venerdì 29 novembre 2013

BISCOTTO CON GOCCE DI CIOCCOLATO, ALBICOCCA E PINOLI

Cosa mangerebbe un bambino che deve strappare le erbacce con le mani, se potesse? Una manciata di questi biscotti, appena usciti dal forno caldi e fragranti con un bicchiere di latte freddo. Un grande classico dell'infanzia.

750 g di farina 00 - mezzo cucchiaino di bicarbonato di sodio - mezzo cucchiaino di lievito in polvere per dolci - 300 g di burro a temperatura ambiente - 200 g di zucchero di canna chiaro - 50 g di zucchero semolato - un uovo grande - un cucchiaino di estratto di vaniglia - 200 g di gocce di cioccolato - venti albicocche secche, circa, tagliate a pezzettini - 50 g di pinoli  - un pizzico di sale

Mescolare la farina con il bicarbonato, il lievito in polvere e il sale. Nel mixer mettere il burro e gli zuccheri, montare con le fruste finché non sono belli spumosi e leggeri. Unire la vaniglia e l'uovo. Abbassare la velocità del mixer e aggiungere la farina a poco a poco. Alla fine unire le albicocche, i pinoli e le gocce di cioccolato. Far cadere piccoli monticelli di composto sulla placca del forno rivestita di carta forno. Cuocere nel forno a 180 gradi, cambiando verso alla placca metà cottura, per circa 15/20 minuti. Far raffreddare.
per 48 biscotti

mercoledì 27 novembre 2013

UN DESIDERIO AVVERATO


Ogni tanto pubblico uno dei miei racconti, quelli più letterari, che non parlano di vita vissuta, ma narrano una storia. Questo è stato scritto per una rivista per ragazzi. 




Siccome avevo preso un altro brutto voto, mio padre mi disse:
- Va bene, allora oggi verrai con me a lavorare. Così vedrai come si fatica! –
Andava a portar piante, rastrellare foglie e tagliare erba con il suo potente tagliaerba.
Quel girono doveva occuparsi niente meno del giardino dei terribili Lorchitruci.
I Lorchitruci erano la famiglia più ricca e potente della collina. A me facevano paura due cose di loro: il nome, perché mi veniva da pensare a degli orchi molto truci; e il giardino, appunto, perché era chiuso da una muraglia gigantesca dietro la quale chissà cosa mai si nascondeva.
Arrivati davanti alla villa, il cancello si era aperto rivelando cosa stava dietro agli alti muri di cinta. Il giardino dei Lorchitruci era diverso da come me lo ero aspettato, era grande e sul davanti c’erano delle piccole fontane che gorgogliavano, tante aiuole fiorite e molti alberi frondosi. Nulla di mostruoso, niente piante carnivore giganti, nessun antro umido e inospitale, solo fiori, sole e erba. Tanta erba. 
Avevo appena cominciato a strappare le erbacce quando dalla casa uscì un ragazzino. Da lontano mi sembrò che fosse più grande di me, ma quando si avvicinò mi accorsi che aveva più o meno la mia età. Si piazzò a gambe larghe sopra di me e iniziò a fissarmi, tirai su lo sguardo e vidi che aveva gli occhi di un colore insolito, tra il giallo e il verde quasi come quelli di Tommy, il mio gatto. Tommy era scomparso l’anno prima durante una nevicata e insieme a mio padre lo avevo cercato a lungo, inutilmente. Nella tormenta lo avevo chiamato, cercato e, alla fine pianto, mi mancava molto Tommy. Lo avevo amato a tal punto da aver desiderato che si trasformasse in un bambino con il quale giocare. Senza di lui soffrivo. Alla fine, rassegnato alla sua scomparsa, mi ero consolato con un cane che avevo chiamato Carlito. Carlito era più ubbidiente, ma meno divertente.
Il ragazzino continuava a guardarmi e quando lo fissai anch’io strizzò gli occhi gialli ed emise un suono dalla bocca, come un sospiro rauco, poi si girò e scappò agile tra le aiuole. Chiesi a mio padre chi fosse.
- Uno che i Lorchitruci hanno trovato l'anno scorso per strada, era sporco e affamato e infreddolito - tagliò corto mio padre. Era un uomo di poche parole mentre lavorava, non amava sprecare energie.
Continuai a strappare le erbacce, la giornata era calda e il cielo era limpido. Sentivo il sole scaldare i miei capelli neri e dopo un po’ avevo la bocca impastata dalla sete. Lo dissi a mio padre che stava vangando un tratto di giardino dove avrebbe piantato delle erbe aromatiche.
- Vai dalla cuoca. –
Io rimasi lì a guardarlo in attesa di spiegazioni, ma lui continuava a vangare.
- Papà dove trovo la cuoca? - chiesi
Mio padre sembrò risvegliarsi da un sogno, scosse la testa e rispose
- In cucina. Sul retro della casa, prima porta a sinistra. – indicò con la mano libera, poi riprese a lavorare.
(1- continua il prossimo mercoledì) 

venerdì 22 novembre 2013

BARCHETTA DI FINOCCHIO CON MOZZARELLA E ARINGA

Non sapevo cosa inventare per la ricetta di oggi. Diciamo che a volte è difficile mantenere il tema scelto  quella settimana poi, dovevo pranzare e non avevo molto tempo, come la giornalista del racconto che vive sempre sul filo del rasoio. Mi è venuta in mente questa ricetta che avevo inventato per una cena tra amici, velocissima e sfiziosa. Un connubio tra nord e sud, Italia e Scandinavia. Le quantità sono variabili, si parte dal finocchio e da quante "barchette" si riesce a estrarre sfogliandolo. 

mezzo finocchio biologico (è più piccolo e saporito) - mini bocconcini di mozzarella di bufala - un vasetto di aringhe marinate con l'aneto e il ginepro - rafano grattugiato (se trovate quello in radice stemperarlo con un po' di panna o yogurt) - cipollotto fresco - taralli alla farina di grano duro

Sfogliare il finocchio e tagliarlo in modo da ottenere tante piccole barchette in cui ci possa stare mezza mozzarellina. Con un coltello affilato livellare la rotondita delle barchette, in modo che stiano perfettamente appoggiate, senza intaccare la "carne". Depositare pochissimo rafano all'interno delle barchette. Tagliare a metà le mozzarelline, "incastrarle" dentro alla barchetta. Appoggiare l'aringa e sopra unire una piccola rondella di aringa. Dentro a un mortaio, pestare i taralli grossolanamente per ottenere una sorta di granella. Spolverare ogni barchetta con la granella di tarallo. Servire immediatamente, la granella di tarallo non deve diventare umida.

giovedì 21 novembre 2013

PANINO CON PEPERONE AL FORNO, FONTINA E CREMA DI OLIVE

Cosa mangiava la giovane cronista protagonista del racconto di questa settimana? Mangiava poco, per stare dietro a tutto doveva rinunciare a qualcosa, quindi alla pausa pranzo. Si nutriva principalmente dei toast del bar di fianco alla redazione, pessimi, qualche insalata, altrettanto ingodibile. Un panino così sarebbe stato lusso sfrenato. Sono finiti quei tempi oggi mangia molto meglio e ha qualche chiletto in più. Le sarebbe comunque piaciuto questo panino, adatto a chi digerisce perfettamente i peperoni, è vero, vegetariano e sfizioso. 

due peperoni (uno giallo e uno rosso, per fare colore, ma non è necessaria questa differenza) - 200 g di fontina tagliata sottile - una baguette - una manciata di rucola - 125 g di crema di olive (si può farla in casa o comprarla) - quattro acciughe sott'olio - olio aromatizzato all'aglio - sale pepe 

Mettere i peperoni in una teglia, condirli con un filino di olio all'aglio, sale pepe e cuocerli in forno a 180 gradi ficnhé non sono morbidi. 
Tagliare in quattro al baguette, e poi a metà nel senso della lunghezza, spalmare con la crema di olive. Su ogni metà mettere i peperoni tagliati a falde, la rucola, un'acciuga e finire con la fontina. Chiudere i panini e servire.  
per quattro persone

mercoledì 20 novembre 2013

CATTIVE COMPAGNIE

Una strada che non bisogno di viadotto 
Ero una giovane giornalista nella redazione di un settimanale locale e mi toccavano le corvée delle matricole. La mia passione è sempre stata il cinema e mi avevano assegnato la rubrica "Il film della Settimana", ma quello non bastava, il giornale voleva di più. Ero una sorta di jolly, vagavo da un argomento all'altro, saltando a piè pari dall'aia del signor Giovanni, dove erano scomparse le galline Gianna e Federica, alle interviste con i politici locali, passando a prestigiosi, e ambiti, in verità, articoli sulle sagre di paese. Come novizia era necessario che mi creassi quella rete di conoscenze e "puntelli" che servivano per arrivare dove un giornalista deve arrivare, cioè ovunque. Distribuivo come caramelle biglietti da visita, numeri di telefono, recapiti e suggerimenti sul come mettersi in contatto con me, in modo da non perdere neanche un "gancio". Passavo la maggior parte del tempo fuori dalla redazione in cerca di notizie, fiutando l'aria, annusando il terreno come un segugio ben addestrato. E in provincia le notizie latitano abbastanza, quando non sono del tutto assenti. Nei miei vari appostamenti e scarpinate venivo a conoscenza della vita amatoria e sessuale di molti cittadini a volte sconosciuti, ma più spesso conosciuti. Raramente nutrivo questo gossip casereccio, non era certo il caso che scrivessi che tizio era l'amante di caia, il giornale ne avrebbe ottenuto una bella querela e io perso qualche amico. Sbavavo per gestire i pezzi, così si chiamano in gergo gli articoli, soprattutto quelli più interessanti. Facevo carte false e spesso alla riunione di redazione affondavo i denti nella preda, il pezzo agognato, nei pochi secondi necessari a riflettere dopo la domanda del direttore "chi vuole occuparsene?". Spesso i pezzi mi venivano gentilmente consegnati proprio in quella frazione di secondo, un po' per la mia prontezza di spirito e, soprattutto, dall'esitazione dei miei colleghi. Se ci avessi messo un attimo in più a prendere fiato, ti avrei bruciato sul tempo.
Quella volta invece il pezzo era roba mia, l'avevo portato io ed era la conseguenza di un articolo che avevo scritto qualche mese prima. Il tema centrale era il raddoppio di una strada, il cui viadotto andava a collocare le  pile giusto in mezzo a un cimitero, anzi giusto in mezzo alle tombe dei notabili della città. Quelle belle tombe che sembrano cappelle, con angeli volanti, veneri piangenti o in assorta meditazione, croci arzigogolate, sculture e decorazioni opulente. La strada partiva dal basso e poi pilone basso, dopo pilone medio, dopo pilone alto sarebbe dovuta entrare in una lunga galleria che avrebbe sfoltito il traffico sulla strada principale, come un taglio di un bravo parrucchiere sfoltisce una chioma troppo folta. Il dramma era subentrato alla notizia che alcune cappelle, insieme a tombe più proletarie nella terra, avrebbero dovuto essere spostate insieme alle care salme. Era scoppiato un vero polverone, con attacchi da varie parti, carte bollate, richieste di articoli, insulti che volavano. Io stavo in mezzo alla bufera, foglia svolazzante in cerca di notizie. Il mio coinvolgimento era dovuto a uno dei miei ganci, amico dell'amico dell'amico che mi aveva procurato un'intervista con la proprietaria di una delle tombe deluxe. Un vero colpo di mano, perché a quel punto mi avevano asseganto l'intera inchiesta. E vai! Un'intera inchiesta significava firma sotto al pezzo, svariate settimane di vita frenetica, senza dover procacciare nulla, e una discreta somma di denaro. Quest'ultima cosa di non secondaria importanza, visto che lavoravo come free lance; eufemismo per indicare i giovani cronisti che non sono ancora stati assunti dal giornale, chissà quando lo saranno, cioè i peones che lavorano a cottimo, e un manipolo di giornalisti talmente bravi, integri e in gamba, da essere ambiti da chiunque abbia un giornale e quindi loro snobbano tutti e lavorano in proprio. Questi ultimi sono pochi, ma superlativi. I primi abbondano, pullulano, sono una moltitudine e parecchi dopo un po' mollano, trovano un mestiere più redditizio. E forse di minor soddisfazione.
Tornando a bomba, insomma con quella strada avevo in mano l'oro.
In quelle stesse settimane era scoppiato un caso ancora più clamoroso, eclatante, intrigante ed esaltante.  C'era un tizio che si dilettava a uccidere signore dalla facile moralità, per l'esattezza professioniste del sesso. La polizia aveva stabilito che dovesse essere unO e non unA. Ne aveva ammazzate già due, strangolandole a casa loro, dopo aver pagato la prestazione. Insomma un cliente insoddisfatto. Forse. Non erano gli anni di CSI, RIS e varie sigle che analizzano la scena del crimine, erano gli anni ruspanti della Scientifica e della polizia che indagava senza particolari supporti elettronici se non un computer e un cervello. L'era 2.0 era iniziata, ma era ancora molto, molto acerba. In quelle settimane c'era molta agitazione nel mondo del giornalismo, un'euforia tipica del cinismo dei giornalisti: la città pullulava di buone notizie e le buone notizie per un giornalista, sono pessime per il resto del mondo. Avrei ucciso per occuparmene, ma avevo la mia strada.
Io lavoravo al mio pezzo sul cimitero spaccato in due dal viadotto e analizzavo molti progetti, dati tecnici e intervistavo persone. Avevo un contatto, un contatto eccellente. Si trattava del guardiano del cimitero, un personaggio interessante. Un passato di studente politicizzato, una quasi laurea in filosofia, mi accoglieva alla sua scrivania, sulla quale spiccavano una copia della Critica della Ragion Pura  di Kant, due quotidiani, "La Stampa" e "la Repubblica", un telefono e un blocco per prendere appunti. Penne ordinate per colore, matite perfettamente spuntate e righelli messi per ordine di grandezza. Mi teneva aggioranta su quanto accadeva nel suo regno, furti di piante, violazioni di tombe, spostamenti di vasi con fiori recisi, vandalismi, tutte quelle piccole cose che potevano diventare un grande articolo in mancanza di meglio o un rimpitivo in caso di affolamento di notizie importanti. Era prezioso per le mie ricerche, una fonte inesauribile di anedotti, indirizzi, numeri di telefono e custode deille lamentele dei parenti dei cari estinti. Era un biondino sulla quarantina, un po' stempiato, non pulitissimo e nemmeno troppo bello, ma chiacchieravamo amabilmente prima di metterci al lavoro. Mi telefonava spesso in redazione, mi aggiornava su quasi tutto. Ero molto fiera del mio contatto, che passavo volentieri ai miei colleghi non essendo una persona gelosa. Tutti i miei colleghi mi prendevano in giro, persino quelli delle altre testate, sostenevano che io avessi un debole per il professor Bara, come lo chiamavano loro.
Una mattina arrivo in redazione e non trovo la mazzetta di copie dei quotidiani del giorno, non erano nel posto dove normalmente si trovavano. L'ordine era che non si dovessero muovere da lì, né da soli né accompagnati. Potevamo consultarli come e quanto volevamo, ma rigorosamente in piedi sopra al mobile dell'archivio. Questa originale richiesta era fondamentale per evitare "occupazione abusiva" di quotidiano, come era spesso accaduto in passato. Quella mattina le copie erano sparite. La sergretaria di redazione non aveva la più pallida idea di dove fossero, il collega della pagina cittadina era rimasto all'asciutto di lettura anche lui, il direttore non sapeva, lui di quelle quisquilie non si occupava. Ho iniziato a lavorare, il telefono ha cominciato a squillare e la segretaria di redazione rispondeva con grande solerzia e insolita pazienza che "no, è fuori". Io guardavo la redazione, era piccola, eravamo tutti lì, non mancava nessuno, nemmeno il grafico. Mi chiedevo a chi si potesse riferire, forse al fotografo che però non stava in redazione per abitudine. E infatti proprio mentre concludevo questo mio pensiero era entrato lui, la macchina fotografica al collo, la sua andatura vagamente tracotante e mi apostrofava, ruvido come sempre: "Belle frequentazioni che hai". La segretaria e il mio collega della pagina cittadina erano balzati dalla sedia e lo avevano quasi aggredito. Lui li aveva guardati interdetto. Mi sono sentita come il cretino che ignora qualcosa che gli altri sanno. Un giornalista che si rispetti è sempre un po' cinico e molto dubitativo, e io in quel momento ero molto, molto giornalista e dubitavo parecchio. I miei colleghi mi stavano nascondendo qualcosa. E' grazie a queste sensazioni, al captare un mutamento di atmosfera, nel cogliere un battito di ciglia di troppo, nell'annusare la paura o l'agitazione che un giornalista a volte arriva a scrivere il grande pezzo. Sono le vibrazioni e l'intuito, insieme all'ottima scrittura, a fare la differenza. A quel punto ho avuto un'intuizione, ho fatto due più due, giornali, spariti, frequentazioni, non belle. Qualcuno con cui avevo lavorato ne aveva combinata una. Speravo fosse il solito politico e non capivo perché tutti cercassero di nascondermelo. Mi sono alzata, i giornali erano nascosti da qualche parte, lo sapevo. Mi sono fiondata nell'archivio ed eccoli lì, piegati sotto le diverse copie del giorno prima. Titolo a otto colonne in prima pagina della cronaca cittadina: "Preso il Serial Killer delle Prostitute", strillava. Sotto la foto del mio amico, il biondo filosofo custode del cimitero. Un brivido ha percorso la mia spina dorsale mentre la mia testa pensava "Come imposto il pezzo?".

lunedì 18 novembre 2013

PROSSIMAMENTE - NON E' STATA UNA PAUSA CAFFE'

Se fosse stata una pausa caffè, sarebbe stata proprio così: caffè lungo e macaron di Ladurée
Ebbene sì, a volte ritornano. Riemergo dalla concentrazione romanziera e torno a scrivere il raccontino settimanale. Lo so, lo so non vedevate l'ora. Da mercoledì su queste pagine un racconto da brividi, che era stato pensato e riservato, come tutti gli anni, per la settimana di Halloween. Non ho avuto il tempo di scriverlo, vi toccherà leggerlo ben presto. Aspetto commenti.

venerdì 15 novembre 2013

ORECCHIETTE CON PISTACCHI, PEPE ROSA E BOTTARGA

Presto tornerò con nuove avventure, per ora vi lascio questa ricetta che mi sono divertita ad inventare per un'amica amante del Pepe Rosa. E' poco più di un'aglio e olio modificato, però è sfiziosa. Lo so... tre quarti delle mie ricette prevedono le orecchiette, ma ho una passione sfrenata per questo formato di pasta soprattutto quando è fresca. E ancora meglio se fatta in casa. Comunque, potete sostituire con qualsiasi pasta fresca vi piaccia.


180 g di orecchiette fresche - un cucchaio di pistacchi di bronte non salati - uno spicchio d'aglio - un cucchiaino di pepe rosa - un cucchiaio di prezzemolo tritato - sale pepe - tre cucchiai di olio - acqua - bottarga di muggine grattugiata

Portare ad ebollizione abbondante acqua salata, cuocere le orecchiette per cinque minuti o finché non sono al dente. In una padella far soffriggere l'aglio con l'olio, quando è biondo aggiungere i pistacchi tritati e cuocere per due o tre minuti. A questo punto unire il pepe e unire mezzo mestolo di acqua di cottura della pasta. Far saltare la pasta dentro la padella, salare e pepare. Spolvarare con il prezzemolo tritato e servire subito con la bottarga a parte, ognuno si servirà della quantità desiderata.
per due persone  

domenica 10 novembre 2013

POMMES SOUFFLEES - PATATE SOUFFLE

Le patate sono la mia passione e raramente ho trovato qualcuno a cui non piacessero. Si possono cucinare in mille modi e saranno sempre buonissime. Persino il peggiore dei cuochi non riesce a rovinare la patate, o quasi. 
La croccantezza dell'esterno che si va a stemperare nella cremosità farinosa dell'interno, ecco descritta a parole la sensazione che si prova addentando una patata fritta, il piacere sublime e proibito di tutti noi. Filosofia fatta a cibo. Oggi vi propongo un grande classico della cucina, molto, molto chic. Più facili da fare di quanto non si pensi leggendo le istruzioni qui sotto. 
Si possono servire con moltissimi piatti dalla Entrecote in Salsa Bearnese, alla più semplice Bistecca in Padella, dalla Sogliola alla Mugnaia (vedi blog) alla Pesce al Vapore per renderlo più sfizioso. Sbizzaritevi a renderlo il contorno sofisticato di un piatto semplice oppure mangiatele da sole. Sono buonissime. Questa volta non vi fornisco le quantità, semplicemente gli ingredienti. Sappiate che per farle venire belle gonfie devono galleggiare tra pochi intimi nell'olio. Per questa ricetta è meglio preferire patate nuove. 


patate nuove - olio per friggere (vedi blog "Un fritto perfetto")

Sbucciare le patate e tagliare le rotondità in modo che prendano la forma di un rettangolo, saranno più belle da vedere, ma potete anche lasciarle ovali se preferite, non modificherà il risultato finale. Lavarle bene e tagliarle a fettine di circa due millimietri con l'aiuto di una mandolina o un affetta tartufi. Laciarle immerse in acqua man mano che si tagliano, poi asciugarle molto, molto bene con un canovaccio asciutto. Per sicurezza disporle su un canovaccio, una accanto all'altra, sovrapponendo un altro canovaccio e premendo per togliere tutta l'acqua. Versare l'olio in una casseruola alta, portarlo alla temperatura di 100/120 gradi. Quest'ultima fase è molto importante e necessaria, l'olio a bassa temperatura aiuta la cottura uniforme della patata pur conservando l'umidità naturale all'interno. Controllare la temperatura con un termometro da fritti (si trovano nei negozi di casalinghi ben forniti). Quando sono belle morbide e cotte, scolarle, lascirle riposare un attimo e poi passarle, poche alla volta, nell'olio molto caldo (185 gradi circa) per farle gonfiare. Diventeranno gonfie e croccanti. Salare. Servire subito.
E' importante: la prima frittura è meglio non farla nella friggitrice, perché è necessario tenere sotto controllo la cottura e, in realtà, sarebbe meglio non usare la friggitrice anche nella seconda fase, però se è una di quelle aperte che non si chiudono ermeticamente per cuocere, può andare... per entrambe le fasi.

giovedì 7 novembre 2013

STRUDEL SALATO DI FUNGHI E CARCIOFI

Sto trascurando un po' questo luoghi, mi dispiace. Diciamo che sto lavorando a qualcosa di importante e che quando avrò finito tornerò più tonica che mai. Per il momento vi lascio una ricetta sfiziosa e di stagione che spero vi piaccia. La pasta dello Strudel è quella "vera", fatta con tutti i crismi. E' un po' lunga da fare, e anche un po' difficile, ma una volta tanto vale la pena di provare... poi potete usare la pasta che più vi piace. 

per la pasta: 200 g di farina 00 – un cucchiaio aceto o succo di limone – acqua tiepida leggermente salata – 100 g di olio o burro chiarificato fuso (più qualche cucchiaio se necessario)

per il ripieno: 300 g di topinambur – cinque carciofi – 500 g di porcini – succo di limone – 150 g di fontina – due spicchi d’aglio – un mazzetto di prezzemolo – un ciuffo di maggiorana – sei cucchiai di olio evo – brodo di verdure – pangrattato – un tuorlo – 60 g di nocciole tostate e spellate  - sale pepe


per la pasta: Fare la fontana con la farina setacciata versare l’aceto e un mestolino d’acqua, impastare e aggiungere l’eventuale acqua necessaria ad ottenere un impasto elastico e morbido. Impastare per venti minuti, fino a quando la pasta sarà liscia e elastica. Fare un panetto e spennellarlo con olio o burro freddo e far riposare per mezz’ora. Stendere la pasta col mattarello ricoperto con un grande canovaccio infarinato e spennellare la superficie con l’olio. Introdurre le mani infarinate (dalla parte del dorso) sotto la sfoglia di pasta e tirarla e stirarla con estrema delicatezza partendo dal centro verso i bordi, in modo da renderla più sottile possibile. Tappare qualche eventuale buco con pezzetti di pasta. Una volta formata una sfoglia grande e molto sottile far riposare per due o tre minuti e spennellarla con altro olio. La sfoglia è pronta per essere farcita. 

per il ripienoTagliare a fettine i topinambur e i funghi, i carciofi a spicchi sottili. Metterli a bagno col succo di limone. Tritare l’aglio col prezzemolo, scaldare metà dell’olio con metà del trito, e cuocere a fiamma bassissima. Unire i carciofi sgocciolati e cuocere per 5/6 minuti, a fiamma bassa. Aggiungere i topinambur ben sgocciolati mescolare, salare pepare. Portare a cottura, circa 15 min. Scaldare il resto dell’olio e del trito, unire i funghi, salare, pepare e far saltare finché non sia evaporata l’acqua di vegetazione. Mescolare il tutto unendo le nocciole, la maggiorana e il prezzemolo tritati, aggiustare di sale e pepe. Stendere la pasta e spolverarla con una manciata di pangrattat,distribuire il composto su tutta la superficie di pasta, lasciando un margine libero. Irrorare con l’olio e cospargere di caciocavallo a scagliette. Con l’aiuto della tovaglia iniziare ad arrotolare lo strudel, cercando di non far uscire il composto dai lati. Chiudere lo strudel, farlo scivolare  sulla placca unta del forno e infornare a 190 per 40/50 min. A metà cottura spennellare la superficie con tuorlo d’uovo sbattuto con poca acqua.  

domenica 3 novembre 2013

PANE DOLCE ALLA ZUCCA CON ARANCIA E SPEZIE

Un dolce che fa dell'ingrediente di stagione il suo protagonista principale. Aromatico e delizioso si può servire con una crema fatta con yogurt, poco miele e un cucchiaino di zenzero grattugiato oppure con un gelato alla crema con pezzetini di zenzero candito. 

350 g di farina 00 - 300 g di zucca - tre uova - 175 g di zucchero bianco - 100 g di zucchero di canna scuro (no demerara) - 150 g di burro fuso - 2 cucchiai di scorza d'arancia grattugiata - una bustina di lievito di polvere per dolci (16 g circa) -  un pizzico abbondante di sale - mezzo cucchiaino di zenzero in polvere - una punta di cucchiaino di noce moscata grattugiata - un cucchiaino di cannella in polvere

Mettere la zucca tagliata a pezzi in una teglia con pochissima acqua e cuocerla nel forno a 180 gradi finché non è morbida. Passarla a setaccio per ottenere 250 g di purè. Aggiungere le spezie alla farina, quindi il lievito e il sale, mescolare bene, quindi amalgamare il burro con gli zuccheri e la scorza d'arancia. Unire le uova sbattute e la crema di zucca, mescolare finché non diventano una crema liscia. Aggiungere la farina in due tempi e lavorare finché l'impasto non è omogeneo. Versare in uno stampo da plum cake imburrato e infarinato, infornare a 180 per 50 minuti circa oppure finché uno stecchino inserito al centro non esca pulito. Servire spolverato di zucchero a velo.  

Oppure con una glassa fatta con: 200 ml di acqua - la scorza di un'arancia - due cucchiaini di zenzero fresco grattugiato - 125 g di zucchero semolato. Far sobbollire l'acqua con la scorza d'arancia e lo zenzero per tre minuti, passare la colino per eliminare zenzero e scorza. Unire lo zucchero e lasciar inspessire per un paio di minuti a fuoco vivace. Far raffreddare la torta per 15 minuti, togliere dallo stampo e irrorare con lo sciroppo.   
per otto persone 


Oggi 10 novembre 2013 ho apportato le seguenti modifiche negli ingredienti e nell'esecuzione della ricetta. Questa versione mi piace molto di più

250 g zucca - 250 g farina - 200 g di zuccheri tre quarti bianchi un quarto scuro - 100 g burro morbido a temperatura ambiente - tre uova, divise in uno intero e due tuorli, gli albumi in una ciotola per montare a neve -  scorza di un'arancia, più il succo dell'arancia 

Con le mani tagliare a pezzetti il burro nel mixer, unire gli zuccheri e azionare le lame fino ad ottenere una crema. Aggiungere l'uovo intero, azionare le lame, unire i tuorli uno ad uno fino ad ottere una crema liscia e abbastanza liquida. Aggiungere la scorza grattugiata e il succo d'arancia, azionare le lame ancora una volta. Trasferire il composto in una grande ciotola. Unire la zucca, mescolare bene. Aggiungere la farina con le spezie e in ultimo gli albumi montati a neve. Il resto della ricetta rimane invariato.