domenica 31 luglio 2011

sabato 30 luglio 2011

BISCOTTI ALLA BIRRA

Sono biscotti ideali per chi non ama molto il dolce, dolce. Hanno un fondo gradevole di amarognolo e sono perfetti "pucciati" nel latte.  Questa ricetta mi è stata regalata apposta per quest'occasione e ammetto di non averla ancora eseguita, aspetto commenti. 


200 gr di farina - 1 bustina di lievito per dolci - 150 ml di birra - 50 g di zucchero - 50 g di burro - 1 cucchiaino di sale

Mescolare la farina con lo zucchero, il sale e il lievito, aggiungere il burro tagliato a dadini e lavorare fino ad ottenere un composto granuloso. Aggiungere la birra a poco a poco e poi stendere la pasta alta un centimetro e mezzo, tagliare dei biscottini. Cuocere in forno riscaldato a 220 gradi fino a doratura, circa 10 minuti.

venerdì 29 luglio 2011

MARINATA ALLA BIRRA SCURA

Mi piace molto marinare la carne prima di passarla su una griglia, assorbe profumi e sapori e diventa più succulenta. E' molto utile anche quando si preparano gli stufati, io spesso uso la stessa marinata per far cuocere la carne. Questa è perfetta con il maiale o la selvaggina, che però io non cucino quasi mai. 

200 ml di birra scura tipo Guinness (vale lo stesso suggerimento dei giorni scorsi, meglio una di gran qualità) - 100 ml di succo di mela (meglio se lo fate voi, fresco, con la centrifuga) - 50 g di zucchero di canna chiaro  - 1 cucchiaio di sale grosso - 1 cucchiaio di pepe nero in grani grossolanamente schiacciato  - 1 cucchiaio di rosmarino tritato - 5 chiodi di garofano - una stecca di cannella

Mescolare tutti gli ingredienti e mettere la marinata sulla carne disposta in piatto di ceramica. Tempo di marinatura minimo 1ora. Poi usare la carne sulla griglia o preparare uno stufato.
per 300 ml di marinata 

P.S. Lo zucchero di canna chiaro (Light Brown Sugar) si trova nei supermercati ben forniti come anche il Dark Brown Sugar. In mancanza usare il Demerara che però ha il difetto di non sciogliersi bene, quindi frullatelo prima per polverizzarlo.

giovedì 28 luglio 2011

BEER CAN CHICKEN - POLLO ALLA LATTINA DI BIRRA

Trovo questo piatto divertente, oltre che buonissimo. vedere l'ombra del pollo che si staglia sopra la lattina di birra dentro al forno è un modo simpatico di cucinare. E' un piatto che ho imparato a fare negli Stati Uniti. Le spezie per il "rub" (ingredienti secchi che si strofinano sul pollo prima di infornarlo) e le erbe sono decisamente indicative, sbizzarritevi assecondando il vostro gusto personale. A volte uso un "rub" già pronto con chiles chipotles (come si vede nella foto) che compro negli Stati Uniti, ma è nostalgia pura... molto meglio farselo da sé. 

1 pollo da un chilo e mezzo - 1 lattina di birra di vostro gusto - 1 cucchiaio di zucchero di canna scuro - 1 cucchiaio di origano secco - 1 cucchiaio di paprika - mezzo cucchiaio di aglio in polvere - mezzo cucchiaino di sale fino - mezzo cucchiaino di peperoncino - mezzo cucchiaino di salvia tritata - mezzo chuchiaino di cumino in polvere (facoltativo) - 2 spicchi d'aglio - ramoscelli di rosmarino fresco - ramoscelli di timo fresco - un rametto di basilico viola thai (va bene anche il nostrano)

Preparare il "rub". Mescolare tutti gli ingredienti secchi, origano, paprika, aglio, peperoncino, sale, pepe. Aprire la lattina di birra, fare  ancora due o tre fori con un coltello, togliere un quarto di liquido, aggiungere gli spicchi d'aglio e le erbe fresche. Strofinare il pollo con il "rub" e farlo riposare almeno un'ora. Inserire la cavità del pollo sulla lattina, mettere il pollo sulla placca del forno in piedi, aprire le gambe in  modo che facciano da sostegno. Infornare a 200 gradi per 10 minuti e poi abbassare a 180 gradi e continuare la cottura per  per altri 60 minuti. Il pollo è pronto quando è dorato.
per quattro persone

P.S. Tra le birre io preferisco quelle bionde e leggere, la persona che mi ha insegnato a farlo invece preferiva quelle un po' amare e maltate. Il pollo cotto in questo modo resta profumato e succulento. 

mercoledì 27 luglio 2011

BLACK AND TAN

Questa bevanda con la birra viene servita nei pub inglesi da almeno un secolo. Si tratta di una birra scura che staziona sopra ad una ale, birra chiara, più pesante formando un piacevole contrasto cromatico. Mentre si beve le birre si mescolano dando come risultato un'altra birra, completamente nuova e sorprendente. La densità di sapori della birra scura si stempera in quella chiara. Tra i miei favoriti quando vivevo a Londra.

3 bottiglie di Ale inglese tipo Bass fredda - 2 bottiglie di Guinness fredda (come ho detto ieri provate a trovare una scura artigianale) - 4 bicchieri da birra inglesi, in mancanza vanno bene bicchieri alti da bibita

Versare la ale nei bicchieri, più o meno a metà, disporre un cucchiaio dal lato convesso e versare la birra scura lentamente fino a riempire il bicchiere.
per 4 bicchieri

martedì 26 luglio 2011

BLACK VELVET - VELLUTO NERO

Questo è un cocktail classico e classificato dall'associazione barman internazionale, è interessante il connubio champagne con birra scura. Il nome è evocativo, infatti quando lo si beve si ha la sensazione di bere qualcosa di liscio e morbido, ma attenzione picchia forte se si eccede. 

mezza birra scura (tipo Guinnes, ma fate uno sforzo di trovare una birra scura di qualità) - mezzo Champagne

Prendere un tumbler, versare la birra ghiacciata, aggiungere lo Champagne. Mescolare delicatamente. Servire.
per un bicchiere

lunedì 25 luglio 2011

CHICAGO BLUES

Era una sera d'inverno, un po' come la notte buia e tempestosa di Snoopy, il River North era ghiacciato, tirava il solito vento gelido che si incanalava tra i canyon dei grattacieli e faceva volare i fiocchi di ghiaccio da terra. La temperatura di aggirava intorno ai -20 (meno venti gradi) centigradi, una normale sera, di un giorno normale, in un qualsiasi inverno a Chicago. Erano da poco passate le otto e la cena da Devon, ristorante di pesce, era stata eccellente, i nostri amici avevano preso il treno per rientrare a casa nei suburbi, noi volevamo fare mattana. Non si va mica a letto alle otto di sera in Italia. Sulla Michigan Avenue passavano i taxi, camminavano veloci gli avvocati che avevano fatto tardi in ufficio, giravano a vuoto gli homeless imbacuccati e comunque infreddoliti, odoravano di alcol. Una ragazza sfoggiava una minigonna di chiffon mozzafiato sulle gambe nude che terminavano in un sandalo dorato, indossava un giubbottino di panno e aveva il braccio alzato per fermare un taxi. Ci guardai riflesse in una vetrina: io col piumino di piuma d'oca, lungo fino al ginocchio, gli stivali e le calze pesanti; lei, vestita di niente con le gambe nude; sembravamo vivere in due stagioni diverse, in due mondi diversi. Non è raro fare incontri simili a Windy City, sono tante le ragazze che girano senza calze e vestite di niente anche a gennaio. Arivò il taxi e la sentimmo scandire "Chicago Blue on Clarke". Ecco l'occasione che aspettavamo per fare mattana, avevamo visto l'insegna del locale, un murale enorme su una parete bianca in una parallela della Michigan Avenue. Era relativamente vicino a casa, ci guardammo e senza sprecare fiato decidemmo di aggregarci alla temeraria seminuda. Noi a piedi, tanto eravamo abbondantemente vestiti. Il vento mi faceva scendere le lacrime dagli occhi e mi gelava la faccia mentre giravamo sulla Huron Street.  Ecco, in quella direzione non soffiava più. In effetti la Michigan è una galleria del vento, a tutte le ore di tutti i giorni invernali, forse perché si allunga dal lungo lago al River North per poi proseguire verso la periferia. Dopo un quarto d'ora di camminata arrivammo al locale. C'era la coda fuori. Aspettammo pazienti il nostro turno e arrivati alla porta il buttadentro, un uomo di mezza età color ebano coi capelli brizzolati e i baffi neri ci chiese 8 dollari a testa per entrare. Il locale era buio, fossimo stati negli anni ottanta sarebbe anche stato fumoso, sembrava un lungo corridoio più che un locale, alla sinistra correva un bancone di legno con sgabelli affollati da grappoli di persone; sulla destra tavoli alti, anche quelli con sgabelli, ospitavano gruppi di persone leggermente alticce, che ridevano. In fondo uno spazio grosso come un francobollo ospitava ancora dei tavolini, un palco sul quale troneggiava una batteria gigante e di lato un tavolo minuscolo al quale stava seduta una donna enorme. Portava i capelli raccolti in modo che sembrassero sciolti, un paio di occhiali a montatura dorata stazionavano sul suo naso, aveva un vestito nero con fiori arancioni che pareva una tenda, un suo braccio faceva una mia gamba, nella mano sinistra teneva una mazzetta di dollari e davanti aveva dei CD. Il capo della band. Lo spettacolo sarebbe cominciato alle 21, primo giro di birre per noi, cinque dollari, e dieci minuti d'attesa. La temeraria seminuda, indossava un leggero top senza spalline, stava seduta su uno sgabello insieme ad un ragazzo biondo, con un T-Shirt nera. Il mio vestito di lana leggera cominciava a darmi fastidio nel calore infernale del locale. La band cominciò a suonare, un blues, un blues elettrico con la chitarra che lacera l'aria e la batteria che sfonda il tetto, il basso che tiene il ritmo. Chicago è la patria del Blues elettrico, quel blues che ha smesso di essere spiritual e lamento dei campi e si è urbanizzato ed incattivito. La matrona in abito nero arancio si alzò non senza qualche difficoltà, camminò pesantemente i quattro passi che la separavano dal palco, non so come salì l'alto gradino, raggiunse lo sgabello davanti al microfono. Cominciò a cantare, niente maliconia per lei, solo parole di vendetta per un uomo che l'aveva mollata. Quaranta minuti di spettacolo puro, lei bellissima voce potente. Secondo giro di birre, la seminuda scatenata davanti al palco. Noi, nei nostri abiti sbagliati, sudati come schiavi in un campo di cotone. Intervallo. Alle 22 altro spettacolo. Finita la musica, sudati ed esausti siamo tornati a casa. Alle 23 noi eravamo già a letto, nel locale probabilemente la matrona continuava a cantare e a vendere CD. Senz'altro la seminuda ballava. La volta successiva anche noi eravamo in T-shirt e abito leggero.


BIRRA PER TUTTI

birre a volontà di vostro gusto, possibilmente leggere ed acquose - fettine di limone quante sono le birre - 1 cantante blues - 1 gruppo di bravi musicisti

Mettere la fettina di limone dentro la bottiglia di birra, sevire in un piccolo locale blues del centro di Chicago. In mancanza prendere un cd di Chicago Slim e bersi una birra sdraiati sul divano.
per quante persone desiderino farvi compagnia 

sabato 23 luglio 2011

PAN TOSTADO CON AZUCAR Y CANELA - PANE TOSTATO CON ZUCCHERO E CANNELLA

E' un dolce facile, estremamente confortante che ha il sapore dell'infanzia. Pronto in pochi minuti soddisfa rapidamente la voglia di qualcosa di dolce. 


8 fette di pane in cassetta - 3 cucchiai di burro - 1 cucchiaio di cannella in polvere - 60 gr di zucchero

Scaldare il forno a 200 gradi. Tagliare in triangoli le fette di pane, imburrarle da un solo lato. Mescolare lo zucchero e la cannella, coprire con uno spesso strato del composto il lato del pane imburrato. Mettere i triangoli in una teglia e passare in forno per 8/10 minuti, finché le fette di pane non sono dorate.

venerdì 22 luglio 2011

INSALATA DI AVOCADO

Nei paesi tropicali ed equatoriali gli avocado sono presenti ovunque e hanno dimensioni e sfumature di sapore diverse, dagli Haas di piccola taglia a quelli enormi che pesano anche più di un chilo. I piatti a base di questo frutto sono numerosissimi, a partire dal guacamole messicano. A me piace mangiarlo quasi al naturale, con solo sale e olio. Questa è una delle tante ricette venezuelane che presenta l'avocado come ingrediente principale. 

1 kg di avocado maturo - 1 cipolla piccola - 4 cucchiai di olio - 2 cucchiai di aceto - 4 cucchiai di acqua - mezzo cucchiaino di sale - mezzo cucchiaino di zucchero - mezzo cucchiaino di senape - pepe bianco 



Mescolare l'olio, l'aceto, l'acqua, il sale, il pepe, lo zucchero e la senape per formare una bella vinaigrette omogenea. Tagliare a pezzi grandi l'avocado e affettare la cipolla, metterli in un'insalatiera e mescolare facendo attenzione a non rovinare i pezzi di avocado. Servire subito.
per sei persone

giovedì 21 luglio 2011

QUESO CREMA PARA TOSTONES - SALSA PER TOSTONES

La ricetta della salsa di accompagnamento dei tostones. Come se fosse maionese o ketchup, ma più sana o forse no.

200 g si formaggio tipo philadelphia - 1 cipolla piccola - un cucchiaino di senape - 1 e mezzo cucchiaino di salsa Worcestershire -  mezzo cucchiaino di sale - una grattata di pepe bianco

Mettere nel mixer il formaggio, la cipolla, la senape, la salsa Worcestershire, il sale e il pepe. Montare ad alta velocità per cinque minuti. Mettere in frigo un'ora affinché i sapori si affinino. Sevire in una ciotola contoranto da tostones.

mercoledì 20 luglio 2011

TOSTONES DE PLATANO - PLATANO FRITTO

Uno dei piaceri di vivere nei paesi caraibici sono i platanos, le banane verdi. Immagiabili crudi, deliziosi cotti. Il modo più classico di presentarli è fritti. In Venezuela nei supermercati si trovano addirittura i sacchetti di platano fritto come da noi i sacchetti di patatine chips, per me sono pericolosissimi ne mangerei quantità industriali. Attenzione a non mangiarne troppi, hanno un effetto lassativo. 

2 platanos grandi e verdi - 500 ml di olio di arachidi per friggere

Sbucciare i platani e tagliarli a fette sottilissime, circa un millimetro. Scaldare l'olio in una casseruola o, meglio, in una friggitrice quando è caldo aggiungere le fette i platano e farle dorare. Scolare dall'olio e asciugare su carta assorbente e spolverare di sale. Cuocere le rondelle in diverse fasi così rimaranno più croccanti.
per 8 persone 

P.S. Si mangiano da soli o con una crema di formaggio che presento domani. 

martedì 19 luglio 2011

TEQUENOS

I tequeños sono dei piccoli sfizi serviti con l'aperitivo o come antipasto. Ricordano molto un altro sfizio turco, i sigara börek, forse sono stati portati qui da qualche immigrato turco o forse no. E' divertente vedere come la cucina a volte si evolva autonoma in diverse parti del mondo. 


500 gr di formaggio tipo feta - 750 g di farina - 2 uova - 2 cucchiaini di sale - 2 cucchiai di olio - 100 ml circa di acqua a temperatura ambiente 


Tagliare il formaggio a pezzetti lunghi cinque centimetri e larghi uno. Preparare la pasta. Mettere la farina sulla spianatoia aggiungere il sale, fare un buco nel mezzo e mettere le uova e l'olio. Cominciare a lavorare la pasta aggiungendo acqua fino ad ottenere una pasta liscia e che si stacchi dalle mani e dalla spianatoia. La quantità di acqua da aggiungere dipende dalla grandezza delle uova. Con la macchina per la pasta tirare una sfoglia fine, ma non troppo, non si deve rompere. Con la rotella tagliapasta fare tante strisce lunghe e larghe un paio di centimetri. Avvolgere con queste strisce il formaggio facendo attenzione a non lasciare spazi vuoti e chiudendo bene le estremità. Friggere in abbondante olio caldo fino a doratura della pasta, scolare e mettere sulla carta assorbente e servire caldo. 
per un esercito di ospiti con questa ricetta vengono circa 70/80 tequeños


P.S. Sono bellissimi così arrotolati, ma per fare prima potete avvolgere il formaggio in quadrati di pasta 7x7 mettendolo diagonalmente rispetto al quadrato, chiudendo i bordi e avvolgendo. Il formaggio originale è il Queso Maracay, se lo trovate... 

lunedì 18 luglio 2011

INCONTRO RAVVICINATO IN VENEZUELA

Vista dalla mia casa, a sinistra di fronte al palazzo bianco il posto delle iguane 
Cammino molto, perché amo camminare e perché, secondo me, è l'unico modo per conoscere veramente una città quando sei un turista, ma è anche il modo migliore di scoprire i posti vicino a casa quando ti trasferisci. Di solito quando arrivo in un posto faccio lunghe passeggiate prima per cercare la casa e poi per trovare le cose di cui ho più bisogno a portata di piede. Così ho fatto quando ci siamo trasferiti temporaneamente in Venzuela, in una cittadina a due ore e mezza da Caracas chiamata Valencia. Una città a misura d'uomo, con molto verde, relativamente tranquilla rispetto al caos di Caracas e dove la delinquenza non è agli stessi livelli di pericolosità. Attorno ai grattacieli colline ricoperte da una fitta vegetazione tropicale in tutte le tonalità del verde digradano fino a lambire le vie di grande percorrenza.  Per strada pochi camminano, temono il caldo, la fatica, il sole a picco, ma soprattutto hanno paura di essere rapinati, perché il Venezuela è un paese bellissimo e altrettanto pericoloso. Ovunque. Avevamo trovato casa al tredicesimo piano di un palazzo bianco che aveva una vista a perdita d'occhio sugli alti palazzi della zona, sulle piccole case basse, con la piscina e il giardino, sfumando verso l'orizzonte. Le finestre avevano le sbarre, nonostante ci trovassimo così in alto, ma l'altezza non era il solo motivo della loro presenza. La sicurezza è un'ossessione in tutta l'America Latina. La casa mi piaceva molto ed era sufficientemente vicina a tutto quello che mi serviva, il supermercato, la palestra, i negozi, il panettiere e le amiche. Così camminavo in lungo e in largo, andavo a mangiare le arepas in un posto speciale e passavo a prendere un caffè nella pasticceria dove compravo anche i dolci. Non mi è mai successo niente, contrariamente alle previsioni dei miei amici venezuelani stupiti che io fossi tanto coraggiosa da passeggiare per il mio piacere in città.
Un pomeriggio, ero arrivata da poche settimane, dovevo raggiungere le amiche in pasticceria dove si festeggiava il compleanno di una di loro e camminavo poco lontano da casa. Avevo appena passato l'angolo che segnalava l'inizio della ripida discesa, che sarebbe diventata dura salita al ritorno, e che costeggiava un ruscello. Infatti in mezzo alla città si trovava un ruscello con cascata di dimensioni notevoli, tutto è grande nelle Americhe, che scorreva a pochi passi dalla carreggiata asfaltata e dai condomini multipiano. Lungo le sue rive crescevano alberi altissimi e fitta vegetazione, il rumore dell'acqua che colpiva i sassi e gorgogliava allegra mi accompagnava sempre durante le passeggiate. Mi piaceva molto l'idea che un ruscello del sottobosco lottasse per dire la sua in mezzo ai grattacieli. La flora e la fauna che popolavano le rive erano fantastiche: uccelli multicolori e canterini, piccoli mammiferi che preferivo, romanticamente, immaginare non fossero topi e piccoli rettili che fuggivano al mio passaggio. Quel pomeriggio camminavo piano, godendomi il rumore del ruscello e fantasticando di come gli esploratori dei conquistadores dovevano essere rimasti sorpresi dalla vegetazione rigogliosa e benedetta di quei posti. Ero talmente presa dai miei pensieri che ebbi un sussulto quando sentii frusciare le foglie degli alberi in modo inconsueto, poco prima di arrivare all'edicola che mi segnalava la metà del percorso. Mentirei se dicessi che ero sempre rilassata quando camminavo per le strade di Valencia, un po' di tensione mi accompagnava ed ero sempre attenta ai movimenti della strada. Quel pomeriggio sussultai perché avevo abbassato la guardia e mi girai verso la strada pensando che qualcosa mi stesse minacciando. Le foglie di nuovo si mossero con un rumore forte, ma breve, più verso il ruscello che verso la strada. Mi fermai perché con la coda dell'occhio avevo colto qualcosa di inconsueto. Erano lì che si guardavano, una a metà dell'albero, l'altra a terra. Quella sull'albero sarà stata lunga un metro senza coda, l'altra poco di più, erano grigie, di un grigio dorato, e avevano le creste dorsali ritte, soffiavano con un rumore che sembrava la pompa di aspirazione di un'idrovora. Due magnifici esemplari di iguana si stavano sfidando, probabilmente per problemi territoriali o amatorii. Erano bellissime. Restai affascinata a guardarle per alcuni minuti, dopodiché qualcuno mi posò la mano sulla spalla con estrema delicatezza e contemporaneamente disse "No tenga miedo", non abbia paura, lo diceva non per le iguane, ma per il contatto fisico per strada che io avrei potuto scambiare per una rapina. Il padrone del chiosco mi invitava a lasciare il terreno di battaglia perché era pericoloso. Dopo quel giorno ho incontrato molte altre volte le stesse iguane nello stesso posto e altre ancora lungo il ruscello,  ma l'emozione della prima volta, quando ho immaginato di trovarmi nel cuore di una foresta tropicale anziché in una zona urbana, non l'ho più provata.

SUCCO DI MARACUJA (FRUTTO DELLA PASSIONE)

Ideale quando fa molto caldo, profumato e dissetante. 

12 frutti della passione (possibilmente quelli grandi e gialli, altrimenti raddoppiare la dose) - 1,5 lt di acqua - 125 gr di zucchero

Aprire i maracujà, mettere la polpa nel frullatore con un un bicchiere d'acqua e frullare bene. Passare al setaccio ed aggiungere lo zucchero e il resto dell'acqua. Mettere in una caraffa nel frigo. Servire con ghiaccio.

domenica 17 luglio 2011

sabato 16 luglio 2011

TORTA TRIPLO STRATO BIANCA E NERA

Questa è la versione adulta di quella che eseguivo con il dolce forno da piccola. Attenzione che è una bomba calorica. 


Per la torta: mezza dose di Angel Food Cake - una dose di Vera Torta al Cioccolato ispirata al Dolce Forno - mezzo litro di crema pasticcera aromatizzata al rhum - mezza tavoletta di cioccolata tritata - panna montata per decorare


Per ricoprire: 2 tuorli fatti intiepidire a bagnomaria - 60 ml di latte - 250 gr di zucchero - 1 cucchiaio di estratto di vaniglia - 60 gr di cioccolato fondente - 1 cucchiaio di burro

Preparare la copertura sabttendo le uova, aggiungere il latte, lo zucchero e la vaniglia. Sbattere bene. Far fondere il cioccolato con il burro a bagnomaria, versare il cioccolato sulla crema di uova e mescolare. Far raffreddare.

Preparare la torta bianca e metterla in una teglia del diametro di 28 cm. Fare lo stesso con la torta al cioccolato mettendo metà dose una volta e metà una seconda. Se la torta bianca risultasse più alta della nera livellarla tagliandola con un coltello affilato in orizzontale. Mettere il cioccolato a pezzetti nella crema pasticcera. Comporre così la torta: primo strato cioccolato, uno strato di crema pasticcera, secondo strato torta bianca, strato di crema pasticcera, chiudere con la torta al cioccolato. Ricoprire con la crema e decorare con fiocchetti di panna montata.

P.S. Non è bellissima quando la tagliate? 

venerdì 15 luglio 2011

LA FRITTATA DEL DOLCE FORNO

La frittata del dolce forno era una specialità culinaria sopraffina, irraggiungibile da noi comuni cuochi, probabilmente era stata elaborata da qualche chef super stellato dell'epoca. A parte gli scherzi, era divertente far uscire da quel fornetto specialità culinarie simili a quelle della mamma. Ricordo che la frittata era a base di prosciutto cotto, forse negli ingredienti c'era anche una sottiletta. Forse. 


6 uova - 100 g di prosciutto cotto tagliato a dadini - 50 g di parmigiano grattugiato - 20 g di feta sbriciolata - foglie di basilico a piacere - latte - olio sale e pepe

Sbattere le uova con un paio di cucchiai di latte, salare e pepare. Aggiungere il prosciutto, la feta, il parmigiano e il basilico, versare in una teglia diametro 20 cm ben unta d'olio messa a scaldare sul fornello, non appena è un po' rappresa terminare la cottura nel forno a 180 gradi. Servire caldo o freddo.

P.S. Uguale, uguale a quella del dolce forno persino cotta allo stesso modo. Si torna bambini solo ad annusare l'aria. 

giovedì 14 luglio 2011

PIZZETTE RUSTICHE COME QUELLE DEL DOLCE FORNO

Le pizzette fatte col Dolce Forno erano fantastiche, ma non mi ricordo più come fossero fatte, ricordo bene solo gli ingredienti tra cui il pane in cassetta. Qui vi propongo qualcosa che una mia amica chiamerebbe "looks like...", sembra...


8 fette di pane in cassetta ai cinque cereali (Pan Bauletto di una nota marca) - 1 mozzarella tagliata a dadini - 1 pomodoro grande affettato - origano - basilico - concentrato di pomodoro - olio sale pepe

Lasciare i dadini di mozzarella in un colino in modo che si asciughino un po'. Spalmare mezzo cucchiaino di concentrato di pomodoro su quattro fette di pane disporre un po' di dadini di mozzarella, aggiungete il pomodoro fresco, origano e basilico spezzettato. Salare, pepare ed irrorare con un filino d'olio. Far cuocere su una piastra calda, o in mancanza su una padella senza condimento, giusto il tempo che il pane si tosti e la mozzarella fonda.
per quattro persone 


P.S. Praticamente dei toast...

mercoledì 13 luglio 2011

TORTA DI ALBUMI - ANGEL FOOD CAKE

Questa è la vera Angel Food Cake, una delle preferite negli Stati Uniti, un dolce niveo, morbido, soffice come una nuvola. Credo che la tortina di albumi presentata nel ricettario del dolce forno fosse ispirata a questo dolce americano, ma i risultati non erano esattamente gli stessi. .Spesso viene servita con una macedonia di frutti rossi, a me non dispiace affatto oppure, più sovente, coperta di glassa bianca. Ho anche altre versioni, ve le darò. Ricordate che i dolci americani sono dolci, dolci. 

250 gr di farina - 300 gr di zucchero - 300 gr di albumi (circa 10 uova grandi) - 1/4 di cucchiaino di sale - 1 cucchiaino e 1/4 di cremor tartaro - 2 cucchiai di succo di limone - 1 cucchiaino di estratto di vaniglia - 1 cucchiaino di scorza di limone grattugiata - zucchero a velo per decorare

Separare i tuorli dagli albumi facendo attenzione che neanche una goccia di tuorlo resti negli albumi, questa operazione riesce meglio se le uova sono fredde. Al contrario, lasciare gli albumi a temperatura ambiente permette che montino meglio, quindi rompete le uova fredde e poi lasciate gli albumi coperti a temperatura ambiente per almeno mezz'ora. Setacciare la farina, 250 gr di zucchero e il sale per tre volte. Mettere gli albumi in un mixer e montarli a media velocità finché non sono schiumosi, aggiungere il cremor tartaro ed aumentare la velocità, montare finché non sono consistenti, ma ancora spumosi, aggiungere il resto dello zucchero e finire di montare a neve ferma. Aggiungere il succo di limone, l'estratto di vaniglia e la scorzetta di limone grattugiata. Aggiungere un quarto del composto di farina spargendola col setaccio e mescolare dal basso verso l'alto finché non è assorbito facendo attenzione a non smontare gli albumi. Proseguire mettendo il resto della farina, lavorare il meno possibile per non smontare gli albumi che dovranno far lievitare la torta. Rivestire una teglia col buco con carta forno, versare il composto e cuocere in forno preriscaldato a 170° per circa 40 minuti, finché il dolce non sia dorato. Sfornare girare il dolce e farlo raffreddare rovesciato su una gratella. Passare un coltello tra il dolce e la teglia, fare lo stesso con il cono centrale, rovesciare la teglia e lasciare che la torta venga fuori da sola. Togliere la carta forno. Servire spolverato da zucchero a velo con frutti rossi.
per 10 persone 

P.S. Ci vorrebbe una teglia speciale per questo dolce, ha un buco centrale e dei piedini per farlo raffreddare girato, ma potete usare tranquillamente uno stampo da budino grande e far raffreddare su una griglia sollevata di qualche centimetro dal piano di lavoro . 

martedì 12 luglio 2011

VERA TORTA AL CIOCCOLATO ISPIRATA AL DOLCE FORNO

Adoro la torta al cioccolato. Questa è una delle versioni su cui sono riuscita a mettere le mani, ne ho parecchie e, prima o poi, ve le darò tutte, è quella che più si avvicina alla ricetta presentata nel libretto del Dolce Forno. Ho cercato di ricreare il sapore di quella originale, tra il biscotto tipo Ringo senza il ripieno e la cioccolata calda in bustine. Dedicata a tutte le ex-bambine che hanno giocato col Dolce Forno. 

250 gr di cacao in polvere di buona qualità - 375 gr di zucchero - 600 gr di farina - una bustina di lievito per torte - 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio - 1 cucchiaino di estratto di vaniglia - 2 uova sbattute - 400 ml di latte - 50 ml di olio di semi di arachide o burro fuso

Mescolare tutti gli ingredienti secchi. Aggiungere tutti gli altri ingredienti e mescolare con una frusta fino ad ottenere una pasta uniforme. Mettere in una teglia da ciambella bene imburrata e far cuocere in forno a 180° per circa 35 minuti.

lunedì 11 luglio 2011

DOLCE FORNO CUISINE

Da piccola ero un maschiaccio. Anomalo, ma pur sempre un maschiaccio. Infatti vivevo una grande contraddizione: adoravo le bambole, ma impazzivo per i soldatini; giocavo alle signore, però correvo subito se si trattava di fare gli inseguimenti di guardie e ladri o indiani e cowboy; mi arrampicavo sugli alberi e in contemporanea spalmavo le unghie di colla per farla sembrare smalto: imparavo a fare la lotta e truccavo, fino a farla sembrare un travestito, quella santa di mia nonna. Ho cicatrici dalla testa ai piedi, svariati punti di sutura conquistati cadendo da alberi, bucandomi con dei chiodi, volando dalla bicicletta, ma anche uno sviluppatissimo senso per la moda, il trucco e le cose muliebri. Tuttora la contraddizione esiste, ho molti amici maschi e tante amiche donne, nessuna distinzione quando si tratta di confidenze, solo segreti mantenuti anche sotto minaccia, faccio pugilato e metto i tacchi alti. L'unico punto fisso di tutta questa storia di contraddizioni è il forno. Il mio sogno di bambina monella era possedere il Dolce Forno, per due Natali lo avevo chiesto nella letterina a Babbo Natale, ma pare fosse esaurito tutte e due le volte. Quando finalmente ho trovato il grande scatolone sotto l'albero è stata gioia suprema, da quel momento ho cominciato a sfornare di tutto.
Per chi non ne ha mai posseduto un Dolce Forno o non conosce l'oggetto ecco la descrizione del mio: un parallelepipedo giallo, strutturato per sembrare una stufa a gas, vuoto dentro, con due lampadine per un totale, sicuro, di un milione di watts, una presa da attaccare alla corrente, una finestrella per controllare la cottura e delle tegliette di allumino da infilare da una parte, con la pietanza cruda, e da far uscire dall'altra con la pietanza cotta. Gli accessori erano banali per una cucina: un mattarello, tanto piccolo che nemmeno le mani di una bambina riuscivano a maneggiare con abilità, un misurino-ino-ino, delle ciotoline colorate dimensione Puffo ed un libretto di ricette. Una meraviglioso oggetto elementare che ha fatto impazzire le bambine della mia generazione e qualcuna delle successive. Un oggetto semplice che mi ha corrotta per sempre, facendo della cucina la mia ossessione. Ho passato i migliori pomeriggi della mia vita a sfornare le ricette descritte nel libretto di istruzioni dalla torta al cioccolato, alla torta margherita, passando per la frittata al prosciutto, arrivando alla mitica torta a tre strati farcita di crema pasticcera e ricoperta di crema al cacao. Cucinavo meglio a otto anni che a venti, perché abbandonato il dolce forno non ho mai più toccato una padella fino ad una sera fatidica a Londra (vedi il racconto Due Spaghi a Londra a maggio nel blog) e al successivo riscatto culinario. Il mio diletto assoluto era preparare la torta al cioccolato, uno dei miei dolci preferiti ancora oggi, ne sfornavo quantità industriali a tutte le ore. Non contenta avevo anche creato quelle che io pensavo magnifiche varianti, tipo la torta zebra a tre strati: due di torta al cioccolato, piano superiore ed inferiore, in  mezzo torta di albumi bianca come la neve (una discreta porcheria da sola, ma fantastica abbinata) a cui avevo alternato strati spruzzati dalle prime bombolette di panna spray. Un dolce scicchissimo, bianco e nero, e voluttuoso, secondo noi bambini, che non conoscevamo ancora la parola voluttuoso, ma senz'altro la immaginavamo mentre mangiavamo questa torta. Una vera schifezza secondo i genitori costretti ad assaggiare fette minuscole (le tegliette avevano le dimensioni di un piattino da caffé) di sbobba sfornata e, soprattutto, elaborata da noi. La cosa più succulenta che sfornavo con le mie amiche era la frittata di prosciutto e formaggio, sempre troppo cotta e un po' filacciosa come non deve essere una frittata, sapeva alternativamente di prosciutto bruciato o formaggio fuso male. Una volta abbiamo esagerato nella quantità di miscuglio uova-formaggio-prosciutto e mentre cuoceva la frittata ha cominciato a diventare un'immondo blob che ha quasi distrutto il Dolce Forno. Rivoli di composto molle colavano dalle tegliette verso le lampadine e lì seccavano diffondendo un odore di peli bruciati nell'aria. Ricordo con un misto di nostalgia e tenerezza la pizza fatta con il pane in cassetta. Doveva essere terribile, ma noi ne andavamo fieri. Un pomeriggio ho anche deciso di fare io la panna montata per la torta al cioccolato, ho preso il latte in frigo, ho aggiunto un bella cucchiaiata di zucchero e con una frusta ho cominciato a montare come vedevo fare a mia mamma. Monta che ti rimonta passavano i minuti e la panna non diventava soffice e vaporosa come quella della mamma o quella spruzzata dal parattolo di Spray Pan. Monta ancora e non diventava spumosa, mi sono innervosita, e un po' frustrata ho pensato di non essere portata per montare la panna, ho bevuto il latte zuccherato inzuppando la torta al cioccolato appena sfornata. Mai provato? Io lo faccio ancora oggi, latte leggermente zuccherato torta al cioccolato. Consolatorio, anche se oggi la panna la monto niente male. Ho anche giocato col piccolo chimico, ma non con la stessa passione. Forse vi è andata bene o forse no. E' grazie al dolce forno che quotidianamente vi ammorbo con i miei racconti e le mie ricette. Sapete con chi prendervela.

RICETTA ORIGINALE DELLA TORTA AL CIOCCOLATO DEL DOLCE FORNO


6 misurini di farina - 4 misurini di zucchero - 2 misurini di cacao - 1 misurino di burro fuso - 1 uovo - 1 pizzico di sale

Sbattere in una scodella il tuorlo e l'albume con lo zucchero. Aggiungere la farina e il burro, quando tutti i grumi si saranno sciolti aggiungere il cacao e il sale. Mettere la pasta nello stampo ben imburrato ed infarinato e far cuocere per 23 minuti circa.
per una teglietta del Dolce Forno


P.S. Non chiedetemi dove ho trovato la ricetta, ho i miei segreti. Non so come facesse a venire bene una torta al cioccolato senza lievito né albume montato a neve, questi sono i misteri del Dolce Forno. Forse avevano ragione i genitori a non essere troppo entusiasti degli assaggi. 

domenica 10 luglio 2011

sabato 9 luglio 2011

BANANA CREAM PIE - CROSTATA ALLA CREMA E BANANA

I pies sono i dolci più tipici della cucina americana, insieme alle torte multistrato e ultracremose. Il più famoso è l'Apple Pie, quello che Nonna papera preparava per Qui, Quo, Qua e lasciava a raffreddare sul davanzale della finestra. Un fetta di pie è generalmente l'accopagnamento ideale di un caffè con le amiche. Ricordo Wendy, un'amica di mia mamma che amavo molto, arrivare con un Cherry Pie magnifico in occasione del caffè settimanale "due chiacchiere con le amiche" organizzato a casa nostra. Il Cherry Pie è fantastico ed è tra i preferiti degli americani, segue il Banana Cream Pie, voluttuoso, dolce, confortante nei momenti di tristezza.

Per la pasta:
125 gr di burro - 375 gr di farina - 1 cucchiaio di zucchero - 1 tuorlo - mezzo cucchiaino di aceto - mezzo cucchiaino di sale - 2 o 3 cucchiai di acqua fredda

Per il ripieno:
160 gr di zucchero - mezzo litro di latte intero - 60 gr di maizena (o amido di frumento) - 4 tuorli - 1 cucchiaio di burro - semi di una stecca di vaniglia - 2 banane mature - il succo e la buccia grattugiata di un limone - un pizzico di sale

Per la meringa: 3 albumi - un pizzico abbondante di sale - una punta di cucchiaino di cremor tartaro (si trova tra le spezie o in farmacia) - 120 gr di zucchero - 1 cucchiaio e mezzo di maizena (o amido di frumento)

Per la pasta: Mescolare la farina, il sale e lo zucchero, aggiungere il burro a tocchetti e lavorare fino ad ottenere un impasto granuloso. Mescolare il tuorlo con l'aceto, mescolare con il composto di farina per creare una pasta liscia e morbida, non dovete lavorare a lungo però. Se l'impasto dovesse risultare troppo secco o poco legato aggingere l'acqua fredda. Tirare la pasta allo spessore di mezzo centimetro, metterla in una teglia e riempirla con dei fagioli. Farla cuocere in forno a 180 gradi finché non è dorata e croccante. Far raffreddare completamente.


Per la meringa: Mettere gli albumi in un mixer con il sale, il cremor tartaro e montare finché non sono spumosi. Aggiungere lo zucchero a poco a poco continuando a montare. Smettere di sbattere quando gli albumi sono lucidi e spumosi, ma non hanno l'aspetto secco.


Per il ripieno: Setacciare la maizena, lo zucchero e il sale in una pentola, mescolare le uova e il latte in una ciotola e aggiungerla allo zucchero. Far cuocere a fuoco medio per circa 7/8 minuti mescolando in continuazione. Quando comincia a sobbollire e a diventare più spessa far cuocere ancora un minuto, aggiungere i semi di vaniglia, la scorza del limone e il burro. Mescolare bene. A parte tagliare le banane e irrorarle col limone, aggiungerle alla crema. Mettere la crema nel guscio di pasta, collocare la meringa e passare in forno a 180 per una decina di minuti. Sfornare, far raffreddare e tenere in frigo almeno quattro ore prima di servire decorato con foglie di menta o erba luigia.


P.S. Dolce, dolce, dolce, un milione di calorie, ma buonissimo.

venerdì 8 luglio 2011

BRUSCHETTA CALIFORNIA

Le bruschette sono molto di monda negli Stati Uniti, non esiste ristorante, italiano, pizzeria o, anche, di altro genere, che non le proponga nel menu. Raramente si trova la nostra bruschetta classica: pane, olio, aglio e pomodoro, ma varianti più ricche ed ingrassanti, in pratica dei panini aperti. Spesso i risultati sono poco entusiasmanti, a volte addirittura raccapriccianti, ma nel complesso non sono per niente male. Quella che propongo oggi è mia versione di una bruschetta che ho mangiato a San Luis Obispo in California, da qui il nome che ho scelto. Potete dare un vostro nome alla bruschetta, non mi offendo. 



12 fette di pane casereccio (6 tagliate a metà se leo fette sono grandi) - 200 gr di piselli - 100 gr di fave o di edamame (fagioli di soia) - 2 cucchiai di olio evo - 1 spicchio d'aglio - scaglie di parmigiano - foglie di menta - aceto balsamico

Grigliate il pane o tostatelo, strofinatelo leggermente con lo spicchio d'aglio. Fate cuocere in acqua bollente salata i piselli e le fave (o edamame) per un minuto o finché sono teneri, scolate. Mettere in una ciotola, salare,  aggiungere 2 cucchiai di olio e schiacciare grossolanamente con i rebbi di una forchetta. Mettere una bella cucchiaiata abbondante sul pane, guarnire con scaglie di parmigiano, la menta leggermente pestata ed un paio di gocce di aceto balsamico.
per 12 bruschette 

P.S. Se volete potete farle con i piselli, le fave e/o l'edamame congelati, fateli scongelare un poco e cuoceteli per il doppio del tempo indicato per i freschi. Potete anche usare un solo tipo di bacello, a me piace molto la versione semplice solo piselli. La mentuccia sta bene con tutte e tre le scelte di bacello. Ah, se ordinate una bruschetta negli USA abbiate l'accortezza di pronunciare così: bruscetta e non con la c dura come da noi, altrimenti non vi capisce nessuno... ah, ah...

giovedì 7 luglio 2011

LEMONADE - LIMONATA

Non esiste niente di più americano nelle torride giornate estive di un bicchiere di limonata con tanto ghiaccio. La caraffa appannata dalla condensa, il sapore acidulo e dissetante insieme al ghiaccio che tintinna nel bicchiere sono un simbolo dell'estate statunitense. Specialmente nel sud, dove le limonate analcoliche lasciano il posto a quelle con aggiunta di un liquore, bourbon o gin, e dove i cocktail a base dell'agrume si trasformano in sbronza assicurata perché, come si suol dire, la bibita "va giù come se fosse acqua". Con meno ghiaccio, un po' meno fredda, può andare bene anche in primavera, quindi a San Francisco. E' la quantità di ghiaccio che fa la differenza tra una limonata servita negli Stati Uniti e in Italia, noi ci dissetiamo lo stesso anche se non è ghiacciata come se fosse passata dentro ad un iceberg. Quella che presento qui sotto è la ricetta classica, con una mia variante. 

1 litro di acqua fredda più 125 ml - 180 ml di succo di limone - 125 gr di zucchero -  la buccia di 2 limoni  -  ghiaccio a piacere - erba luigia o limoncella

Mettere lo zucchero con 125 ml di acqua in una casseruolina, aggiungere la scorza dei limoni e portare ad ebollizione. Far bollire finché lo zucchero non è sciolto. Mettere da parte e far raffreddare completamente. Filtrare. Spremere i limoni e mettere il succo in una caraffa, aggiungere lo sciroppo messo da parte, l'acqua, il ghiaccio e l'erba luigia.

P.S. Le mie varianti in realtà sono due: l'erba luigia e la quantità di zucchero dimezzata rispetto a quella della ricetta originale. Io preferisco le cose poco dolci, ma voi siete liberi di aggiungere 250 gr di zucchero all'acqua per lo sciroppo. Se avete dei bambini potete rendere la limonata più divertente colorandola di rosa con poche gocce di sciroppo di granatina, in mancanza va bene anche del colorante rosso alimentare, così si diventa quella Pink Lemonade che si trova in molti diner in giro per gli States. 

mercoledì 6 luglio 2011

SALMON BURGER - HAMBURGER DI SALMONE

Visto che nel racconto abbiamo parlato di pesce vi presento un classico americano rivisitato: l'hamburger. Questo è un panino succulento e buonissimo, che permette di peccare di gola senza esagerare. Certo non è un piatto light, ma la cucina americana è nota per non esserlo.

500 gr di filetti di salmone senza spine e spellati - 1 cucchiaio di maionese - 60 gr di pangrattato - 2 cucchiai di cipolla tritata fine - 1 cucchiaino di olio - 1 cucchiaio di dill (aneto) tritato - mezzo cucchiaino di paprika dolce - 1 cucchiaio di senape di Dijon - sale pepe - 

per servire : 4 panini da hamburger coi semi di sesamo - foglie di lattuga - cream cheese (Philadelphia) - succo di limone - cipolla tagliata ad anelli

Tritare il salmone preferibilmente a coltello, ma va bene anche nel mixer. Soffriggere la cipolla nell'olio finché è morbida, non deve friggere e fate attenzione di non bruciarla. Far raffreddare. Mescolare tutti gli ingredienti tranne il pangrattato, che aggiungerete a cucchiaiate se il composto risultasse troppo molle e umido. Non esagerare con il pangrattato perché altrimenti l'hamburger diventerà duro e asciutto. Salare pepare. Mettere in frigorifero per un'ora e formare gli hamburger. Cuocere alla piastra, alla griglia oppure semplicemente in una padella antiaderente senza olio.  Far scaldare i panini tagliati a metà in una padella antiaderente senza condimento. Servire componendo il panino in questo modo: un velo di cream cheese, foglia di lattuga, hamburger, anello di cipolla, gocce di succo di limone sulla mollica del "coperchio" del panino.
per quattro persone  

P.S. La composizione del panino può variare secondo il gusti, questa è quella classica. Potete omettere il cream chesse o sostiutuirlo con la robiola o la ricotta (a me piace molto con la ricotta) o lo yogurt, queste soluzioni sono più salutari è ovvio, io le preferisco. Se usate la ricotta insaporitela con un po' di erba cipollina tagliuzzata, un po' di pepe e sale. La cipolla non è fondamentale, potete ometterla se non vi piace, ma ci sta molto bene. Il succo di limone regala un tocco di freschezza. Nell'impasto dell'hamburger potete sostituire l'aneto con dell'erba cipollina tagliata fine. 


martedì 5 luglio 2011

CENA A SAN FRANCISCO

San Francisco è bellissima, peccato che, come ha detto Mark Twain "L'inverno più rigido della mia vita è stato l'estate che ho trascorso a San Francisco". Una città magnifica con un clima birichino. Attraversando il Golden Gate Bridge il clima cambia. Se per esempio a Sausalito giri in costume da bagno, è quasi sicuro che dalle parti di Nob Hill (un quartiere molto chic della città) un maglioncino ci voglia. Quando arrivano le nebbie dall'oceano la temperatura si abbassa di colpo, la città assume un aspetto invernale, anche se è luglio, la nebbia filacciosa avvolge tutto e le nubi basse corrono di quartiere in quartiere, conferendo alla città l'aspetto di un film francese del secolo scorso (citazione: °Quai des brumes-Porto delle nebbie" di Marcel Carné con Jean Gabin). Questo è il suo grande fascino, nel resto della California è sempre primavera, a San Francisco è inverno quando meno te l'aspetti. E' la città dove mio marito sceglierebbe di vivere, ama molto le sue strade in saliscendi, le sue colline verdi, la vitalità della sua gente, l'anima pulsante di Chinatown, che è la comunità cinese più grande al mondo dopo la Cina, la sua cultura, e trova affascinante anche il suo snobismo, paraagonabile solo a quello di New York. Io la amo per la sua anima multietnica e la sua gastronomia varia come sono vari suoi quartieri per atmosfera e cucina. Qui in pratica è stata inventata la cucina americana moderna, qui si mettono alla prova i grandi chef. La varietà è tale che se uno decide di cambiare tipo di cucina tutte le sere per un mese non mangerà nello stesso posto o assaggerà qualcosa di uguale. Ho degustato il miglior ceviche della mia vita in un ristorante peruviano di Castro, una domenica a mezzogiorno facendo la coda con la famiglie peruviane al completo. A Japantown, il quartiere giapponese, sulla Post street, ho scoperto per caso un posto dove servono piatti di grande classe sospesi tra occidente e oriente. E' qui che Alice Waters, la guru del cibo naturale e biologico, ma super squisito, si esprime al meglio nel suo ristorante Chez Panisse. Non so se ci vivrei, io ogni tanto ho voglia di avere caldo, veramente caldo, ma questa città è il paradiso per un'appassionata di cucina come me.
Nel tardo pomeriggio di una giornata di primavera, ed era effettivamente primavera anche a San Francisco, mio marito ha espresso il desiderio di andare a vedere se esisteva ancora l'YMCA dove era stato con un amico da ragazzo. Si ricordava perfettamente l'indirizzo e il luogo, era compresso tra le rive dell'oceano in quella zona piatta che dà inizio alla salita verso uno degli hill (colline) della città. Lui pensava che, vista la quantità di anni trascorsi, non esistesse più nulla ed invece l'ostello era ancora lì, in piedi in tutta la sua gloria. Davanti al portone ragazzi con lo zaino chiacchieravano e ridevano. I ricordi ci hanno assalito, forse un attimo nostalgia per i primi viaggi a guardar le stelle da un sacco a pelo, ma è durato un attimo perché questa città è troppo bella per intristirsi. Era quasi ora di cena e abbiamo cominciato a guardarci intorno, ma niente soddisfaceva i nostri occhi. Mio marito ha un talento speciale: guarda un ristorante, ne soppesa il nome, ne coglie l'atmosfera e, senza nemmeno leggere il menu esposto, decide che mangiare lì sarà l'esperienza migliore della tua vita. Non ha quasi mai sbagliato la scelta, solo una volta, a Rio de Janeiro, mi ha portato in un posto terribile, ma devo ammettere che nel ristorante c'era una bella atmosfera. Quella sera a San Francisco il suo fiuto da segugio ha individuato un ristorante che aveva già addocchiato il giorno precedente. Si chiamava, e si chiama, Boulevard. Un posto elegante, ma senza essere pretenzioso, con un lato easy che distingue molti grandi ristoranti in città. Boiserie marinare si mescolavano a tappezzerie leggermente art déco, grandi finestre con vista sul Golden Gate e soffitti di mattoni color ocra creavano l'atmosfera di un pub in bilico tra Dublino e Parigi. Il posto brulicava di gente ed erano solo le sette di sera, che negli Stati Uniti è un orario abbastanza di punta, e anche la trasgressiva San Francisco non fa eccezione alle cene che per noi italiani sarebbero merenda. Al nostro ingresso ci accoglie la solita hostess bellissima ed elegante che ci porge la domanda d'obbligo, in tutto il mondo, ma soprattutto negli USA, "Avete prenotato?". Certo che no, non sapevamo che saremmo venuti qui a cena, lei scorre il registro delle prenotazioni come fosse la maestrina dalla penna rossa. "Purtoroppo siamo al completo", due faccine deluse la guardano, già ci piaceva tanto quel ristorante, "Però se volete c'è posto al bancone, se non vi da fastidio. Ve lo mostro". Ci fa strada tra i tavoli dove addocchiamo piatti di pesce e altre prelibatezze che sfrecciano trasportati da camerieri in tenuta da bistrot. Il bancone è una porzione della cucina, praticamente un'isola che esce dall'acciaio inox e luce bianca di una cucina professionale con tutti i crismi, ed entra nella sala da pranzo. Cinque chef giovani e, devo dire, piuttosto belli lavorano su fornelli che convivono con un bancone sopra il quale è stato apparecchiato in modo molto elegante. Gli alti sgabelli permettono agli avventori di seguire il lavoro degli chef. "Se non vi da fastidio (lo ripete, accidenti), ho due posti lì" e la bella hostess ci mostra due sgabelli vuoti davanti ad un ragazzo biondo che spadella e sorride, sorride e spadella. Nota per le signore: è bellissimo, uno dei più bei ragazzi che io abbia mai visto nel circuito culinario mondiale. Ma quale fastidio, per me è il paradiso. Ci arrampichiamo sugli sgabelli. Arriva la carta e scegliamo le pietanze, iniziamo con dei frutti di mare della Baia, seguiti da un piatto di pesce. Ordiniamo il vino: un Albarino spagnolo, delle Rias Bajas, di solito avremmo ordinato un vino italiano, ma questa sera siamo nostalgici della Spagna. Intanto il giovane chef davanti a noi prepara halibut con verdure saltate e un piatto vegetariano e noi seguiamo ogni suo movimento. Mette un trancio di halibut in padella, in un'altra padella fa saltare le verdure e si abbassa leggermente sotto ai fornelli,  tira fuori un'altra padellina, sala il pesce, salta ancora le verdure, prende il pepino, un giro di pepe sulle verdure e sul pesce, mette un altro halibut nella nuova padellina, testa la cottura del pesce con una spatola, sale sulle verdure, si gira prende qualcosa che gli passa un collega, impiatta l'halibut, dispone le verdure sul piatto, prende il pesce con la spatola lo mette sulle verdure, suona un campanello, arriva il cameriere, mette le padelline usate sotto i fornelli. Sembra un ballerino, si muove con movimenti brevi, secchi e precisi, economizzando le energie. Ricomincia con un altro halibut. Arriva un ragazzo, toglie le padelle sporche da sotto il banco, ne aggiunge delle altre. Noi siamo intenti a guardare bevendo acqua e arriva il direttore/socio/sommelier del ristorante. Buonasera, dice. Buonasera, rispondiamo. "Ho visto che avete ordinato un Alabrino, purtorppo non è a temperatura, posso suggerirvi uno Chardonnay californiano?". Mio marito non ama molto i vini californiani, troppo aromatici, troppo barricati, lui ama cose semplici, gusti netti. "Guardi, ero indeciso, quindi preferirei prendere il Verdicchio delle Colline di Matelica che avete in lista.". Di solito mio marito non è così antipatico, ma gli Chardonnay californiani sono proprio uno scoglio che non riesce a superare. Il direttore sembra deluso, ma parte a prendere quanto abbiamo ordinato. Arriva col nostro vino, assaggiamo, non sa di tappo e ce lo versa. Sorseggiamo mentre aspettiamo la cena e ci godiamo lo spettacolo del ballerino-cuoco. Halibut in padella, verdure, sale, verdure, pepe, impiattare, campanello, padelle sotto, ripetuto all'infinito, sempre con gli stessi gesti veloci, ma ipnotizzanti. Si avvicina il direttore, con due bicchieri e una bottiglia "Le posso chiedere perché non ama gli chardonnay locali?", intuendo l'ostilità di mio marito per quel tipo di vino. Mio marito spiega. Lui versa del vino bianco nei bicchieri. Chardonnay, dice mio marito. Cosa ne pensa? Ottimo e apprezza convinto. E' un californiano. Accidenti, vedi che c'è sempre da imparare nella vita, dice mio marito al direttore. "Non è barricato, il gusto è bello secco, come piace a me. Posso avere il nome dell'azienda produttrice?". Trionfante il direttore dice "Non è in commercio, lo produco io, è il mio vino". E riempie il bicchiere. No, no, basta abbiamo già questo. Deve guidare? No. Allora beva alla mia salute. I camerieri si affollano attorno a noi, il giovane e bel cuoco chiacchiera mentre prepara il suo halibut e ci racconta che fino a ieri preparava il tonno (Ahi Tuna), il direttore passa periodicamente a riempire i nostri bicchieri di Chardonnay, noi scoliamo tutto il Verdicchio. A fine serata siamo molto più che leggermente alticci, ma la nostra uscita dal ristorante ce la ricordiamo benissimo. A salutarci ci sono nell'ordine: il direttore, lo chef (quello col nome scritto sulla giacca), il sous chef, il bello dell'halibut (eccellente, per altro), la hostess d'accoglienza e forse anche il parcheggiatore. Tutti schierati e noi ci siamo sentiti dei divi, come mai ci siamo sentiti in vita nostra, e tutto perché l'Albarino non era abbastanza freddo. Meditate, gente, Meditate.

lunedì 4 luglio 2011

ERRORE FATALE

Per errore ho cancellato il racconto di oggi, mi scuso e mi rifarò viva domani con nuove avventure. Intanto, visto che fa caldo, mangiate un bel gelato alla mia salute.

domenica 3 luglio 2011

TUTU DE FEIJAO

Questo è una crema di fagioli che generalemente viene servita come contorno ad altri piatti, il più classico: una bistecchina di maiale con l'osso cotta alla griglia con riso bianco. In pratica è un arroz con feijao in forma diversa... come se fosse passato tra le mani di un Ferran Adrià ante litteram e lui ne avesse modificato la consistenza. Naturalmente, scherssso, chiedo venia Signor Adrià. 


500 gr di fagioli - 4 spicchi d'aglio - 50 gr di cipolla tritata - farina di manioca (mandioca, in Brasile) - 50 ml di cachaça - 50 gr di bacon a dadini - 25 gr di olio o burro se fosse necessario - sale

Cuocere i fagioli finché non sono tenerissimi, quasi sfatti. Tenere da parte un po' di acqua di cottura e frullare tutti i fagioli nel frullatore. Aggiungere acqua se la consistenza fosse troppo solida, la crema deve essere un po' liquida . In una padellina far soffriggere il bacon con la cipolla e l'aglio tritato, nel caso il bacon fosse poco grasso iniziare a friggere con un po' d'olio. Aggiungere la crema di fagioli e la farina di manioca, un cucchiaio per volta altrimenti la crema diventa troppo dura. Finire con la cachaça e il sale. Servire caldo.
per molti... e ho già dato la ricetta dimezzata

P.S. Usata una cachaça qualsiasi, non c'è bisogno dell'eccellenza come se fosse una caipirinha. 



sabato 2 luglio 2011

QUINDIM - DOLCE CON COCCO

La maggior parte dei dolci brasiliani è di origine portoghese, quindi la presenza delle uova è massiccia e c'è una spiegazione alla presenza di uova ovunque nei dolci portoghesi. Sono praticamente tutti di origine conventuale e le suore, tutte, avevano l'abitudine di inamidare i veli con una soluzione di acqua e albume d'uovo. I tuorli che avanzavano venivano usati per fare dolci, da qui la tradizione portoghese dei dolci "uovosi". Naturalmente, essendo il Brasile una colonia portoghese ha ereditato molti piatti della tradizione lusitana, elaborandola secondo gli ingredienti locali. I dolci brasiliani sono anche molto ricchi di zucchero. Questo dolce viene presentato grande come una moneta nei bar e nelle pasticcerie, è il classico accompagnamento per il caffè di metà mattina insieme al pao de queijo. 


400 gr di zucchero - 1 cocco grattugiato - 15 uova - 60 gr di burro

Mettere tutti gli ingredienti in una ciotola grande e mescolare con una spatola. Versare il composto in una teglia media imburrata e spolverata di zucchero. Cuocere a bagnomaria a 180 gradi per due ore e mezza, dopo un'ora coprire con la carta d'alluminio. Togliere dal forno e lasciar raffreddare quasi completamente prima di sformare.

P.S. In Brasile il cocco si trova già grattugiato nei mercati, c'è un banchetto apposta che fa solo quello con un apposito strumento, una sorta di rastrellino lungo dieci centimetri. A voi toccherà fare il lavoro "sporco", il cocco non deve essere grattugiato troppo sottile e non deve essere tritato. Se avete una grattugia multipla quadrata andranno bene i buchi medi. Che fare con gli albumi avanzati? Ho diverse soluzioni da proporvi: se siete suore inamidate il vostro velo; potete fare una magnifica meringa; provate a fare l'Angel Food  Cake (magari vi regalo  la ricetta la prossima settimana); congelateli, durano circa un mese, a gruppi di sei.



venerdì 1 luglio 2011

FRANGO COM AMENDOIM - POLLO CON ARACHIDI

Questa è una ricetta di cucina brasiliana moderna, cioè che prende ispirazione dalla tradizione e crea qualcosa di nuovo e speciale. Ho seguito un breve corso di cucina brasiliana moderna con Edinho Engel chef e padrone del Manacà, che considero il più bel ristorante del mondo. Un angolo di paradiso su una palafitta nascosta nella Mata Atlantica (Patrimonio dell'Umanità secondo l'Unesco), la foresta Atlantica, sul litorale paulista a Camburi. Un posto veramente magico e speciale, che vale la pena di vedere, intendo il litorale paulista e soprattutto il Manacà, entrambi valgono il viaggio. 
La spiaggia di Camburi al tramonto


200 gr di petto di pollo tagliato a listarelle - 30 gr di arachidi tostate e tritate senza pelle - 50 ml di succo di mango (o frutto della passione) - 1 cucchiaio di cipolla tritata - 2 spicchi d'aglio tritati - 80 gr di pomodori senza pelle - prezzemolo, erba cipollina, coriandolo tritati - olio sale pepe

Soffriggere la cipolla e l'aglio con un cucchiaio di olio. Aggiungere il pomodoro, il succo di mango e cuocere, salare pepare. Togliere dal fuoco e mettere le erbe tritate, una o due a scelta o tutte secondo i gusti. In una padella far dorare il petto di pollo, deve essere ben cotto ma non duro, salare pochissimo. Aggiungere alla salsa di pomodoro e spolverare con le arachidi. Rettificare il sale e servire con un riso bianco.


P.S. La ricetta originale prevedeva i gamberetti secchi, siccome non è facile reperirli dalle nostre parti li ho omessi, viene benissimo lo stesso, ma se li trovate aggiungeteli (200 gr) quando mettete il pollo nella salsa di pomodoro con le arachidi.