del fiume lungo il viale alberato oggi isola pedonale. Avanti, in fondo ad una via, un monumento ricorda i caduti di una delle guerre, una frase di un generale francese ne esalta l'eroismo. Il monumento è bello, una ripida scala porta in alto, verso una scultura che prende tutta una parete e che sta in mezzo alle frasi di rito per ogni monumento dedicato ad una guerra. Si domina la città, la si sovrasta dall'alto, lo sguardo spazia oltre i tetti delle case del centro, oltre al fiume e gli edifici sulla riva, oltre verso i campi che la vista non coglie. Dietro un giardino pieno di alberi. Un monumento che suscita, nella sua imponenza, un attimo di raccoglimento al pensiero di chi ha combattuto e non è tornato a casa. Ad un certo punto da uno dei lati del monumento-scultura è arrivata lei. Nera come la notte e gli occhi gialli come una luna che sorge. Ci ha guardati, sembrava che gli occhi sorridessero, che fosse contenta di vederci. "Vi ho trovati e vi tengo stretti," diceva con la coda alta e il suo strusciarsi contro le nostre gambe. Una carezza, una smanceria, il pelo liscio e morbido senza una chiazza, senza una macchia più chiara, perfettamente nera, tutta. Due carezze e una grattatina alla gola e tra le orecchie e subito è partito un concerto di fusa goduto e felice. Piccola, leggera, si è lasciata prendere in braccio, accarezzare. Il suo musetto umido contro il collo, pronta a venire via con noi in piena fiducia. Ma il nostro viaggio era lungo, lontano da lì e lei non avrebbe potuto seguirci. A malincuore l'abbiamo lasciata sui gradini del monumento, su quei gradini ripidi come una picchiata d'aereo. Lei si è seduta, ci ha guardati scendere, ne abbiamo percepito la delusione rassegnata. La sua coda sembrava dire vi perdono per avermi illusa. E' rimasta immobile a guardarci scendere finché non siamo diventati un puntino lungo il fiume, giù in  basso. Le avevamo già scelto un nome, Verdun si sarebbe dovuta chiamare se l'avessimo portata con noi. Verdun, come la città da dove proveniva e in ricordo di un'unità Europea non ancora perfetta. Kitty of Verdun, micia nera e nobile.

domenica 6 ottobre 2013

IN VIAGGIO

Sono stata in viaggio, per un certo periodo di tempo. Un viaggio in cui ho raccolto sensazioni e ricordi per poi trasmetterli nei miei racconti. Vi lascio un assaggio di quello che ho trovato nel corso di questo mio peregrinare per l'Europa, a voi indovinare i luoghi. Vi aiuto, sono il cuore pulsante dell'Europa, economica e politica, con qualche detour in luoghi ameni.