sabato 29 giugno 2013

FRITTATA CON ASPARAGI E FIORI DI ZUCCHINA, MA SENZA UOVA

Un altro grande classico dell'estate le frittate, che si possono mangiare fredde o calde, che si possono portare nella cesta del pic nic senza fare danni e che sono buonissime. Tra due fette di pane sono celestiali sia con che senza uova. Ho tratto ispirazione per questa frittata senza uova, e quindi senza un briciolo di colesterolo e con poche calorie, dalle farinate della tradizione ligure. In realtà della farinata è molto, molto più sottile e non viene cotta in padella. Ovviamente non presuppone la presenza di asparagi, ma solo di cipolla o cipollotti. Si possono variare le verdure a piacere, l'importante è non farle cuocere a lungo. Non è fondamentale, ma la pastella di ceci è più contenta se la si fa riposare almeno un paio d'ore. Se avete fretta potete saltare il riposo, ma solo per questa ricetta, se fate la farinata il riposo è fondamentale. 

200 g di farina di ceci - 400 ml di acqua - dieci asparagi tagliati a tocchettini - tre cipollotti compresa la parte verde - otto fiori di zucca - una decina di foglie di basilico - qualche rametto di prezzemolo - olio evo sale pepe

Mescolare la farina di ceci con l'acqua e due cucchiai di olio salare a piacere, tenere da parte. Affettare i cipollotti e tagliare a striscioline tre fiori di zucca. Tritare basilico e prezzemolo, unirli alla pastella di ceci inisime alle striscioline di fiori di zucca. In una padelle far scaldare due cucchiai di olio e soffriggere il cipollotto finché non è morbido e trasprente. Unire gli asparagi tagliati e saltare per un paio di minuti, unire tre cucchiai di acqua e far cuocere per cinque minuti. Salare e pepare. Quando la padella è bella calda e gli asparagi al dente aggiungere le pastella e cuocere per qualche minuto. Quando è rappresa unire i fiori di zucca premendoli leggermente in modo che vengano inglobati dalla "frittata". Proseguire la cottura per altri sei/otto minuti. Con l'aiuto di un coperchio girare il composto come se fosse una frittata, proseguire la cottura per cinque minuti. Attenzione, deve abbronzare ma non bruciare. Servire caldo, tiepido o freddo.
per quattro persone

giovedì 27 giugno 2013

PROSCIUTTO E MELONE, UNA MOUSSE CON GELATINA

Prosegue la settimana delle variazioni sul tema delle ricette estive. Il grande classico dell'estate, di quelli che se hai fretta rimedi un pranzo veloce, leggero e saporito. Qui in versione complicata e un po' lunga da preparare, per una cena con amici e quando si vuole fare qualcosa di diverso. Preparare prima la gelatina e poi, mentre si rapprende, la mousse. 

per la mousse di prosciutto crudo: 200 g di prosciutto crudo - 150 ml di panna - 50 g di ricotta - 50 g di burro - due cucchiai di Porto - 6 g di gelatina in fogli - erba cipollina - sale pepe

per la gelatina di melone: 400 g di polpa di melone giallo - 100 ml di acqua - 60 g di amido di frumento

per la mousse: Ammollare la gelatina in acqua fredda. Scaldare il Porto su fuoco basso, unire la gelatina strizzata e farla sciogliere. Lasciare intiepidire. Frullare il prosciutto crudo con la ricotta e il burro morbido, salare leggermente, pepare aggiungere il composto di gelatina e Porto. Montare la panna e unirla delicatamente al composto di prosciutto.
per la gelatina: Frullare il melone a dadini con l'acqua. Metterlo in una casseruola con l'amido di frumento e portare ad ebollizione, non appena il composto assume la consistenza di una pappa sciropposa togliere dal fuoco e far intiepidire.

montaggio: mettere la gelatina di melone sul fondo di piccole coppette o bicchierini. Passare in frigo per una un paio d'ore in modo che si rapprenda. Con una bocchetta da pasticceria o una spatolina coprire la gelatina di melone con la mousse di prosciutto. Mettere in frigo, per alcune ore e prima di servire spolverare con erba cipollina tritata.
per dieci bicchierini 

mercoledì 26 giugno 2013

INSALATA GRECA, MA ALL'ANGURIA

Sarebbe facile dare ricette di cucina portoghese, ne abbiamo già date in precedenza (settimana dal 14 al 18 maggio), ma con un doppio salto mortale invece questa settimana declineremo l'estate nelle sue ricette classiche, rivedute e corrette. D'altronde il racconto ha per titolo "Variazioni sul tema estate a Porto". Quindi oggi vi propongo l'insalata greca citata nel racconto, ma con una mia variante personale, tolgo il pomodoro e il cetriolo e li sostituisco con l'anguria, che del pomodoro ha il colore e del cetriolo la consistenza e la ricchezza di acqua. Non vi fidate? Se fossi in voi lo farei, è deliziosa oltre che velocissima e freschissima.


500 g di anguria – 200 g di feta –  dodici olive nere, a cui toglierete il nocciolo – cinque ravanelli tagliati a fettine sottili - un mazzetto di menta – un cucchiaio abbondante di miele millefiori – due cucchiai di olio – pepe


Tagliare l’anguria, se avete voglia togliete i semi, e la feta a dadi della stessa dimensione. Tritare la menta. In una grande ciotola mescolare bene gli ingredienti compresi i ravanelli, poi aggiungere l’olio e il miele. Far riposare in frigo almeno un’ora prima di servire.
per quattro persone 


martedì 25 giugno 2013

VARIAZIONI SUL TEMA ESTATE A PORTO


"Che tempo fa da te?" chiedeva una voce femminile al telefono.
"Cielo sereno, sole e un caldino gradevole" rispondevo io serafica.
"Qui, per come la vedo io, se la vedessi veramente, è tempo di polenta e salsiccia".


Il cielo terso delle mie parti era proprio terso, di un magnifico blu solcato di nubi bianche e pannose. Informarsi sul tempo è un grande classico quando due persone sono lontane. Da voi che tempo fa? Bello, brutto, freddo, caldo, cielo magnifico, cielo plumbeo, grigio, chiaro o scuro, nuvolo, velato; cielo azzurro, celeste, blu cobalto, trasparente; foschia, nebbia, pioggia, neve; afa, temperatura africana, freddo polare, freschino; autunno, foglie gialle giù, cielo grigio su; estate, solleone, sete, sudore; primavera, germogli, fiori sbocciati, pioggerellina, piacevole brividino;  inverno, ghiaccio, nevischio, pioggia scrosciante, mani gelate. Sono alcune delle risposte che si ricevono quando si telefona e si parla con un'amica o un'amico lontani, o al massimo se sono inglesi. Informarsi sul tempo quando ci si parla vis à vis è tremendamente britannico. Spesso gli amici sono molto lontani, talmente lontani da essere in un emisfero diverso, chi sta nell'emisfero australe, chi sta nell'emisfero boreale, da una parte inverno, dall'altra estate; amici talmente lontani che il clima diventa continentale, tropicale, equatoriale e i commenti possono diventare disquisizioni che impegnano minuti di una preziosa telefonata.
Ma quella conversazione, quella della polenta e salsiccia, era speciale. Molto speciale. Succedeva spesso che ci sentissimo,  Claudia e io, se non tutti i giorni, quasi. Ci telefonavamo per scambiarci le previsioni del tempo, ci chiedevamo se tirava vento o se non si muovesse foglia. Era normale, spesso se da  Claudia c'era un bel vento battente, da me c'era calma piatta. Se da me faceva bello, da lei sovente era nebbioso. Ci telefonavamo di mattina, un po' sul presto perché così potevamo organizzare la giornata. Soprattutto nel mese di agosto. Da me faceva bello e sereno, una giornata da insalata greca e birretta gelata; da lei autunno inoltrato, nebbia e clima da polenta fumante con salsiccia sugosa e calda. Vivevamo in due  mondi diversi, qualcuno si chiederà se anche gli emisferi fossero diversi. No, non lo erano. Paesi diversi, magari. Assolutamente no. E nemmeno una che stava in montagna e l'altra al mare. Vivevamo nello stesso paese, nella stessa città. Si. Si. Si. Non mento. Il paese era il Portogallo, la città era Porto (Oporto) il quartiere, ecco, in effetti i quartieri erano diversi. Claudia, viveva in riva al mare, a Foz, io vivevo in centro, a Boa Vista. C'erano dei giorni di agosto che a Boa Vista era piena estate, a Foz inverno. Lì, sul mare, si alzava una fitta nebbia, di quelle che ricordano il film "Fog", quello dove all'improvviso tutto scompare inghiottito dalla nebbia assassina. Ecco quella nebbia. Tutto cessava di esistere, ma soprattutto l'estate. Partivano le sirene di avvertimento per le navi in transito, l'aria era umida, fredda, il sole spento, l'inverno palpabile come uno zucchero filato, quello zucchero che avvolgeva il terrazzo di Claudia, che si preparava a mettere su la pentola di rame con la polenta. Appena decideva di passare la giornata col camino acceso, un bicchiere di rosso in una mano, il piatto colmo di solare, gialla polenta grondante di sugo con la salsiccia, ristabiliva l'ordine delle cose telefonandomi. Da me, che distavo forse tre chilomentri in linea d'aria, era estate, un'estate non troppo calda, bisogna essere sinceri. Quel tepore che dalle nostre parti ci accarezza la pelle verso maggio, ecco a Porto quello era il tempo di Ferragosto. Squillava il telefono e io sapevo, sapevo chi era e che cosa voleva. Dopo la risposta di rito, certo amica mia da me è estate, la parola d'ordine era "Spiaggia". Allora e solo allora subentrava la questione spiaggia. Una questione non da poco.
Le spiagge di Porto e delle zone limitrofe sono bellissime, lunghe, sabbiose, di quella sabbia bianca, un po' grossa, con le conchiglie, sono costellate di scogli a filo d'acqua che è di un blu intenso e accattivante. Una cartolina. Sono belle, larghe, spaziose. Ventose, molto ventose. Se si vuol trascorrere la giornata al mare in tutta tranquillità, senza uscire smerigliato come se qualcuno avesse strofinato la carta vetro su tutto il corpo; se si desidera non essere molestato da granelli inopportuni che si ficcano nelle orecchie, nel naso, nella bocca, in ordine sparso, eppure decisamente mirato; se non si vuole avere la parte di corpo esposta al vento, gelata, e l'altra rovente. Ecco se non si vuole che accadano tutte queste cose insieme, in contemporanea, e per tutto il giorno, è necessario prendere provvedimenti. I provvedimenti consistono in magnifici frangivento orizzontali, spesso a deliziose strisce bianche e blu, che si posizionano in direzione del vento e che proteggono i bagnanti dalle potenti brezze battenti e birichine. Ecco, una volta montato l'oggetto è possibile sdraiarsi al  sole e, protetti dalle folate sempre un po' freschine, godere del tepore dei raggi, di quel tepore che mano a mano che passano i minuti diventa un caldo infernale, perché senza il vento, così riparati, il sole è pur sempre quello di agosto. Allora si comincia ad avere caldo, a desiderare di rinfrescarsi con un delizioso bagno nell'acqua fresca. Ecco, nel preciso istante in cui ci si avvia verso l'Oceano, quell'Atlantico che dall'altra parte ha l'America, quell'America che ha la testa nel freddo del Polo Nord, la pancia al caldo dei Caraibi, e i piedi di nuovo al freddo, questa volta del Polo Sud, proprio in quell'Atlantico, si capisce cosa sono le variazioni climatiche. L'acqua del Portogallo del nord trae ispirazione dalla testa e dai piedi dell'America, e regala temperature di acqua da Poli, Nord o Sud che siano. Quando il corpo rosolato sotto ai raggi del sole, passa attraverso il venticello fresco prima di arrivare sulla battigia e poi, quando i piedi saggiano la temperatura dell'acqua la rivelazione è istantanea. Ghiaccio, quasi solido, come fosse appena uscito dal freezer. Il freddo parte dai piedi e arriva al cervello in un nano secondo, lasciando una sensazione di desolante impotenza. Quei piedi restano in acqua il tempo necessario a diventare bluette e insensibili, il tempo che il cervello comunichi al corpo la rinuncia al bagno refrigerante. Quello stesso corpo che torna mogio, mogio verso il rifugio del frangivento per ripetere all'infinito la scena della passeggiata sulla battigia. Ovviamente non senza prima aver saggiato la brezza che batte sul piede intorpidito dal contatto con l'acqua gelida.
E' per quello che quando alla mattina Claudia chiamava per chiedere se faceva bello, una volta su due la parola d'ordine non era spiaggia, ma piscina. Una piscina protetta dai venti, dai ghiacci, dalle sabbie, un pozza dove si poteva fare il bagno nell'acqua discretamente tiepida. In zona Boavista, ovviamente dove regnava l'estate. L'altra opzione, l'alternativa alla piscina, era polenta e salsiccia, grondante grasso, inverno e calore, avvolte dal tepore della casa e da un bicchiere di vino rosso. Guardando fuori, verso la nebbia e le sirene che avvertivano le navi della scarsa visibilità. E la chiamano estate.

sabato 22 giugno 2013

NEW YORK STATE OF MIND - LINDY'S MANHATTAN CHEESECAKE E CHEESECAKE MENTACIOCCOLATO


Ho già dato la ricetta del Cheesecake, 23 febbraio 2013, ma sotto la rimetto giusto per onore di cronaca. Qui vi do quella di una variante, che trovo fantastica visto che sono un'amante dellAfter Eight e di tutto ciò che è menta cioccolato. E' un cheesecake leggermente soufflé, leggero e soffice.  Aspetto commenti. 

per la base: dieci biscotti al cioccolato sbriciolate nel mixer- un cucchiaio di burro fuso 

per il ripieno: 450 g di formaggio Philadelphia (come dico sotto, l'unico possibile) a temperatura ambiente - 250 g di zucchero - cinque tuorli - quattro albumi - 125 ml di panna fresca - due cucchiaini di vaniglia - succo di mezzo limone - 60 ml di liquore alla menta o sciroppo di menta 

Mescolare i biscotti sbriciolati col burro, stenderli nella teglia ad anello apribile premendo bene e formando una base sul fondo. Rivestire l'esterno della teglia con un doppio strato di carta d'alluminio. Mettere in frigo. Mettere nel mixer il formaggio, 200 g di zucchero, e azionare le lame per alcuni secondi finché non risulti omogeneo. Far passare una spatola ai lati del contenitore, portando il composto di formaggio verso il centro, unire i tuorli uno alla volta. Non unire il successivo finché non è assorbito il precedente. Aggiungere la panna, il liquore o sciroppo di menta, il succo di limone, la vaniglia. Azionare per cinque secondi ancora per mescolare bene. Montare gli albumi finché sono spumosi, ma non a neve ferma, unire 50 g di zucchero e montare a neve ferma. Unirli al composto di formaggio, versare nella teglia sulla base di cioccolato. Cuocere a bagnomaria a 160 gradi per circa 50 minuti. Spegnere il forno e lasciare il cheesecake in bocca forno, cioè dentro al forno con la porta semi aperta per ancora un'ora. Sformare e servire con cioccolato grattugiato sopra, se si desidera. 
per otto persone 



MANHATTAN CHEESE CAKE
Questa ricetta l'ho avuta a un corso di pasticceria e panificazione, l'insegnante era americana e aveva studiato a Parigi, Milano e New York, corsi di pasticceria coi più grandi. Pare che sia l'originale di Lindy's, la pasticceria di New York che si dice, negli anni venti, abbia inventato il Cheesecake. Se non è vero, comunque il risultato è squisito. 

per la base : 30 g di burro fuso - sei biscotti tipo Maria o Digestive triturati finisssimi (nel mixer)

per il ripieno: 900 g di Philadelphia (gli altri cream cheese non sono contemplati...) a temperatura ambiente - 250 g di zucchero - quattro uova - la scorza grattugiata di un limone (facoltativo) - una stecca di vaniglia o due cucchiaini di essenza di vaniglia liquida - 125 ml di panna liquida - succo di un limone

Mettere il burro fuso in una teglia apribile, dal fondo rimovibile, e spennellare bene, unire la polvere di biscotti e con le dita farla aderire perfettamente ai lati e al fondo. Mettere in frigorifero a rassodare. Rivestire la teglia, alla base e ai lati con due strati di foglio di alluminio.
Mettere nel mixer il Philadelphia e azionare le lame, farle lavorare per tre minuti o finché il formaggio non diventi molle. Unire lo zucchero a poco a poco e le uova una ad una, infine la vaniglia e la scorza di limone se la si usa, il succo di limone e la panna (se si usasse la stecca di vaniglia, tagliare la stecca a metà, ricavare i semi con il dorso di un coltello, scaldare la panna, senza farla bollire, mettere la stecca in infusione coperta per una decina di minuti insieme ai semini. Far raffreddare e procedere come sopra). In questa ultima fase non sbattere il composto troppo a lungo, incorporare semplicemente gli ingredienti. Versare il ripieno nella tortiera. Cuocere a bagnomaria nel forno prescaldato a 160 gradi per cinquantacinque minuti/un'ora. Una volta cotto, aprire la porta del forno, lasciarla accostata e lasciar riposare così il cheesecake per circa un'ora. Sformare e servire con la copertura desiderata.
per otto persone

PICCOLI TRUCCHI PER UN CHEESECAKE QUASI PERFETTO

Per avere il dolce più soffice aumentare la dose di albumi.

Se lo si vuole ancora più soffice montare a neve le chiare e incorporarle delicatamente alla base di formaggio.

Per avere un cheesecake più bianco ridurre la chiara.

La panna e il succo di limone sostituisco la Panna Acida o Sour Cream, nel caso riusciste a trovarla usare quella nella stessa quantità, nella fase prevista della ricetta.

La classica copertura prevede marmellata di albicocche e fragole fresche tagliate a metà. Io sostituisco la marmellata di albicocche con la crema di albicocche (vedere la ricetta del Budino di Vaniglia con Crema di Albicocche (M'hallabeye) di sabato 16 febbraio 2013) la trovo meno stucchevole.

Si conserva per cinque giorni in frigorifero.

Volendo un centro molto cremoso e un esterno più consistente cuocere per dieci minuti nel forno a 250 gradi e poi abbassare la temperatura a 100 e proseguire la cottura come indicato nella ricetta.

giovedì 20 giugno 2013

NY STATE OF MIND - LOWER EAST SIDE, BOYOS DE PAN (FRITTELLE DI PANE)

L'immigrazione ebraica aveva trovato casa nel Lower East Side che, come tutti i quartieri di immigrazione povera, non era una gran bellezza. Quindi per parlare della cucina ebraica, che si divide in Sefardita e Ashkenazi, ho scelto come luogo il LES. Questa ricetta è tradizionale della cucina Sefardita, tipica di Spagna e Europa mediterranea, mentre la Ashkenazi copre tutto il resto del territorio partendo dall'Est Europeo. I Sefarditi confezionavano il pane solo due votle alla settimana, il lunedì e il venerdì, gli altri giorni niente, quindi diventava presto raffermo e questo è un ottimo sistema per riciclarlo. Ottimo e delizioso 

mezzo chilo di pane raffermo leggero, come ad esempio ciabatta o baguette - 400 g di cacio cavallo grattugiato - quattro uova - due cucchiai di prezzemolo tritato - uno spicchio d'aglio - sale pepe

Immergere il pane in acqua fresca e farlo ammollare per  cinque minuti. Scolare e spremere per togliere l'acqua, unire il formaggio, le uova, il prezzemolo, l'aglio tritato, il sale e pepe. Mettere la pastella così composta a cucchiaiate su una placca del forno unta. Infornare a 180 gradi e cuocere finché non sono belli dorati.
per quarantotto pezzi 

mercoledì 19 giugno 2013

NEW YORK STATE OF MIND - LITTLE ITALY, SPAGHETTI AND MEATBALLS (SPAGHETTI CON LE POLPETTINE)S

Spaghetti and Meatballs, un piatto più italoamericano non c'è. E' forse la pasta più famosa d'America dopo le Fettuccini (non è un errore, spesso si trova scritto proprio così) Alfredo, tanto famosa che Lilly e il Vagabondo, nel cartone animato Disney, si dividono un piatto di Spaghetti and Meatballs all'inizio del loro amore. La Marinara Sauce, altro caposaldo della cucina italian-american, tanto aglio e pomodoro, così deve essere. Nel blog trovate molte ricette di polpette, basta fare una ricerca. Ovviamente qui sotto vi do un nuova versione modificata e corretta delle polpette originarli. Potete anche mangiarle come secondo senza gli spaghetti e con un contorno di insalata verde. 

per le polpette: 125 g di pan grattato - 125 ml di latte - 200 g di salsiccia - 300 g di carne di vitello tritata - 125 g di ricotta - 60 g di parmigiano grattugiato - un uovo - una grattata di noce moscata -  maggiorana tritata a piacere (poca, è forte!) - mezza cipolla tritata - uno spicchio d'aglio tritato fine

per la marinara sauce: 600 g di pomodori perini (vanno bene anche i pelati in scatola) - mezza cipolla tritata - quattro spicchi d'aglio (versione americana, versione mia: uno spicchio) - 125 ml di vino rosso corposo - una foglia di alloro - basilico e prezzemolo a piacere - peperoncino (facoltativo, ma consigliato) - olio sale pepe

600 g di spaghetti

Per la polpette: mescolare tutti gli ingredienti in una ciotola grande finché non siano ben amalgamati. Formare delle palline del diametro di un paio di centimetri e cuocerle in olio caldo finché non sono belle dorate.

Per la salsa: sbollentare i pomodori per trenta secondi in acqua bollente, privarli della pelle. Soffriggere la cipolla con un paio di cucchiai di olio in una casseruola, quando è trasparente unire l'aglio tritato e il peperoncino se si usa. Sfumare con il vino rosso e aggiungere i pomodori privati della pelle e senza semi, la foglia da'alloro. Far ridurre su fuoco basso, quando la salsa si è ridotta, ma è ancora liquida, unire il basilico, il prezzemolo tritati e le polpettine. Far cuocere cinque/dieci minuti perché tutto si insaporisca bene, e la salsa si riduca ancora un po'.

Cuocere gli spaghetti al dente, unire la salsa con le polpettine in una grande ciotola e servire.
per sei persone



martedì 18 giugno 2013

NEW YORK STATE OF MIND - UN'IDEA DI CUCINA

La vista quando si è in coda per entrare al ristorante del MOMA
Chiudo la trilogia newyorchese, neanche fossi Paul Auster, con questo racconto/saggio dedicato alla cucina di New York. Già l'avventura di Prune dovrebbe avervi solleticato la curiosità e insegnato che se non si prenota a New York è difficile trovare posto al ristorante, soprattutto il fine settimana e in quelli più famosi. Però, non prenotare a volte offre l'occasione per vivere nuove avventure in una città sempre pronta ad offrire uno spunto avventuroso. Come è capitato a noi quella sera di mancata prenotazione da Prune. Prima o poi ci sarà il raccontino d'ordinanza, ma adesso parliamo di cose serie.

New York è un'avventura di per sé, anche dal punto di vista culinario. E' una città dove bisogna arrivare con la mente aperta, dimenticare da dove si proviene e capire dove si è. Non è facile per noi italiani, troppo spesso portati a giudicare le cucine del resto del mondo con una sufficienza che assomiglia molto a quella dei francesi. In certi posti ho mangiato malissimo, ma molto rararemente, veramente molto raramente. La maggior parte delle volte ho mangiato in una variabile tra il bene e il benissimo. Forse la mia curiosità mi spinge a provare di tutto e tutte le cucine, però ammetto a New York ho mangiato cinese bene come in Cina, italiano quasi fossi a Milano, francese come se fossi in un Bistrot a Parigi, ma soprattutto ho mangiato americano. Perché la culinaria americana esiste ed è eccellente. Dai grandi classici, un filo troppo potenti per le nostre papille gustative, ammetto, alla nuova cucina creativa americana, quella che fanno, ebbene sì, ancora una volta, Prune oppurre Perilla, attraversando la galassia dei chef stellati come Hubert Keller del Per Se o Daniel Bolud di Daniel, passando per l'originalità agreste (solo prodotti da agricoltura sostenibile) di Rouge Tomate e la solida tradizione ittica di Aquagrill. Per parlare solo della cucina ad alto livello, esiste anche un mondo di cucina deliziosa e a basso costo. La incontreremo più avanti. 

A New York sono rappresentate tutte le razze e tutte le cucine, forse è più facile trovare burro fatto con il latte di Yak (dal colore rosa e il sapore pungente) a Manhattan che in un paesino sperso tra le montagne di Lhasa. Paradosso a parte, per quanto riguarda il cibo, e forse qualsiasi altra cosa, si trova tutto e il contrario di tutto. Si può mangiare in maniera sublime o atroce, dipende. Si possono gustare piatti leggerissimi e dietetici oppure avventurarsi in mondi grondanti di grassi e colesterolo. C'è libertà di scelta. Chi torna da New York dicendo di aver mangiato male, non ha saputo scegliere. Punto, e basta.
Si possono stendere fiumi d'inchiostro sulla cucina di New York non è facile parlare di questa città in continuo movimento, anche dal punto di vista culinario. Ogni quartiere, ogni zona della città ha la sua sfumatura di colore. Se si tiene conto che gli immigrati di varie etnie, religioni e provenienze si sono spartirti, volontariamente o involontariamente, diverse aree della città. Alcune zone portano i nomi dei vecchi e nuovi abitanti, troviamo Little Italy dove, per altro, non ci sono più italiani da un bel po'; Chianatown che si è sempre più espansa verso quella che era Little Italy; Jamaica, chissà chi viveva e vive in questo quartiere attraverso il quale si passa arrivando in città dall'aeroporto; nel mucchio troviamo una Little Poland (Polonia da esportazione) e una Little Odessa, e questi sono solo alcuni dei nomi di quartieri che hanno preso il nome dagli abitanti che hanno scelto di viverci. Altri quartieri e zone non si identificano con la nazione o nazionalità, ma più semplicemente si sa che da quelle parti si poteva trovare un'immigrazione prevalentemente ebraica, come ad esempio nel Lower East Side, dove c'erano le sinagoghe e i negozi che vendevano le delizie della cucina ebraica come il Pastrami. Questo per quanto riguarda Manhattan. Ci sono anche Brooklyn o Queens, perché New York City (questa il nome completo della città) non è solo Manhattan, come molti pensano, ma diversi distretti dove gli immigrati si sono divisi e mescolati allo stesso tempo. Quartieri dove bianchi e neri convivono, dove religioni diverse si intersecano eppure rimangono perfettamente distinti e separati, come acqua e olio. A New York si mangia il Soul Food, quella cucina così tipica degli afroamericani del sud, e si mangia prevalentemente ad Harlem dove la cultura afroamericana si è diffusa in mille rivoli di differenze, ma per esempio anche a Bedford Stuyvesand che per lungo tempo è stato quartiere a prevalenza afroamericana, e che pure è stato anche quartiere italiano lontano da Little Italy in una singolare mescolanza. Si mangia latino a Spanish Harlem, o si spizzica cibo russo a Brighton Beach, vicino Coney Island, sulla punta estrema di Brooklyn. Potrei continuare a fare l'elenco delle cucine e delle zone dove possiamo gustarle al loro meglio, ma sarebbe uno sterile elenco di zone e di ristoranti. Le varie cucine importate dagli immigrati sono andate via via modificandosi, pur rimanendo fedeli all'originale, andando a formare un gusto personale e molto locale, che a volte ricorda, ma non replica i sapori originali. Qui sta l'originalità della cucina newyorchese, e forse anche il suo limite.

New York è anche la patria del ristorante alla moda, quello che apre, fa il bello, si pavoneggia coi suoi ospiti famosi, le serate a numero chiuso, la lunga attesa per prenotare un tavolo, e scompare nello spazio una manciata di anni. Di ristoranti così ne esistono e sono esistiti tantissimi, si perde il conto, e ci si dimentica del loro nome. Semplicemente ci si va, ci si fa vedere per dimostrare di avere la possibilità di prenotare il tavolo, di avere accesso in un posto dove tutti vogliono andare e dove pochi riescono, senza neanche quasi guardare quello che si ha nel piatto. E poi si dimenticano, o magari restano un piacevole ricordo e niente più. Al contrario esistono posti che durano da decenni senza che la loro fama si sia appannata. Tra i miei preferiti l'Oyster Bar, alla Grand Central Station, con la sua singolare acustica e le sue ostriche sopraffine. In altri si incontra il potere, ma anche la gente comune, che ne apprezza l'ambientazione, l'atmosfera elegante fino all'estremo. Sono i posti eleganti dove si mangia a fasi alterne, ma mai veramente male, dove per entrare ci vuole la cravatta e una petite robe noire corredata da perle. Altri sono popolari, collocati magari all'angolo della strada e la cui fondazione risale alla notte dei tempi, che per New York magari sono gli anni quaranta/cinquanta. Tra quelli eleganti posso citare  il "21 - Twenty-One", giacca obbligatoria, pieno di ricordi di uomini famosi e donne eleganti, aperto, per gli standard di New York, la città che vive veloce, da sempre. E' un posto dove bisogna andare almeno una volta nella vita per capire che cos'è l'Upper East Side, un mondo a parte, con le sue signore eleganti, i suoi uomini incravattati, che girano per le salette private rivestite di legni pregiati, luci soffuse, voci basse, e  l'odore dei soldi e del potere che aleggia tra le cristallerie e le argenterie che apparecchiano i tavoli. Meglio andarci a mezzogiorno, il menù a prezzo fisso è conveniente se paragonato alle cifre che si possono spendere alla sera. Gli altri, quelli dell'angolo di strada, quelli pop, sono i Diners (fantastici Grilled Cheese), le Delicatessen (chiamate confidenzialmente Deli), gli Slice of Pizza (Ammmore mio!), e i carretti. Quei carretti che si vedono nei film dai quali i protagonisti comprano un Hot Dog "senza niente" o "con tutto". Dove per niente e tutto si intende cipolla, sottaceti tritati, ketchup, mayonese e condimenti preferiti. Quegli stessi carretti che vendono anche deliziose zuppe, fantastici noodles saltati, riso tirato con le verdure, che, ecco lo ammetto, non sempre sono perfetti, un po' troppo sovente la loro cucina è grassa e pesantuccia, ma bisogna provare finché non si trova quello che ci piace, anzi che fa per noi. Poi, non dimentichiamo che il Cheese Cake è stato inventato a New York, un imprecisato giorno di molti anni fa,  in una pasticceria che si chiama Lindy's e che oggi sforna Cheesecake quotidianamente. Chissà se usa la stessa ricetta di una volta, quella che io ho ricevuto in regalo dalla mia insegnante di pasticceria alla scuola di cucina, almeno lei sostiene che si a quella originale. Voglio crederle. Stavo dimenticando i Deli, i miei amatissimi Deli, dove impera la cucina ebraica coi suoi Pastrami Sandwich giganti (che nostalgia!), che ti sfamano per un giorno intero. Cos'è il Pastrami? Manzo cosparso di spezie, fatto marinare e poi cotto al vapore o bollito, tagliato fine, e servito con senape e cetrioli, in versione piatto o panino. Sublime e molto newyorchese. Il posto più famoso dove mangiarlo è Katz's Deli, nel Lower East Side ovviamente, il luogo dove è stata girata la scena dell'orgasmo di "Harry ti presento Sally", sì proprio quella. Se volete la prossima volta che andate a New York potete provare ad imitare Meg Ryan davanti ad un Pastrami Sandwich. Se avete il coraggio.
(3 - fine)

sabato 15 giugno 2013

DINER A PARIS - TARTE AUX FRAISES, CROSTATA ALLE FRAGOLE

Si prosegue sui grandi classici della cucina semplice francese, quella che si trova nei Bistrot, a casa, ma anche nei ristoranti stellati, in quest'ultimo caso di solito in versione speciale. Questo è uno dei miei dolci preferiti, insieme alla Creme Brulé, e quando sono al ristorante in Francia lo ordino sempre. Certo quando è stagione di Fragole, altrimenti scelgo altro. E' sempre bene mangiare frutta, verdura e tutto quanto è in stagione. Per questa ricetta scegliete Fragole poco acquose o, anche, fragoline di bosco, o un misto delle due. Molto spesso sostituisco la panna con la stessa quantità di yogurt, il sapore è un poco più acidulo e comunque delizioso, oltre che leggermente più dietetico. Però, a pensarci bene, quando si tratta di dolci la dieta deve solo essere un pensiero molto lontano. Le mandorle in scaglie sono una mia variante. Questa ricetta è veramente veloce da fare. Un dolce semplice che si può rendere sontuoso aggiungendo una palla di gelato alla vaniglia. 

250 g di fragole - un uovo - 50 g di zucchero - 50 g di farina di mandorle, più un cucchiaio - due cucchiai di panna - tre  cucchiai di mandole in scaglie

per la pasta: 160 g di farina - 120 g di burro - un cucchiaio di zucchero - un uovo piccolo
La Tarte aux Fraises pronta per la cottura

Preparare la pasta. Mettere la farina nel mixer insieme allo zucchero e al burro tagliato a tocchetti. Azionare le lame, lasciarle lavorare finché il composto non risulti sabbioso. Unire l'uovo intero e azionare le lame ad intermittenza finché il composto non formi una palla. Stenderla su un piano infarinato, metterla in una teglia da crostata, imburrata e infarinata. Bucherellare con i rebbi di una forchetta. Spolverare con un po' di farina di mandorle e un po' di mandorle in scaglie.
Per il ripieno: mettere nel mixer l'uovo con lo zucchero, la farina di mandorle, la panna, azionare le lame per ottenere un composto semi liquido. Versare sulla base della crostata, unire le fragole, lavate e asciugate, tagliate in quartini, aggiungere le mandorle a scaglie. Cuocere in forno a 180 gradi per 30/40 minuti, gli ultimi cinque minuti mettere la teglia sulla placca bassa del forno. Far intiepidire prima di sformare.
per sei persone 

venerdì 14 giugno 2013

DINER A PARIS - SAUMON A L'OSEILLE, SALMONE ALL'ACETOSA

Un grande classico delle carte dei ristoranti francesi e parigini è il Saumon à l'Oseille, il Salmone all'Acetosa. Un piatto inventato dalla famiglia Troisgros, stellatissimi chef oggi sparsi per il mondo, e che si è diffusa in tutto l'esagono. Il salmone è un pesce grasso e sano, esiste d'allevamento e selvaggio, meglio scegliere il secondo quando è stagione. Non è molto facile trovare il salmone selvaggio, la stagione è molto corta e le quantità decisamente inferiori alla domanda, ma se si ha la fortuna di trovarlo bisogna approfittarne. Comunque entrambi, il Salmone selvaggio o d'alevamento, sono deliziose fonti di Omega 3. 
Per quanto riguarda l'Acetosa, nome scientifico Rumex Acetosa, da non conforndersi con l'Acetosella, tutt'altra pianta, assomiglia nella forma alle bietoline tenere e piccole, ma nel sapore è leggermente più aromatica. Non è semplice trovarla in Italia, nel caso sostituirla tranquillamente con bietole o spinacini. 
Le ricette francesi ovviamente non possono fare a meno della panna e anche questa non si smentisce. 

due filetti di salmone - un mazzetto di acetosa - due scalogni - 60 ml di vino bianco secco - 125 ml di panna - due cucchiai di olio d'oliva - sale pepe

Salare e pepare i filetti di salmone. Scaldare una padella, strofinare uno pezzo di carta assorbente intriso di olio di oliva. Mettere a cuocere i filetti su fuoco vivo, due minuti per parte, abbassare la fiamma e proseguire la cottura per massimo dodici minuti. Soffriggere gli scalogni tritati, solo finché non diventano trasparenti, unire il vino bianco e sfumare. Non appena il vino evapora di metà aggiungere l'acetosa tagliata. Far appassire leggermente, unire la panna lasciare giusto il tempo di scaldare. Salare e pepare fuori dal fuoco. Versare la crema sui filetti di salmone. Servire.
per due persone 

mercoledì 12 giugno 2013

DINER A PARIS - INSALATA DI POMODORI SEMPLICE

Adoro il sapore dei pomodori con il pesce crudo, per questa ricetta di ieri che contiene già i carciofi andrei sul classico. Una cosa semplice, senza fronzoli, l'insalata che tutti sappiamo fare. Con un tocco in più. Forse i pomodori non sono molto parigini come ingrediente, ma vi posso assicurare che la rucola è di gran moda. 

due bei mazzetti di rucola, possibilmente selvatica - due pomodori poco maturi - tre cucchiai di olio - un cucchiaino di senape di Dijon - un cucchiaino di aceto balsamico di ciliegia - un cucchiaino di capperi - un quarto di cipolla tritata fine e messa un quarto d'ora in acqua tiepida - qualche foglia di basilico - fior di sale -  pepe

Tagliare i pomodori a fette regolari e disporle su un piatto di portata. Salare leggermente, spolverare di pepe macinato al momento. Unire la cipolla e i capperi, coprire con la rucola. In una ciotolina emulsionare bene senape, fior di sale, aceto e olio, il basilico tritato versare sull'insalata e servire.
per quattro persone 


martedì 11 giugno 2013

DINER A PARIS - TARTARE DI ORATA CON CARCIOFI

Sono tornata stanca, molto stanca da Parigi. Nonostante conosca la città come le mie tasche riesco sempre a camminare fino all'esaurimento. Sono come gli innamorati che cercano di scoprire sempre cose nuove del proprio compagno. E Parigi non mi delude mai, come non mi delude New York, è un'eterna novità nel suo essere immutabile. Questa volta, essendoci una "gallina" che non andava a Parigi da moltissimi anni, ho rifatto qualche luogo classico. Tour Eiffel, Montmartre, Louvre e le amenità del turismo classico, risultato? Beh, mi sono divertita a riscoprire la Parigi classica. 
Andare in Francia e non mangiare una Tartare non è consigliabile, solo loro le sanno fare come si deve. Anche questa volta ho degustato la Tartare nel ristorante dove, secondo me, è fatta con tutti i crismi. Direi, anzi, che è imperdibile. Se sfogliate il blog lo scoprirete il nome del posto. Se non avete voglia di lavorare... fra qualche tempo ci sarà la rubrica estiva "Posti del Cuore", rimetterò l'indirizzo. Per oggi la ricetta sarà una Tartare di Pesce, magari vi ripropongo quella di manzo rivisitata nei prossimi giorni.

mezzo chilo di filetti di orata freschissimi - un limone intero - pepe bianco - grani di pepe rosa - un piccolissimo mazzetto di aneto - tre carciofi mammola o, se li trovate, sei piccoli carciofi viola - un cucchiaio di succo di limone - sale pepe

Pulire bene i carciofi, eliminare le foglie esterne più dure e farli cuocere in acqua salata acidulata con un cucchiaio di succo di limone per cinque minuti (se usate le mammole tagliarle in quarti). Scolarli, farli raffreddare e eventualmente asciugarli bene.  Tritarli fini. Tagliare i filetti di orata a dadini piccolissimi, metterli in un'insalatiera, unire  carciofi, il sale, un giro di pepe nero, poco pepe rosa in grani, l'aneto tagliuzzato e il succo del limone. Lasciare in fresco un paio d'ore prima di servire. Suddividere in porzioni e servire.
per quattro persone 


lunedì 10 giugno 2013

RITORNATA

Sono stata in vacanza, una vacanza lavoro perché sono andata a raccogliere nuove avventure e soprattutto nuove ricette. Ci vediamo presto con un nuovo racconto e nuove golose proposte. Dove sono stata? La foto vi dice qualcosa, immagino.