martedì 31 dicembre 2013

BRINDISI DI FINE ANNO

Si è chiuso un altro anno per questo luogo dove racconto i miei viaggi, i miei ricordi e cucino insieme a voi. Spero siate stati bene in mia compagnia. Festeggiamo virtualmente insieme con il menù rustico che ho proposto quest'anno ai miei ospiti, con l'antipasto, il Gattò, l'insalata ci saranno anche lenticchie e il cotechino. Gli altri ospiti porteranno il loro contributo: un Vitel Tonné da manuale, del Foie Gras con confettura di cipolle (c'è la ricetta nel blog). Chiuderà la Pavlova che ci ha accompagnati a Natale, i miei ospiti l'adorano. Un brindisi all'anno nuovo, anche se saremo un anno più vecchi. ;-) 

 BUON ANNO!
CIN CIN 



lunedì 30 dicembre 2013

MENU DI CAPODANNO - INSALATA PORTA FORTURNA

A portare fortuna seguiranno cotechino e lenticchie, in questo menu rustico per la notte più lunga dell'anno. Quest'anno ho preferito piatti un po' ruvidi e ruspanti, il contrario di ciò che ci si aspetterebbe nella notte di San Silvestro. Secondo me, accogliere il nuovo anno in maniera più semplice, ma non frugale, è di ottimo auspicio. Vedremo l'anno prossimo se ci ho azzeccato. 
Questa insalata è stata presa dalla rivista francese Elle à Table di un paio di anni fa, ho apportato delle leggere modifiche alla ricetta originale adattandola al mio gusto.  

mezzo cavolo rosso - mezzo cavolo bianco - qualche cimetta tenera di cavolfiore bianco - una melagrana ben matura - un mazzetto piccolo di prezzemolo - un cucchiaino di zucchero - tre cucchiai di aceto di vino bianco - sei cucchiai di olio evo - due cucchiai di yogurt - sale pepe

Lavare e pulire i cavoli togliendo le prime foglie e la parte centrale un po' più dure. Tagliarli sottilissimi con un coltello affilato. Con una mandolina tagliare a fette sottili le cimette di cavolfiore, servono più che altro per decorare e non per insaporire l'insalata. Prelevare i grani della melagrana. Tagliare il prezzemolo grossolanamente. Mescolare in una ciotoline lo zucchero con l'aceto. Unire l'olio, lo yogurt, salare e pepare. Emulsionare bene. Mettere tutti gli ingredienti in un'insalatiera, condire con la vinaigrette, mescolare bene, decorare con le fettine di cavolo e servire.
per quattro persone

domenica 29 dicembre 2013

MENU DI CAPODANNO - IL PIATTO FORTE: IL GATTO' DI PATATE

Un piatto sontuoso eppure poco impegnativo. Ha il vantaggio di poter essere preparato con anticipo e messo in forno all'arrivo degli ospiti. Un'accortezza fondamentale: lasciar raffreddare per una mezz'ora almeno il Gattò, dopo averlo tolto dal forno, la temperatura interna è vicina alla lava si rischiano dolorose ustioni alla bocca altrimenti!

1,2 kg di patate - 3 uova (due tuorli e un albume) - 100 g di prosciutto cotto - 80 g di burro - 150 g di mozzarella - 100 g di provola a fettine - 50 g di parmigiano grattugiato - 40 g di pecorino grattugiato - un mazzetto di prezzemolo - noce moscata - sale pepe - pane grattugiato

Bollire le patate e passarle allo schiacciapatate fino per un paio di volte. Lavorarle bene col cucchiaio di legno fino ad ottenere una consistenza omogenea, unire il burro a pezzettini, poi i tuorli, il sale, il pepe, il prosciutto tritato, il parmigiano e il pecorino grattugiati. Mescolare bene. Terminare con il prezzemolo tritato fine e una spolverata di noce moscata. Montare l'albume a neve e incorporarlo con delicatezza alle patate. In uno stampo da soufflé, imburrato e cosparso di pane grattugiato, fare uno strato di composto di patate. Quindi aggiungere la mozzarella tagliata a dadini, lasciata asciugare un po' in un colino, e la provola tagliata a fettine sottili. Terminare con il resto delle patate. Cospargere la superficie di pan grattato, unire qualche fiocchetto di burro. Cuocere in forno a 200 gradi per quaranta minuti, finché non è bello gonfio e dorato. Far riposare mezz'ora prima di servire.
per otto persone 

sabato 28 dicembre 2013

MENU DI CAPODANNO - L'ANTIPASTO: PERE E FORMAGGIO DI CAPRA CON CROSTINI


Per la notte di San Silvestro ho deciso di lavorare poco, non mangiare troppo e festeggiare senza remore. Il mangiare poco è il risultato dei giorni scorsi, diciamo che non mi nutrirò di brodino e semola, ma cercherò di fare piatti sfiziosi non troppo impegnativi per la digestione. D'altronde bisogna finire la serata nel solco della tradizione: cotechino e lenticchie, che io servirò semplici, senza salsa di pomodoro, e profumate alla menta. Cercheremo di non esagerare, insomma. Oddio, il secondo previsto non è proprio leggero, vedrete domani. 

quattro pere mature - 200 g di formaggio di capra semi stagionato, tipo crottin o buche - 50 g di mandorle – mezzo cucchiaino di semi di anice – due cucchiai di miele liquido, millefiori va benissimo – un pizzico abbondante di fior di sale – pane casereccio a fette
 
Capodanno a Parigi? No, Las Vegas
Far dorare le mandorle a secco in una padella. Fare lo stesso con i semi di finocchio finché non sprigionino un buon odore di liquirizia. Pestarli dentro ad un mortaio, senza farli diventare polvere, e unirli al miele con un bel pizzico di fior di sale. Pulire la pere e tagliarle in quattro fette spesse, metterle sulla placca del forno. Tagliare i formaggio di capra in fette sottili e disporle sulle fette di pera, spolverare di mandorle grigliate e finire col miele. Gratinare tutto nella parte alta del forno a 250 gradi per 5 min o finché il formaggio comicia a dorare. Tagliare le fette di pane a pezzetti irregolari, farle tostate nel tostapane finché non sono belle dorate e croccanti. Servire insieme alle pere gratinate. 
per sei persone 

mercoledì 25 dicembre 2013

lunedì 23 dicembre 2013

IL MIO PRANZO DI NATALE - COCKTAIL: MALAGA EGGNOG

Per la ricetta dell'Eggnog classico uscire, andare in libreria e comprare "Il Natale è Servito" oppure cliccare sul link qui di fianco che vi manda direttamente al sito della mia casa editrice. Fine pubblicità. Quello che vi presento è comunque una versione deliziosa, codificata dalla International Bartender Association. 

2/3 di latte - 1/3 di Porto - mezzo cucchiaio di zucchero - un uovo - ghiaccio - noce moscata - cubetti di ghiaccio
Natale alle Maldive.... 

Separare il tuorlo dall'albume. Mettere il tuorlo nello shaker, aggiungere il ghiaccio, il latte e il Porto. Agitare con tanta, tanta energia. Montare l'albume a neve, incorporarne metà piano piano facendo attenzione a non smontarlo. Con il resto terminare il cocktail, spolverare di noce moscata. Servire.
per un bicchiere 

domenica 22 dicembre 2013

PROSSIMAMENTE

Nei prossimi giorni ancora qualche ricetta di Natale, giusto per non perdere l'abitudine e variare il menu.

sabato 21 dicembre 2013

IL MIO PRANZO DI NATALE - IL DOLCE: PAVLOVA ALL'AROMA DI CIOCCOLATO CON LAMPONI E MELAGRANA

Sulla mia tavola di Natale non manca mai il panettone, è ovvio, ma non lo considero un dessert. Che deve esserci sempre e non deve essere troppo ricco per lasciare posto al panettone. E' stato difficile trovare un dolce che queste caratteristiche di leggerezza e avesse il sapore della festa insieme. Da quando ho scoperto che in Australia e Nuova Zelanda la Pavolva è il dolce di Natale l'ho scelta per non lasciarla più, diventando una tradizione sulla mia tavola. Ogni anno ne propongo una versione diversa. Questa è quella di quest'anno.

per la meringa: tre albumi - 150 g di zucchero molto fine - 100 g di zucchero a velo - un cucchiaino di aceto di lamponi (o di vino rosso o succo di limone, io preferisco l'aceto) - un cucchiaio di fecola di mais

per la crema : 250 g di lamponi -  100 g di chicchi di melagrana - 250 ml di panna - 3 cucchiai di liquore al cioccolato bianco

Accendere il forno a 150 gradi. Montare i bianchi d'uovo, quando sono bianchi e spumosi aggiungere 150 di zucchero e continuare a montare finché non sono lucidi e gonfi. Quindi unire lo zucchero a velo, l'aceto e la fecola di mais lavorando con spatola dal basso verso l'alto. Disporre sulla placca rivestita di carta forno dando una forma rotonda con un cucchiaio creare un nido al centro. Cuocere in forno a 150 gradi per un'ora e poi far raffreddare nel forno spento con la porta semi aperta.

Montare la panna con il liquore al cioccolato. Disporlo sulla meringa fredda. Decorare con i lamponi e i chicchi di melagrana. Servire cosparso di zucchero a velo se piace (io preferisco di no, ma è molto decorativo).
per sei persone

P.S. La meringa può essere cotta con un giorno d'anticipo e conservata in un luogo fresco e, soprattutto, asciutto fino al momento di decorarla. 

venerdì 20 dicembre 2013

IL MIO PRANZO DI NATALE - CONTORNO: INSALATA DI FAGIOLINI E NOCI

Un'insalata leggera e sapida che accompagna perfettamente il dolce salato della Lonza con i Datteri. 

450 g di fagiolini già cotti al dente (vanno bene anche congelati) - mezza cipolla - mezzo spicchio d'aglio - quattro cucchiai di parmigiano in scaglie sottilissime - due cucchiai colmi di noci tostate a secco e tagliate grossolanamente - un cucchiaio di mandorle tostate a secco e tagliate grossolanamente

per la vinaigrette: sei cucchiai di olio evo - due cucchiai di aceto di vino bianco - due cucchiaini di dragoncello tritato - sale pepe
Natale a Montecarlo

Mescolare i fagiolini con la cipolla affettata sottile e l'aglio tritato, unire il parmigiano. Preparare la vinaigrette mescolando bene gli ingredienti e facendola riposare almeno mezz'ora. Versare la vinaigrette sui fagiolini e mescolare bene. Trasferire su un piatto di portata e aggiungere le noci e mandorle. Servire.
per quattro persone



giovedì 19 dicembre 2013

IL MIO PRANZO DI NATALE - IL SECONDO: LONZA DI MAIALE AI DATTERI

A casa mia non è Natale se non ci sono i tortellini, abbiamo adottato questa tradizione in tempi ormai remotissimi e continuiamo a proporli sempre nello stesso modo: in brodo. Quindi sarebbe una proposta noiosissima per il pranzo di Natale, se volete potete adottarla e andare a cercare le ricette coi tortellini presenti nel blog. Saltiamo a piè pari il primo e passiamo al piatto forte. Qualcosa di saporito, esotico e economico, che a volte non guasta. Se a casa mia i primi sono tradizionalissimi in genere i secondi sono sempre fuori dagli schemi, per un tocco di originalità. Ogni anno cambiamo. 

un chilo di lonza di maiale - 100 grammi di datteri (possibilmente Medjool) - il succo di mezza arancia - un cucchiaio colmo di coriandolo tritato (facoltativo) - sei cucchiai di olio evo - due spicchi d'aglio - sale pepe - 150 ml di vino bianco secco - brodo vegetale 

Tagliare i datteri a pezzetti piccolissimi. Metterli in una ciotola con il succo d'arancia, il coriandolo, il sale, il pepe e quattro cucchiai d'olio e un paio di brodo caldo. Lasciar riposare. 
Legare la lonza con spago da cucina se non lo fosse già. In una casseruola che può andare in forno scaldare due cucchiai di olio d'oliva e far rosolare la lonza su tutti i lati finché non è bella arrostita, salare e pepare, unire gli spicchi d'aglio interi schiacciati, rosolare ancora per un attimo, finché l'aglio non rilascia il suo profumo. Sfumare con il vino bianco, unire qualche cucchiaiata di brodo, aggiustare di sale e pepe. Far cuocere coperto per un quarto d'ora sul fornello, poi passarla in forno a 180 gradi per altri 15/20 minuti. Girare ogni tanto e irrorare col fondo di cottura. Nel caso si asciugasse troppo bagnare con un po' di brodo caldo. 
Togliere la lonza dal forno e lasciarla riposare coperta da un foglio di alluminio per una mezz'oretta. Prendere quattro/cinque cucchiai di fondo di cottura e unirli ai datteri. Mescolare bene, la consistenza della salsa non deve essere troppo liquida, ma scorrevole, quindi unire fondo di cottura dovesse risultare troppo spessa. 
Tagliare la lonza, distribuire la salsa sulla carne e servire. 
per sei persone

P.S. La qualità dei datteri proposta è indicativa. Sono datteri belli "cicciotti" e pieni di polpa, dolci ma non troppo, ideali per questa preparazione salata. Si trovano nei negozi specializzati, ma anche nella grande distribuzione o da alcuni fruttivendoli. Il coriandolo conferisce un sapore e un profumo esotici e si accompagna perfettamente alla dolcezza del dattero, se non piace sostituire con del prezzemolo. 

mercoledì 18 dicembre 2013

IL MIO PRANZO DI NATALE - APERITIVO: BICCHIERINI DI PANNA COTTA AL PARMIGIANO


A volte a Natale è necessario proporre sfizi piuttosto che antipasti complicati in modo da gustare meglio i piatti forti della giornata e alzarsi da tavola non troppo appesantiti. Questi bicchierini sono scenografici e appetitosi, soprattutto facili da fare con un bell'anticipo. Mi raccomando che i bicchierini siano trasparenti per godere del bellissimo contrasto cromatico pomodoro crema di parmigiano. 

80 g di pomodorini secchi sott’olio – 150 ml di latte – 150 ml di panna – 75 g di parmigiano grattugiato con la Microplane – 4 g di gelatina in fogli – sale pepe – rucola per decorare
Natale a Milano - Corso Como 10 

Immergere la gelatina in acqua fredda. Passare i pomodorini al mixer e dividerli nei bicchierini di servizio. Portare ad ebollizione la panna e il latte con cinquanta grammi di parmigiano. Far bollire due tre minuti, poi fuori dal fuoco unire la gelatina strizzata. Mescolare bene, salare e pepare, versare nei bicchierini. Mettere in fresco per almeno due ore. Decorare con qualche fogliolina di rucola, un pizzico di parmigiano e servire con grissini o taralli. 
per otto bicchierini da 40 ml, circa

P. S. Questo piatto viene benissimo anche con i pomodori freschi confit. Fate cuocere i pomodori tagliati a metà e leggermente salati nel forno a cinquanta gradi per un paio di ore. 

martedì 17 dicembre 2013

IL MIO PRANZO DI NATALE - APERITIVO: MANDORLE SPEZIATE

Si inizia con un aperitivo e uno stuzzichino fatto in casa. Semplice e senza fronzoli, si può fare con largo anticipo e conservare in una scatola a chiusura ermetica. Se le mandorle dovessero perdere un po' di croccantezza passarle nel forno a 150 gradi per qualche minuto, riprenderanno il loro splendore. Sarebbe meglio usare il cumino in semi, che verranno tostati e poi macinati a mano in un mortaio, ma in caso di grande fretta... usare il cumino in polvere. 

250 g di mandorle intere - un cucchiaino di olio (va bene anche di arachide) - mezzo cucchiaino abbondante di semi di cumino - mezzo cucchiaino di Paprika - mezzo cucchiaino di sale - pepe di Cayenna - senape in polvere (quella inglese che si usa amalgamare con l'acqua)
Natale a Montecarlo 

Accendere il forno a 180 gradi. Tostare a secco i semi di cumino in una padella e ridurli in polvere dentro un mortaio. Mescolare in una ciotola cumino, paprika e sale, unire un pizzico di pepe di Cayenna e uno di senape. Mescolare bene le mandorle dentro questo composto e disporle sulla placca del forno rivestita di carta forno. Farle tostare per 10/12 minuti finché non saranno croccanti e fragranti. Servire tiepide o fredde.
per 250 grammi

giovedì 12 dicembre 2013

UOVO IN COCOTTE

Siccome il racconto era improntato sul "niente è ciò che sembra" vi propongo questa ricetta in cui l'aspetto inganna il palato. Ovviamente non è mia, è di un famoso chef britannico di cui, scusate non ricordo più il nome. Sarà l'età che avanza, la memoria corta o pura e semplice distrazione, ma proprio non mi ricordo in quale ristorante di Londra ho assaggiato questo dessert trompe l'oeil. Comunque questa è una mia rivisitazione.

quattro manghi ben maturi - 200 ml di crema pasticcera non troppo solida - 150 ml di panna - 10 g di gelatina in fogli - cioccolato fondente al peperoncino - zucchero semolato

Mettere la gelatina ad ammollare in acqua fredda. Sbucciare i manghi, tagliarne uno a dadini piccolissimi e tenerlo da parte, frullare i restanti in un mixer e poi passarli al setaccio. Scaldare un quarto del succo di mango e unire la gelatina ammollata, mescolare bene. Aggiungere la crema calda con la gelatina al resto della crema di mango fredda. Mescolare accuratamente in modo che le due creme siano ben amalgamate. Versare il composto negli stampi di silicone a forma di mezze sfere (circa quattro centimetri di diametro/ massimo cinque). Mettere a raffreddare nel congelatore per un'ora almeno, saranno più semplici da manipolare al momento del montaggio del dessert.
Montare la panna e unirla alla crema pasticcera. In un ramequin mettere sul fondo i dadini di mango, coprire con un poco di crema pasticcera alla panna, sformare la gelatina di mango e disporla sopra i dadini mango con la crema. Terminare con la crema pasticcera, lasciando che un po' di gelatina di mango faccia capolino. Unire un pizzico di cioccolato grattugiato finissimo (pepe) e un pizzico di zucchero semolato (sale). Aspettare che la gelatina si scongeli completamente. Servire.
per quattro persone

mercoledì 11 dicembre 2013

UNA LUNGA ASSENZA

Una lunga assenza, senza nemmeno postare una ricetta. Sono stata via, in viaggio e avevo programmato tutto, soprattutto le ricette, ma dopo il racconto della scorsa settimana non è più uscito nulla. Le macchine a volte si ribellano o non aiutano, forse il mio computer si è offeso perché non l'ho portato con me come faccio sempre. Rimedio questa settimana, tutte le ricette programmate per la scorsa settimana usciranno tra oggi e sabato. Scusate per l'assenza. Intanto vi lascio un mazzo di fiori per farmi perdonare.


mercoledì 4 dicembre 2013

UN DESIDERIO AVVERATO

Ecco la seconda parte del racconto, con il suo finale. La prima parte è stata pubblicata lo scorso mercoledì.


Le mani mi facevano male e in alcuni punti avevo dei piccoli tagli che però non sanguinavano. Camminavo piano verso la casa, un po’ perché avevo paura di quello che avrei trovato, un po’ per metterci più tempo così da scansare il lavoro. Dopo poche ore ero già giunto alla conclusione che preferivo studiare invece di piegare la schiena su un prato pieno di erbacce. Il vialetto verso la casa era coperto di ghiaia da cui spuntavano erbacce, forse sarebbe toccato a me estirparle, avevo pensato sconsolato. La villa  era imponente, ma non tetra come avevo sempre immaginato, anzi era di un bel color rosa come quello dei ciclamini, le antiche finestre erano contornate da un complicato disegno bianco. Il portone  era grandissimo e in quel momento era aperto, sembrava una grande bocca e le scale sembravano una lunga lingua che volesse inghiottirmi. Ci passai davanti accelerando il passo, era l’unica via che desse accesso al retro, ne uscì un alito d’aria fredda, mi venne la pelle d’oca. Ecco, stava tornando nella mia mente l'immagine dei Lorchitruci maghi misteriosi e infernali. Quando girai l’angolo provai un’inattesa sensazione di sollievo, avevo trattenuto il fiato senza accorgermene. Quella casa doveva essere enorme perché, pur costeggiando il lato più corto, ci misi un po’ ad arrivare sul retro.
Dietro, le finestre non avevano tutti i ghirigori della facciata principale era tutto più semplice e lineare. Il giardino era più selvaggio e meno curato, vedevo molti arbusti spinosi e tanti cespugli che si intrecciavano. Qualcosa vicino alla selva che mi ero sempre immaginato. Il prato era punteggiato da grandi pietre grigie, come quelle che ci sono in montagna.
Stavo per raggiungere la porta della cucina quando dietro di me sentii una presenza. Mi fermai di colpo, col cuore in gola. Anche ciò che avevo alle spalle si fermò, io avevo il respiro affannato ma da dietro non sentivo venire nessun suono. Tanto che pensai di essermi sbagliato. Mossi un passo. Niente. Andai avanti piano e di nuovo sentii come se l’aria si comprimesse sulla mia schiena. Non trovavo il coraggio per girarmi, la porta della cucina non era lontana se fossi corso velocissimo forse mi sarei salvato da quello che sentivo dietro. Scartai questa soluzione. Presi coraggio, respirai a fondo e mi girai di scatto. A pochi centimetri da me stava il ragazzino cogli occhi gialli, mi fissava col suo sguardo accigliato. Io scappai verso la cucina. Il cuore si era fermato di battere, per poi riprendere a ritmo forsennato.
 Quando entrai in cucina la cuoca mi guardò sorridendo, non si accorse del mio spavento o per lo meno non lo dette a vedere. La cucina era bianca e luminosa, il tavolo con il piano di marmo era enorme e dominava la stanza. La cuoca si muoveva leggera davanti ai fornelli, era una bella signora alta dai capelli scuri, le dissi chi ero e le chiesi un po’ d’acqua perché avevo molta sete. La mia voce era stranamente ferma, nonostante dentro di me il cuore avesse ripreso a correre all'impazzata. Quella casa mi inquietava. Lei mi diede una limonata freschissima e deliziosa, mi sedetti al tavolo per berla e le chiesi chi fosse il ragazzino dagli occhi gialli.
- La signora lo ha trovato in un angolo della legnaia una sera dell’anno scorso, dopo quella grande nevicata. Era morto di freddo e fame. Non solo era ferito e la signora si è presa cura di lui.  – mi disse
E io le chiesi che cosa ci facesse lì, se non aveva una famiglia da cui tornare.
- Nessuno sa chi sia e per di più lui non parla. Non una sola parola, solo piccoli suoni. Volevano chiuderlo in un orfanotrofio, ma la signora ha chiesto il permesso alle autorità e adesso vive qui con noi. Chissà magari prima o poi troveremo la sua famiglia. E' un ragazzino strano, molto strano. –
Finii la mia limonata e la cuoca me ne diede una bottiglia con due bicchieri di plastica da portare a mio padre. Un volta uscito in giardino vidi il ragazzino dagli occhi gialli che mi fissava in silenzio, stava seduto su un sasso e si stava passando la mano fra i capelli, dietro l’orecchio. Gli feci un cenno, come per salutarlo, ma lui rimase immobile fissandomi coi suoi occhi profondi ed intensi.
Tornai al mio posto pronto a strappare ancora un po’ di erbacce, non ero contento ma dovevo farlo. Posai la bottiglia di limonata all’ombra di un albero e tornai a pulire l’aiuola. Facevo un mucchietto consistente di erba che poi mettevo dentro ad un sacco nero. Stavo appunto per fare questo quando vidi un bigliettino piegato in due alla base del sacco, era di carta a quadretti un po’ stropicciata come se qualcuno lo avesse tenuto in mano a lungo. Lo presi. 
Quando riuscii a decifrarlo, la grafia era quasi incomprensibile, rimasi a bocca aperta.
“Perché hai smesso di cercarmi? 
Tommy”
In un primo momento restai tra il perplesso e lo spaventato. Non capivo, Tommy era il mio gatto ed era sparito da un anno, non l'avevo più cercato, però un gatto non può scrivere biglietti inquietanti. Guardai di nuovo il biglietto e poi alzai lo sguardo. Il bambino dagli occhi gialli era in piedi accanto a me, mi fissava con uno sguardo colmo di rimprovero. Mio padre continuava a lavorare e non si era accorto di nulla. Il bambino inclinò la testa da una parte, come faceva Tommy quando mi studiava per capire le mie intenzioni. Allora capii, mi tornò in mente ciò che mi aveva raccontato la cuoca, la notte di neve, la tormenta, la legnaia, il bambino senza famiglia apparso all'improvviso. Allungai la mano per prendere la sua, lui si ritrasse, scostante e lo vidi scappare verso il cancello principale, lo rincorsi, e mentre gli correvo dietro lui diventava sempre più piccolo e veloce e si trasformava nel mio gatto nero, col pelo lucido, gli occhio tra il verde e il giallo. Corsi a perdifiato, ma non riuscii a raggiungerlo. Quando arrivai sulla strada era sparito, come se fosse stato inghiottito dalla polvere e dall'asfalto. 
Tornai molte volte a cercarlo in quella casa, ma la cuoca mi disse che era scomparso senza lasciare traccia. Come era accaduto in quella notte piena di neve.  
(2 - fine) 

venerdì 29 novembre 2013

BISCOTTO CON GOCCE DI CIOCCOLATO, ALBICOCCA E PINOLI

Cosa mangerebbe un bambino che deve strappare le erbacce con le mani, se potesse? Una manciata di questi biscotti, appena usciti dal forno caldi e fragranti con un bicchiere di latte freddo. Un grande classico dell'infanzia.

750 g di farina 00 - mezzo cucchiaino di bicarbonato di sodio - mezzo cucchiaino di lievito in polvere per dolci - 300 g di burro a temperatura ambiente - 200 g di zucchero di canna chiaro - 50 g di zucchero semolato - un uovo grande - un cucchiaino di estratto di vaniglia - 200 g di gocce di cioccolato - venti albicocche secche, circa, tagliate a pezzettini - 50 g di pinoli  - un pizzico di sale

Mescolare la farina con il bicarbonato, il lievito in polvere e il sale. Nel mixer mettere il burro e gli zuccheri, montare con le fruste finché non sono belli spumosi e leggeri. Unire la vaniglia e l'uovo. Abbassare la velocità del mixer e aggiungere la farina a poco a poco. Alla fine unire le albicocche, i pinoli e le gocce di cioccolato. Far cadere piccoli monticelli di composto sulla placca del forno rivestita di carta forno. Cuocere nel forno a 180 gradi, cambiando verso alla placca metà cottura, per circa 15/20 minuti. Far raffreddare.
per 48 biscotti

mercoledì 27 novembre 2013

UN DESIDERIO AVVERATO


Ogni tanto pubblico uno dei miei racconti, quelli più letterari, che non parlano di vita vissuta, ma narrano una storia. Questo è stato scritto per una rivista per ragazzi. 




Siccome avevo preso un altro brutto voto, mio padre mi disse:
- Va bene, allora oggi verrai con me a lavorare. Così vedrai come si fatica! –
Andava a portar piante, rastrellare foglie e tagliare erba con il suo potente tagliaerba.
Quel girono doveva occuparsi niente meno del giardino dei terribili Lorchitruci.
I Lorchitruci erano la famiglia più ricca e potente della collina. A me facevano paura due cose di loro: il nome, perché mi veniva da pensare a degli orchi molto truci; e il giardino, appunto, perché era chiuso da una muraglia gigantesca dietro la quale chissà cosa mai si nascondeva.
Arrivati davanti alla villa, il cancello si era aperto rivelando cosa stava dietro agli alti muri di cinta. Il giardino dei Lorchitruci era diverso da come me lo ero aspettato, era grande e sul davanti c’erano delle piccole fontane che gorgogliavano, tante aiuole fiorite e molti alberi frondosi. Nulla di mostruoso, niente piante carnivore giganti, nessun antro umido e inospitale, solo fiori, sole e erba. Tanta erba. 
Avevo appena cominciato a strappare le erbacce quando dalla casa uscì un ragazzino. Da lontano mi sembrò che fosse più grande di me, ma quando si avvicinò mi accorsi che aveva più o meno la mia età. Si piazzò a gambe larghe sopra di me e iniziò a fissarmi, tirai su lo sguardo e vidi che aveva gli occhi di un colore insolito, tra il giallo e il verde quasi come quelli di Tommy, il mio gatto. Tommy era scomparso l’anno prima durante una nevicata e insieme a mio padre lo avevo cercato a lungo, inutilmente. Nella tormenta lo avevo chiamato, cercato e, alla fine pianto, mi mancava molto Tommy. Lo avevo amato a tal punto da aver desiderato che si trasformasse in un bambino con il quale giocare. Senza di lui soffrivo. Alla fine, rassegnato alla sua scomparsa, mi ero consolato con un cane che avevo chiamato Carlito. Carlito era più ubbidiente, ma meno divertente.
Il ragazzino continuava a guardarmi e quando lo fissai anch’io strizzò gli occhi gialli ed emise un suono dalla bocca, come un sospiro rauco, poi si girò e scappò agile tra le aiuole. Chiesi a mio padre chi fosse.
- Uno che i Lorchitruci hanno trovato l'anno scorso per strada, era sporco e affamato e infreddolito - tagliò corto mio padre. Era un uomo di poche parole mentre lavorava, non amava sprecare energie.
Continuai a strappare le erbacce, la giornata era calda e il cielo era limpido. Sentivo il sole scaldare i miei capelli neri e dopo un po’ avevo la bocca impastata dalla sete. Lo dissi a mio padre che stava vangando un tratto di giardino dove avrebbe piantato delle erbe aromatiche.
- Vai dalla cuoca. –
Io rimasi lì a guardarlo in attesa di spiegazioni, ma lui continuava a vangare.
- Papà dove trovo la cuoca? - chiesi
Mio padre sembrò risvegliarsi da un sogno, scosse la testa e rispose
- In cucina. Sul retro della casa, prima porta a sinistra. – indicò con la mano libera, poi riprese a lavorare.
(1- continua il prossimo mercoledì) 

venerdì 22 novembre 2013

BARCHETTA DI FINOCCHIO CON MOZZARELLA E ARINGA

Non sapevo cosa inventare per la ricetta di oggi. Diciamo che a volte è difficile mantenere il tema scelto  quella settimana poi, dovevo pranzare e non avevo molto tempo, come la giornalista del racconto che vive sempre sul filo del rasoio. Mi è venuta in mente questa ricetta che avevo inventato per una cena tra amici, velocissima e sfiziosa. Un connubio tra nord e sud, Italia e Scandinavia. Le quantità sono variabili, si parte dal finocchio e da quante "barchette" si riesce a estrarre sfogliandolo. 

mezzo finocchio biologico (è più piccolo e saporito) - mini bocconcini di mozzarella di bufala - un vasetto di aringhe marinate con l'aneto e il ginepro - rafano grattugiato (se trovate quello in radice stemperarlo con un po' di panna o yogurt) - cipollotto fresco - taralli alla farina di grano duro

Sfogliare il finocchio e tagliarlo in modo da ottenere tante piccole barchette in cui ci possa stare mezza mozzarellina. Con un coltello affilato livellare la rotondita delle barchette, in modo che stiano perfettamente appoggiate, senza intaccare la "carne". Depositare pochissimo rafano all'interno delle barchette. Tagliare a metà le mozzarelline, "incastrarle" dentro alla barchetta. Appoggiare l'aringa e sopra unire una piccola rondella di aringa. Dentro a un mortaio, pestare i taralli grossolanamente per ottenere una sorta di granella. Spolverare ogni barchetta con la granella di tarallo. Servire immediatamente, la granella di tarallo non deve diventare umida.

giovedì 21 novembre 2013

PANINO CON PEPERONE AL FORNO, FONTINA E CREMA DI OLIVE

Cosa mangiava la giovane cronista protagonista del racconto di questa settimana? Mangiava poco, per stare dietro a tutto doveva rinunciare a qualcosa, quindi alla pausa pranzo. Si nutriva principalmente dei toast del bar di fianco alla redazione, pessimi, qualche insalata, altrettanto ingodibile. Un panino così sarebbe stato lusso sfrenato. Sono finiti quei tempi oggi mangia molto meglio e ha qualche chiletto in più. Le sarebbe comunque piaciuto questo panino, adatto a chi digerisce perfettamente i peperoni, è vero, vegetariano e sfizioso. 

due peperoni (uno giallo e uno rosso, per fare colore, ma non è necessaria questa differenza) - 200 g di fontina tagliata sottile - una baguette - una manciata di rucola - 125 g di crema di olive (si può farla in casa o comprarla) - quattro acciughe sott'olio - olio aromatizzato all'aglio - sale pepe 

Mettere i peperoni in una teglia, condirli con un filino di olio all'aglio, sale pepe e cuocerli in forno a 180 gradi ficnhé non sono morbidi. 
Tagliare in quattro al baguette, e poi a metà nel senso della lunghezza, spalmare con la crema di olive. Su ogni metà mettere i peperoni tagliati a falde, la rucola, un'acciuga e finire con la fontina. Chiudere i panini e servire.  
per quattro persone

mercoledì 20 novembre 2013

CATTIVE COMPAGNIE

Una strada che non bisogno di viadotto 
Ero una giovane giornalista nella redazione di un settimanale locale e mi toccavano le corvée delle matricole. La mia passione è sempre stata il cinema e mi avevano assegnato la rubrica "Il film della Settimana", ma quello non bastava, il giornale voleva di più. Ero una sorta di jolly, vagavo da un argomento all'altro, saltando a piè pari dall'aia del signor Giovanni, dove erano scomparse le galline Gianna e Federica, alle interviste con i politici locali, passando a prestigiosi, e ambiti, in verità, articoli sulle sagre di paese. Come novizia era necessario che mi creassi quella rete di conoscenze e "puntelli" che servivano per arrivare dove un giornalista deve arrivare, cioè ovunque. Distribuivo come caramelle biglietti da visita, numeri di telefono, recapiti e suggerimenti sul come mettersi in contatto con me, in modo da non perdere neanche un "gancio". Passavo la maggior parte del tempo fuori dalla redazione in cerca di notizie, fiutando l'aria, annusando il terreno come un segugio ben addestrato. E in provincia le notizie latitano abbastanza, quando non sono del tutto assenti. Nei miei vari appostamenti e scarpinate venivo a conoscenza della vita amatoria e sessuale di molti cittadini a volte sconosciuti, ma più spesso conosciuti. Raramente nutrivo questo gossip casereccio, non era certo il caso che scrivessi che tizio era l'amante di caia, il giornale ne avrebbe ottenuto una bella querela e io perso qualche amico. Sbavavo per gestire i pezzi, così si chiamano in gergo gli articoli, soprattutto quelli più interessanti. Facevo carte false e spesso alla riunione di redazione affondavo i denti nella preda, il pezzo agognato, nei pochi secondi necessari a riflettere dopo la domanda del direttore "chi vuole occuparsene?". Spesso i pezzi mi venivano gentilmente consegnati proprio in quella frazione di secondo, un po' per la mia prontezza di spirito e, soprattutto, dall'esitazione dei miei colleghi. Se ci avessi messo un attimo in più a prendere fiato, ti avrei bruciato sul tempo.
Quella volta invece il pezzo era roba mia, l'avevo portato io ed era la conseguenza di un articolo che avevo scritto qualche mese prima. Il tema centrale era il raddoppio di una strada, il cui viadotto andava a collocare le  pile giusto in mezzo a un cimitero, anzi giusto in mezzo alle tombe dei notabili della città. Quelle belle tombe che sembrano cappelle, con angeli volanti, veneri piangenti o in assorta meditazione, croci arzigogolate, sculture e decorazioni opulente. La strada partiva dal basso e poi pilone basso, dopo pilone medio, dopo pilone alto sarebbe dovuta entrare in una lunga galleria che avrebbe sfoltito il traffico sulla strada principale, come un taglio di un bravo parrucchiere sfoltisce una chioma troppo folta. Il dramma era subentrato alla notizia che alcune cappelle, insieme a tombe più proletarie nella terra, avrebbero dovuto essere spostate insieme alle care salme. Era scoppiato un vero polverone, con attacchi da varie parti, carte bollate, richieste di articoli, insulti che volavano. Io stavo in mezzo alla bufera, foglia svolazzante in cerca di notizie. Il mio coinvolgimento era dovuto a uno dei miei ganci, amico dell'amico dell'amico che mi aveva procurato un'intervista con la proprietaria di una delle tombe deluxe. Un vero colpo di mano, perché a quel punto mi avevano asseganto l'intera inchiesta. E vai! Un'intera inchiesta significava firma sotto al pezzo, svariate settimane di vita frenetica, senza dover procacciare nulla, e una discreta somma di denaro. Quest'ultima cosa di non secondaria importanza, visto che lavoravo come free lance; eufemismo per indicare i giovani cronisti che non sono ancora stati assunti dal giornale, chissà quando lo saranno, cioè i peones che lavorano a cottimo, e un manipolo di giornalisti talmente bravi, integri e in gamba, da essere ambiti da chiunque abbia un giornale e quindi loro snobbano tutti e lavorano in proprio. Questi ultimi sono pochi, ma superlativi. I primi abbondano, pullulano, sono una moltitudine e parecchi dopo un po' mollano, trovano un mestiere più redditizio. E forse di minor soddisfazione.
Tornando a bomba, insomma con quella strada avevo in mano l'oro.
In quelle stesse settimane era scoppiato un caso ancora più clamoroso, eclatante, intrigante ed esaltante.  C'era un tizio che si dilettava a uccidere signore dalla facile moralità, per l'esattezza professioniste del sesso. La polizia aveva stabilito che dovesse essere unO e non unA. Ne aveva ammazzate già due, strangolandole a casa loro, dopo aver pagato la prestazione. Insomma un cliente insoddisfatto. Forse. Non erano gli anni di CSI, RIS e varie sigle che analizzano la scena del crimine, erano gli anni ruspanti della Scientifica e della polizia che indagava senza particolari supporti elettronici se non un computer e un cervello. L'era 2.0 era iniziata, ma era ancora molto, molto acerba. In quelle settimane c'era molta agitazione nel mondo del giornalismo, un'euforia tipica del cinismo dei giornalisti: la città pullulava di buone notizie e le buone notizie per un giornalista, sono pessime per il resto del mondo. Avrei ucciso per occuparmene, ma avevo la mia strada.
Io lavoravo al mio pezzo sul cimitero spaccato in due dal viadotto e analizzavo molti progetti, dati tecnici e intervistavo persone. Avevo un contatto, un contatto eccellente. Si trattava del guardiano del cimitero, un personaggio interessante. Un passato di studente politicizzato, una quasi laurea in filosofia, mi accoglieva alla sua scrivania, sulla quale spiccavano una copia della Critica della Ragion Pura  di Kant, due quotidiani, "La Stampa" e "la Repubblica", un telefono e un blocco per prendere appunti. Penne ordinate per colore, matite perfettamente spuntate e righelli messi per ordine di grandezza. Mi teneva aggioranta su quanto accadeva nel suo regno, furti di piante, violazioni di tombe, spostamenti di vasi con fiori recisi, vandalismi, tutte quelle piccole cose che potevano diventare un grande articolo in mancanza di meglio o un rimpitivo in caso di affolamento di notizie importanti. Era prezioso per le mie ricerche, una fonte inesauribile di anedotti, indirizzi, numeri di telefono e custode deille lamentele dei parenti dei cari estinti. Era un biondino sulla quarantina, un po' stempiato, non pulitissimo e nemmeno troppo bello, ma chiacchieravamo amabilmente prima di metterci al lavoro. Mi telefonava spesso in redazione, mi aggiornava su quasi tutto. Ero molto fiera del mio contatto, che passavo volentieri ai miei colleghi non essendo una persona gelosa. Tutti i miei colleghi mi prendevano in giro, persino quelli delle altre testate, sostenevano che io avessi un debole per il professor Bara, come lo chiamavano loro.
Una mattina arrivo in redazione e non trovo la mazzetta di copie dei quotidiani del giorno, non erano nel posto dove normalmente si trovavano. L'ordine era che non si dovessero muovere da lì, né da soli né accompagnati. Potevamo consultarli come e quanto volevamo, ma rigorosamente in piedi sopra al mobile dell'archivio. Questa originale richiesta era fondamentale per evitare "occupazione abusiva" di quotidiano, come era spesso accaduto in passato. Quella mattina le copie erano sparite. La sergretaria di redazione non aveva la più pallida idea di dove fossero, il collega della pagina cittadina era rimasto all'asciutto di lettura anche lui, il direttore non sapeva, lui di quelle quisquilie non si occupava. Ho iniziato a lavorare, il telefono ha cominciato a squillare e la segretaria di redazione rispondeva con grande solerzia e insolita pazienza che "no, è fuori". Io guardavo la redazione, era piccola, eravamo tutti lì, non mancava nessuno, nemmeno il grafico. Mi chiedevo a chi si potesse riferire, forse al fotografo che però non stava in redazione per abitudine. E infatti proprio mentre concludevo questo mio pensiero era entrato lui, la macchina fotografica al collo, la sua andatura vagamente tracotante e mi apostrofava, ruvido come sempre: "Belle frequentazioni che hai". La segretaria e il mio collega della pagina cittadina erano balzati dalla sedia e lo avevano quasi aggredito. Lui li aveva guardati interdetto. Mi sono sentita come il cretino che ignora qualcosa che gli altri sanno. Un giornalista che si rispetti è sempre un po' cinico e molto dubitativo, e io in quel momento ero molto, molto giornalista e dubitavo parecchio. I miei colleghi mi stavano nascondendo qualcosa. E' grazie a queste sensazioni, al captare un mutamento di atmosfera, nel cogliere un battito di ciglia di troppo, nell'annusare la paura o l'agitazione che un giornalista a volte arriva a scrivere il grande pezzo. Sono le vibrazioni e l'intuito, insieme all'ottima scrittura, a fare la differenza. A quel punto ho avuto un'intuizione, ho fatto due più due, giornali, spariti, frequentazioni, non belle. Qualcuno con cui avevo lavorato ne aveva combinata una. Speravo fosse il solito politico e non capivo perché tutti cercassero di nascondermelo. Mi sono alzata, i giornali erano nascosti da qualche parte, lo sapevo. Mi sono fiondata nell'archivio ed eccoli lì, piegati sotto le diverse copie del giorno prima. Titolo a otto colonne in prima pagina della cronaca cittadina: "Preso il Serial Killer delle Prostitute", strillava. Sotto la foto del mio amico, il biondo filosofo custode del cimitero. Un brivido ha percorso la mia spina dorsale mentre la mia testa pensava "Come imposto il pezzo?".

lunedì 18 novembre 2013

PROSSIMAMENTE - NON E' STATA UNA PAUSA CAFFE'

Se fosse stata una pausa caffè, sarebbe stata proprio così: caffè lungo e macaron di Ladurée
Ebbene sì, a volte ritornano. Riemergo dalla concentrazione romanziera e torno a scrivere il raccontino settimanale. Lo so, lo so non vedevate l'ora. Da mercoledì su queste pagine un racconto da brividi, che era stato pensato e riservato, come tutti gli anni, per la settimana di Halloween. Non ho avuto il tempo di scriverlo, vi toccherà leggerlo ben presto. Aspetto commenti.

venerdì 15 novembre 2013

ORECCHIETTE CON PISTACCHI, PEPE ROSA E BOTTARGA

Presto tornerò con nuove avventure, per ora vi lascio questa ricetta che mi sono divertita ad inventare per un'amica amante del Pepe Rosa. E' poco più di un'aglio e olio modificato, però è sfiziosa. Lo so... tre quarti delle mie ricette prevedono le orecchiette, ma ho una passione sfrenata per questo formato di pasta soprattutto quando è fresca. E ancora meglio se fatta in casa. Comunque, potete sostituire con qualsiasi pasta fresca vi piaccia.


180 g di orecchiette fresche - un cucchaio di pistacchi di bronte non salati - uno spicchio d'aglio - un cucchiaino di pepe rosa - un cucchiaio di prezzemolo tritato - sale pepe - tre cucchiai di olio - acqua - bottarga di muggine grattugiata

Portare ad ebollizione abbondante acqua salata, cuocere le orecchiette per cinque minuti o finché non sono al dente. In una padella far soffriggere l'aglio con l'olio, quando è biondo aggiungere i pistacchi tritati e cuocere per due o tre minuti. A questo punto unire il pepe e unire mezzo mestolo di acqua di cottura della pasta. Far saltare la pasta dentro la padella, salare e pepare. Spolvarare con il prezzemolo tritato e servire subito con la bottarga a parte, ognuno si servirà della quantità desiderata.
per due persone  

domenica 10 novembre 2013

POMMES SOUFFLEES - PATATE SOUFFLE

Le patate sono la mia passione e raramente ho trovato qualcuno a cui non piacessero. Si possono cucinare in mille modi e saranno sempre buonissime. Persino il peggiore dei cuochi non riesce a rovinare la patate, o quasi. 
La croccantezza dell'esterno che si va a stemperare nella cremosità farinosa dell'interno, ecco descritta a parole la sensazione che si prova addentando una patata fritta, il piacere sublime e proibito di tutti noi. Filosofia fatta a cibo. Oggi vi propongo un grande classico della cucina, molto, molto chic. Più facili da fare di quanto non si pensi leggendo le istruzioni qui sotto. 
Si possono servire con moltissimi piatti dalla Entrecote in Salsa Bearnese, alla più semplice Bistecca in Padella, dalla Sogliola alla Mugnaia (vedi blog) alla Pesce al Vapore per renderlo più sfizioso. Sbizzaritevi a renderlo il contorno sofisticato di un piatto semplice oppure mangiatele da sole. Sono buonissime. Questa volta non vi fornisco le quantità, semplicemente gli ingredienti. Sappiate che per farle venire belle gonfie devono galleggiare tra pochi intimi nell'olio. Per questa ricetta è meglio preferire patate nuove. 


patate nuove - olio per friggere (vedi blog "Un fritto perfetto")

Sbucciare le patate e tagliare le rotondità in modo che prendano la forma di un rettangolo, saranno più belle da vedere, ma potete anche lasciarle ovali se preferite, non modificherà il risultato finale. Lavarle bene e tagliarle a fettine di circa due millimietri con l'aiuto di una mandolina o un affetta tartufi. Laciarle immerse in acqua man mano che si tagliano, poi asciugarle molto, molto bene con un canovaccio asciutto. Per sicurezza disporle su un canovaccio, una accanto all'altra, sovrapponendo un altro canovaccio e premendo per togliere tutta l'acqua. Versare l'olio in una casseruola alta, portarlo alla temperatura di 100/120 gradi. Quest'ultima fase è molto importante e necessaria, l'olio a bassa temperatura aiuta la cottura uniforme della patata pur conservando l'umidità naturale all'interno. Controllare la temperatura con un termometro da fritti (si trovano nei negozi di casalinghi ben forniti). Quando sono belle morbide e cotte, scolarle, lascirle riposare un attimo e poi passarle, poche alla volta, nell'olio molto caldo (185 gradi circa) per farle gonfiare. Diventeranno gonfie e croccanti. Salare. Servire subito.
E' importante: la prima frittura è meglio non farla nella friggitrice, perché è necessario tenere sotto controllo la cottura e, in realtà, sarebbe meglio non usare la friggitrice anche nella seconda fase, però se è una di quelle aperte che non si chiudono ermeticamente per cuocere, può andare... per entrambe le fasi.

giovedì 7 novembre 2013

STRUDEL SALATO DI FUNGHI E CARCIOFI

Sto trascurando un po' questo luoghi, mi dispiace. Diciamo che sto lavorando a qualcosa di importante e che quando avrò finito tornerò più tonica che mai. Per il momento vi lascio una ricetta sfiziosa e di stagione che spero vi piaccia. La pasta dello Strudel è quella "vera", fatta con tutti i crismi. E' un po' lunga da fare, e anche un po' difficile, ma una volta tanto vale la pena di provare... poi potete usare la pasta che più vi piace. 

per la pasta: 200 g di farina 00 – un cucchiaio aceto o succo di limone – acqua tiepida leggermente salata – 100 g di olio o burro chiarificato fuso (più qualche cucchiaio se necessario)

per il ripieno: 300 g di topinambur – cinque carciofi – 500 g di porcini – succo di limone – 150 g di fontina – due spicchi d’aglio – un mazzetto di prezzemolo – un ciuffo di maggiorana – sei cucchiai di olio evo – brodo di verdure – pangrattato – un tuorlo – 60 g di nocciole tostate e spellate  - sale pepe


per la pasta: Fare la fontana con la farina setacciata versare l’aceto e un mestolino d’acqua, impastare e aggiungere l’eventuale acqua necessaria ad ottenere un impasto elastico e morbido. Impastare per venti minuti, fino a quando la pasta sarà liscia e elastica. Fare un panetto e spennellarlo con olio o burro freddo e far riposare per mezz’ora. Stendere la pasta col mattarello ricoperto con un grande canovaccio infarinato e spennellare la superficie con l’olio. Introdurre le mani infarinate (dalla parte del dorso) sotto la sfoglia di pasta e tirarla e stirarla con estrema delicatezza partendo dal centro verso i bordi, in modo da renderla più sottile possibile. Tappare qualche eventuale buco con pezzetti di pasta. Una volta formata una sfoglia grande e molto sottile far riposare per due o tre minuti e spennellarla con altro olio. La sfoglia è pronta per essere farcita. 

per il ripienoTagliare a fettine i topinambur e i funghi, i carciofi a spicchi sottili. Metterli a bagno col succo di limone. Tritare l’aglio col prezzemolo, scaldare metà dell’olio con metà del trito, e cuocere a fiamma bassissima. Unire i carciofi sgocciolati e cuocere per 5/6 minuti, a fiamma bassa. Aggiungere i topinambur ben sgocciolati mescolare, salare pepare. Portare a cottura, circa 15 min. Scaldare il resto dell’olio e del trito, unire i funghi, salare, pepare e far saltare finché non sia evaporata l’acqua di vegetazione. Mescolare il tutto unendo le nocciole, la maggiorana e il prezzemolo tritati, aggiustare di sale e pepe. Stendere la pasta e spolverarla con una manciata di pangrattat,distribuire il composto su tutta la superficie di pasta, lasciando un margine libero. Irrorare con l’olio e cospargere di caciocavallo a scagliette. Con l’aiuto della tovaglia iniziare ad arrotolare lo strudel, cercando di non far uscire il composto dai lati. Chiudere lo strudel, farlo scivolare  sulla placca unta del forno e infornare a 190 per 40/50 min. A metà cottura spennellare la superficie con tuorlo d’uovo sbattuto con poca acqua.  

domenica 3 novembre 2013

PANE DOLCE ALLA ZUCCA CON ARANCIA E SPEZIE

Un dolce che fa dell'ingrediente di stagione il suo protagonista principale. Aromatico e delizioso si può servire con una crema fatta con yogurt, poco miele e un cucchiaino di zenzero grattugiato oppure con un gelato alla crema con pezzetini di zenzero candito. 

350 g di farina 00 - 300 g di zucca - tre uova - 175 g di zucchero bianco - 100 g di zucchero di canna scuro (no demerara) - 150 g di burro fuso - 2 cucchiai di scorza d'arancia grattugiata - una bustina di lievito di polvere per dolci (16 g circa) -  un pizzico abbondante di sale - mezzo cucchiaino di zenzero in polvere - una punta di cucchiaino di noce moscata grattugiata - un cucchiaino di cannella in polvere

Mettere la zucca tagliata a pezzi in una teglia con pochissima acqua e cuocerla nel forno a 180 gradi finché non è morbida. Passarla a setaccio per ottenere 250 g di purè. Aggiungere le spezie alla farina, quindi il lievito e il sale, mescolare bene, quindi amalgamare il burro con gli zuccheri e la scorza d'arancia. Unire le uova sbattute e la crema di zucca, mescolare finché non diventano una crema liscia. Aggiungere la farina in due tempi e lavorare finché l'impasto non è omogeneo. Versare in uno stampo da plum cake imburrato e infarinato, infornare a 180 per 50 minuti circa oppure finché uno stecchino inserito al centro non esca pulito. Servire spolverato di zucchero a velo.  

Oppure con una glassa fatta con: 200 ml di acqua - la scorza di un'arancia - due cucchiaini di zenzero fresco grattugiato - 125 g di zucchero semolato. Far sobbollire l'acqua con la scorza d'arancia e lo zenzero per tre minuti, passare la colino per eliminare zenzero e scorza. Unire lo zucchero e lasciar inspessire per un paio di minuti a fuoco vivace. Far raffreddare la torta per 15 minuti, togliere dallo stampo e irrorare con lo sciroppo.   
per otto persone 


Oggi 10 novembre 2013 ho apportato le seguenti modifiche negli ingredienti e nell'esecuzione della ricetta. Questa versione mi piace molto di più

250 g zucca - 250 g farina - 200 g di zuccheri tre quarti bianchi un quarto scuro - 100 g burro morbido a temperatura ambiente - tre uova, divise in uno intero e due tuorli, gli albumi in una ciotola per montare a neve -  scorza di un'arancia, più il succo dell'arancia 

Con le mani tagliare a pezzetti il burro nel mixer, unire gli zuccheri e azionare le lame fino ad ottenere una crema. Aggiungere l'uovo intero, azionare le lame, unire i tuorli uno ad uno fino ad ottere una crema liscia e abbastanza liquida. Aggiungere la scorza grattugiata e il succo d'arancia, azionare le lame ancora una volta. Trasferire il composto in una grande ciotola. Unire la zucca, mescolare bene. Aggiungere la farina con le spezie e in ultimo gli albumi montati a neve. Il resto della ricetta rimane invariato. 

mercoledì 30 ottobre 2013

ORECCHIETTE CON ZUCCA E BOTTARGA

Una ricetta che ho tirato fuori dal cilindro una domenica. La sera precedente c'erano stati degli amici a cena ed erano avanzati un po' d'ingredienti, presi singolarmente non erano sufficienti per un piatto. Li ho messi insieme ed ecco cosa è venuto fuori. 

250 g di orecchiette fresche - 200 g di zucca, non importa il tipo - 50 ml di vino bianco - due cucchiai di pinoli - un'acciuga sotto sale - uno spicchio d'aglio - due cucchiai di prezzemolo tritato grossolanamente - bottarga grattugiata -  tre cucchiai di olio - sale pepe e peperoncino 

Tagliare la zucca a dadini di un paio di centimetri. In una grande padella mettere due cucchiai di olio e far cuocere la zucca da tutti i lati finché non è morbida. Togliere dal fuoco, mettere la zucca su una carta assorbente. Aggiungere alla padella l'altro cucchiaio di olio, unire i pinoli e l'aglio. Quando i pinoli saranno leggermente tostati, aggiungere l'acciuga dissalata sotto l'acqua corrente, il peperoncino, la zucca e sfumare con  il vino bianco diluito nella stessa quantità di acqua di cottura della pasta. Portare a cottura, salare e pepare, poco prima di unire la pasta aggiungere due cucchiai di prezzemolo. Cuocere le orecchiette al dente, saltarle nella padella. Versare nel piatto di portata servire accompagnato da bottarga grattugiata di cui ogni commensale si servirà a piacere. 
per due/tre persone

mercoledì 23 ottobre 2013

UN ROMANZO E UN POSTO DI RISTORO A BRUXELLES


Questa settimana niente racconto, sto finendo il mio romanzo e quindi dedico ogni neurone del mio cervello a inventare un finale degno di questo nome. Magari un giorno lo leggerete, chissà, e scoprirete il segreto del titolo di oggi.  
Non vi lascio soli e nei prossimi giorni posterò qualche ricetta sfiziosa e magari un po' esotica, tanto per rimanere nel tema del blog quelle Navi e quello Zafferano che girano per il mondo e danno colore al nostro autunno. 
Intanto vi lascio in questo delizioso baretto di Bruxelles, dove potete gustare affettati, verdure e sfizi accompagnati da un bicchiere di vino. 

venerdì 18 ottobre 2013

FILETTO DI TROTA AL RIESLING CON CIPOLLINE GLASSATE AL MIELE

Un piatto bianchissimo, dalla carne della trota alla salsa a base di Rieslieng, con un paio di tocchi di colore. Sono appena tornata dall'Alsazia, una posto magico e bellissimo, dove ho scorperto una cucina in bilico tra Germania e Francia con una grande personalità. Questo è un piatto tipico, per la presenza del miele e del Riesling.

per i filetti di trota: due trote non troppo piccole, filetti separati da testa e spine da coservare per il brodo di pesce - 70 g di burro - una cipolla media tritata - un terzo di una carota tagliata a fettine sottilissime - un terzo di gambo di sedadno tagliato a fettine - un terzo di porro - 250 ml di vino Rielieng - un bouquet garni (foglia di alloro - due rametti di timo - qualche rametto di prezzemolo- una scorzetta di limone) - 125 ml di panna - due cucchiai di erba cipollina tagliata fine - sale pepe

per le cipolline: sedici cipolline piccole - 30 g di burro - 2 cucchiai di miele - acqua sale

Cuocere le cipolline, insieme a tutti gli altri ingredienti, in una padella sufficientemente grande da tenerle in un solo strato. Aggiungere acqua sufficiente a coprirle e cuocere con la padella semi coperta finché le cipolle non sono morbide e dorate. Tenere da parte.
In una casseruola media soffriggere la cipolla con 20 g di burro, unire il porro affettato, la carota e il sedano. Aggiungere le spine delle trote e far cuocere per un paio di minuti, quindi versare metà del vino bianco. Lasciar sobbollire per cinque minuti. Quindi unire mezzo litro d'acqua, il  bouquet garni chiuso dentro ad una garza alimentare, qualche grano di pepe portare ad ebollizione, poi abbassare la fiamma e far cuocere per una ventina di minuti. Terminato questo periodo scolare il brodo e riportarlo sul fuoco, lasciar ridurre fino ad ottenere circa 300 ml di liquido. Toglier 125 ml e mescolarli al resto del vino bianco.
Portare ad ebollizione la panna, far ridurre della metà a fuoco bassissimo. Unire il brodo avanzato e lasciar ridurre per cinque minuti. Salare pepare (meglio il pepe bianco in questo caso). Passare nel colino e tenere da parte.
Accendere il forno a 180 gradi. Ungere una teglia e disporre i filetti di trota, salare pepare. Irrorare con la mistura di vino e brodo, e portare in forno per 5/10 minuti, finché i filetti non siano cotti.
Al momento di servire, scaldare la salsa alla panna, e con l'aiuto di una frusta unire il resto del burro tagliato a dadini. Mescolare per ottenere un'emulsione liscia. Dividere i filetti nei piatti di portata, coprire con la salsa, aggiungere le cipolline e decorare con l'erba cipollina. Servire immediatamente con riso bollito
per quattro persone 

giovedì 17 ottobre 2013

CUPCAKES AL BACCALA' CON CREMA AL RAFANO

Il tema della settimana è il bianco, si possono fare molte cose bianche. La pasta con Burro e Parmigiano, la Panna Cotta alla Fontina con salsa di Parmigiano, le Sogliole alla Mugnaia, il Cheecake Salato alle Erbe, e via elencano pietanze bianche. Ma anche questa ricetta non mi pare niente male, si può comunque fare anche con il salmone e la trota affumicate. Con il baccalà ha un sapore più forte e che si sposa benissimo col rafano che aromatizza la panna.

200 g di farina - 70 g di ricotta - 100 ml di latte - 100 g di baccalà affumicato tagliato a dadini  - 2 cucchiai di daikon tagliato a julienne e poi a dadini minuscoli - 2 cucchiai di erba cipollina - 3 uova - 10 g di lievito chimico - sale pepe

150 ml di panna fresca da montare - un cucchiaio scarso di rafano (anche in conserva) - erba cipollina tagliuzzata per decorare.

Stemperare la ricotta col latte, unire le uova e sbattere bene. Mescolare la farina col lievito. Unire ai liquidi il baccalà, il daikon, l'erba cipollina, la farina, salare pepare. Lavorare bene il composto finché non è omogeneo, mettere nella formine da cupcake, riempirle per tre quarti e livellare bene, e cuocere in forno a 180 per mezz'ora/cinquanta minuti secondo la grandezza delle formine. Far raffreddare e mettere i cupcakes nei pirottini da pasticceria. Se i cupcakes avessero assunto la classica forma bombata di un dolce lievitato, tagliare "la testa" in eccesso con un coltello in modo da creare un pasticcino piatto. Montare la panna, unire con delicatezza il rafano senza farla smontare. Decorare ogni cupcake con la panna e spolverare con l'erba cipollina.
per dodici pasticcini

mercoledì 16 ottobre 2013

BIANCO


Oggi anziché il solito racconto di viaggio o ricordo d'infanzia, di vita vera e vissuta vi presento uno dei miei racconti usciti dalla mia fantasia. Nasce qualche anno fa in subito dopo una nevicata a Milano, la città era perfetta, romantica e silenziosa. Ho immaginato i miei due protagonisti in quella mattina, rara e insolita. Il ristorante citato non esiste più, ma era un luogo che mi piaceva molto, rustico ed elegante, altri hanno preso il suo posto e i miei protagonisti potrebbero trovarsi davanti ad uno di questi. 




Silenzio. È insolito, il silenzio. Nessun tram che sferraglia, nessuna sirena che urla o un clacson che protesta nervoso, nemmeno il brusìo ossessivo del traffico.
Solo una rumorosa quiete lo aveva svegliato e lui era rimasto lì, nel dormiveglia, a chiedersi perché questa mattina Milano sembrasse dormire ancora. Bip-biiip-bip-bip. Le sette meno un quarto, Lucio aveva spento la sveglia che continuava a bippare antipatica. Piano, piano aveva portato la gamba destra fuori dalle lenzuola. Freddo. Si era girato sul fianco, si era messo seduto sul bordo del materasso ed era rimasto immobile, così, per alcuni secondi a saggiare lo stato di risveglio. Avrebbe avuto voglia di sdraiarsi di nuovo e tornare a dormire, ma in quel modo non avrebbe scoperto che cosa era successo alla città quella mattina. Allora, appoggiando le mani al materasso si era alzato e aveva tirato su la tapparella sulla via, dove gli alberi avevano i rami nudi e scuri già da un mese. Una meringa. Attraverso il vetro, la via sembrava un’enorme torta di panna con pezzetti di meringa e stecche di cioccolato come decorazione. Neve. Silenzio. Bello, si era detto Lucio con un sorriso sghembo.
“Quando smetterà di nevicare sarà acqua, fanghiglia, scarpe bagnate, poltiglia grigia, pozzanghere profonde come un mare, però oggi è bello”, pensava mentre si faceva la barba in bagno e guardava la sua faccia allo specchio. Il volto scavato, il naso affilato, le orecchie leggermente a sventola. Tutto sommato niente male, si era complimentato mentre spalmava il dopobarba.
La neve continuava a cadere in grandi fiocchi irregolari mentre Lucio faceva colazione. Lo speaker di Radio Popolare commentava le ultime notizie della rassegna stampa e diceva che avrebbe smesso di nevicare solo verso sera, che in quel momento i mezzi di trasporto erano fermi, che solo la metropolitana stava funzionando, e la città sembrava un deserto.
“Non prendete la macchina”, si raccomandava con voce morbida.
“Chi può permettersi una macchina”, diceva Lucio rivolto alla gatta che lo guardava con i suoi grandi occhi ambrati. Lui era un ragazzo da metropolitana e, ci avrebbe scommesso, quella mattina ci sarebbe stato un gran bel casino. Lucio si era vestito, non doveva perdere la metro delle otto e mezza. Ammesso che le corse fossero regolari. Mentre indossava il cappotto aveva buttato un’occhiata all’orologio. Accidenti, si era perso a guardare il panorama ed era in ritardo. Fuori l’aria era fredda, le orecchie improvvisamente gli avevano ricordato che il cappello era rimasto sull’appendiabiti. Si era girato per tornare indietro. “Se prendo il cappello, perdo la metro”. Ci aveva ripensato. “Non importa, che vuoi che sia un po’ di neve sulla testa”, si era detto ignorando la calvizie incipiente infreddolita.  
Nella metropolitana c’era tanta gente e faceva caldo, la testa e la faccia gelate si erano messe a pulsare stimolate dal calore. Schiacciato fra un signore in completo grigio e un ragazzo con lo zaino sulla schiena Lucio respirava appena.  Alla fine, dopo qualche fermata, era riuscito a sedersi. Come tutte le mattine aveva indossato le cuffiette e in quel momento Thelonius Monk e il suo quartetto lo isolavano dal mondo. Era libero di correre con la mente. Galoppava e scorreva gli ultimi mesi. La metro delle otto e mezza, sì, sì, era riuscito a prenderla.
La incrociava tutti i giorni alle nove davanti al Tintero. Anche se lavora lì vicino, Lucio al Tintero non ci aveva mai messo piede. Lui non pranzava mai fuori dall’ufficio, e meno che mai al ristorante, gli sembrava una perdita di tempo, meglio un panino alla scrivania, prosciutto e burro, glielo portava sempre il suo amico Giovanni. Adesso, però, il Tintero era diventato il suo posto preferito, perché lì davanti incontrava quella ragazza così carina. Non tanto alta, minuta, con una massa di riccioli rossi e la pelle chiara, aveva un sorriso luminoso. Lucio ignorava il suo nome e non aveva mai osato fermarla per chiederglielo, anche dopo che si erano scambiati il primo saluto. “Buongiorno” aveva detto lei, “Buongiorno” aveva risposto Lucio. A volte, seduto in metropolitana, si era immaginato mentre le rivolgeva la parola raccontandole che era un programmatore di computer, che lavorava in un grande ufficio e, nella sua testa, si era spinto addirittura a chiederle di pranzare insieme. Tutto sempre chiuso nella sua testa. A immaginare e mai osare. Quella testa che aveva inventato situazioni e parole, proposte, inviti. A volte accettava, a volte rifiutava, ma la voce delle risposte era sempre quella di Lucio. Certo, lei lo guardava con quel suo sguardo vellutato, quello che usava tutti i giorni per ricambiare il suo buongiorno, ma nella mente di Lucio la voce non c’era. Solo sguardo. Forse, quello sguardo era una risposta silenziosa.
Anna, ha la faccia da Anna. Una sera Lucio si era sorpreso a sceglierle un nome, almeno avrebbe smesso di essere Lei o la Rossa Carina. Che anche quel giorno avrebbe incontrato. Oppure no?
Quella mattina uscendo dalla metropolitana Lucio era rimasto a bocca aperta. Era proprio un giorno speciale, irreale, surreale, fantastico. Intorno a lui c’era il deserto, nevicava e lo spettacolo era magnifico. La mole imponente del Castello Sforzesco s’intravedeva appena attraverso la foschia e i fiocchi che cadevano fitti. Lucio camminava cauto, passi incerti, per non rovinare lo strato di neve intonsa e perfetta. Thelonius Monk continuava ad accompagnarlo, con quella musica struggente e cullante. Si era fermato un attimo, aveva respirato, la testa già ghiacciata, le orecchie fredde, aveva sorriso. Poi, si era avviato verso l’ufficio. Le nove e cinque, il cuore si era fermato di un battito, sono le nove e cinque. “L’ho mancata. Accidenti l’ho mancata”, quasi gli erano salite le lacrime agli occhi. Invece l’aveva vista. Camminava lungo Foro Bonaparte, arrancando un po’ nella neve. Il piumino verde mela e il cappello nero coperto da un monticello di fiocchi la facevano sembrare un insolito, gigantesco pasticcino. Teneva le mani in tasca e si era guardata intorno, come se stesse cercando qualcuno. Poi aveva visto Lucio gli aveva sorriso. Un sorriso grande, luminoso. Il sorriso di chi ha quello che vuole. Lucio si era preparato a dire il solito “Buongiorno”, come tutte le mattine. Aveva inspirato l’aria fredda e aveva sorriso anche lui. Il sorriso di chi ha trovato quello che cercava. Lei si era avvicinata, lenta, nella neve alta. A un certo punto aveva fatto una specie di affondo, le braccia tese davanti a sé. Era sembrata cadere, cadere verso Lucio che aveva tirato fuori la mano dalla tasca e l’aveva afferrata. Lui non aveva mosso un muscolo, rimasto senza fiato dopo quel primo contatto fisico. Aspettava. Gli occhi castani di lei fiammeggiavano di una strana furia, erano profondi e intensi. Poi lo aveva afferrato per il bavero del cappotto e lo aveva guardato dritto negli occhi per qualche secondo. Sembrava volerlo rimproverare per qualcosa, ma non aveva detto nulla. Lucio era rimasto immobile a guardarla, lei allora di colpo aveva passato le mani dietro la nuca di lui e si era avvicinata. Si era avvicinata pericolosamente al viso di Lucio, paralizzato, poi con le labbra aveva sfiorato le sue. Una lunga scossa aveva percorso la colonna vertebrale di Lucio, una luce era esplosa dietro ai suoi occhi. La bocca di lei era soffice contro la sua. Un bacio duro, brusco però. Lucio era impietrito, si sentiva come se il ghiaccio di quella mattina gli fosse entrato dentro. Non accennava a muoversi. Allora, lei aveva dischiuso le labbra e con la lingua aveva dato leggeri colpetti al labbro di Lucio che aveva risposto automaticamente movendo la lingua al suo ritmo. Il tempo si era fermato, le mani di lei frugavano sotto il cappotto. Lui era rimasto immobile, basito, esterrefatto. Sentiva dentro un calore che scioglieva il gelo di prima, che liquefaceva ogni inibizione, ogni timidezza. Dopo lo stupore Lucio aveva preso coraggio e si era avventurato nel piumino verde, cercando il suo seno, sorpreso di trovare solo una camicetta, stupito di non sentire un reggiseno. Si erano baciati come se fosse l’ultima volta, come se non ci fosse stato nessun altro al mondo. Intorno a loro non c’era l’urlare delle sirene, non c’era lo sferragliare dei tram, non c’erano i passanti, solo il silenzio della neve che continuava a cadere nel cappello nero rovesciato a terra. Si erano sfiorati, toccati, senza scambiarsi nemmeno una parola. Le mani avevano accarezzato, palpato, inquiete, dure, eccitate. Lui tremava indeciso, frugale, timido. Lei mugolava leggermente, più audace, sfacciata. All’improvviso lei si era staccata, guardandolo di sottecchi, si era abbassata a raccogliere il cappello, aveva scosso via la neve e lo aveva rimesso in testa. Si era girata, “Buongiorno”, aveva detto. Lucio aveva risposto meccanicamente “Buongiorno”, come aveva fatto tutte le mattine, alla stessa ora, per tre mesi. Lei era si allontanata lasciandolo fermo sul marciapiede innevato; l’orologio di Lucio segnava le nove e venti; Thelonius Monk aveva smesso di suonare da un bel po’.