Il
primo era un italiano secco, secco passava e diceva forte "Cocco Bello.
Coooooccccco!! Cocco Fresco! Coccccccooooo!", come quando ero bambina e
passavo parte dell’estate sul litorale romano. Il venditore di cocco di oggi, e
di ieri, attraversava la spiaggia con il suo secchio pieno d'acqua, ghiaccio,
poco ghiaccio a dir la verità, e fettine di cocco. Quello di oggi si era
inventato un vecchio mestiere e prima che a lui venisse in mente quell'urlo era
sparito dalla spiaggia da secoli. Era stato soppiantato dalle gentili
insistenze di venditori ambulanti di ogni razza e colore agghindati come alberi
di Natale sotto il peso delle borse, delle vetrinette di gioielli, dei tappeti,
di parei, oggetti vari e, sandali, straccetti, amenità, ma mai cibo. Sono
passati anni, non molti per amore della precisione, e mi piace pensare che quel
primo venditore di ritorno abbia fatto fortuna ed assunto dei dipendenti
che scatena in giro per le spiagge. Lo immagino sotto un ombrellone con una birra
gelata che controlla il traffico dei venditori, via via rimpinguando le scorte
esaurite, aggiungendo acqua fresca ai secchi, controllando che la qualità sia
quella consona al suo standard. I venditori di questi giorni sono indiani o
cingalesi, la doppia "c" della parola cocco è sparita e la voce si è
fatta più cantilenante. Nessuno urla più Cocco Bello, forse non immaginano che
per me non è estate se non sento l’urlo Cocco Bello, Cocco Fresco, invece del
sussurro a fior di labbra "Coco, tu vuo' coco?". Passano per la spiaggia con passo
felino, tra un lettino e l’altro, sussurrando la magica frasetta, e sembra che
lo spaccino questo cocco. Magari è questione di timidezza o educazione. Però è
bello lo stesso, mi diverte lo stesso, e mi fa sentire nel pieno dell'estate.
Adoro chi vende cibo sulle spiagge, non amo molto il Cocco Bello Cocco Fresco,
i miei gusti sono diversi, però mi piace vedere la gente che lo compra.
Quando
vedo passare i venditori di cocco, mi vengono in mente altri venditori, altre
spiagge, altri luoghi. Mi ricordo in Venezuela, per esempio, in quel paradiso
di spiagge bianche e acque azzurre che sono i Cayos. Isole, anse, baie di fine
sabbia corallina, tuffate nella natura, tra le mangrovie, la terraferma e il
mare, acqua salata che si mischia all'acqua dolce, mare basso, cielo infinito.
Luoghi magici che durante il fine settimana diventavano una specie di isola
infelice, senza uno spazietto per stendere l’asciugamano, senza un centimetro
di acqua disponibile, solo gente, tanta gente che brulica come una colonia di
formiche, gente che chiacchiera, mangia, beve, ride, va in barca, sorride, si
abbronza, si ubriaca. Gente rifocillata dai venditori ambulanti, mosche operose
con passo da maratoneta che sfrecciano senza posa lungo la spiaggia. La maggior
parte sono muniti di una bella borsa frigo di polistirolo espanso, di quelle da
pochi Bolivares, dentro la borsa un mondo fatto di ghiaccio e Ceviche (la
ricetta di quello di gamberi nel blog). Non dicono nulla, non sussurrano, né urlano, quando li vedi
apparire sai che sono lì per venderti pesce crudo marinato nel lime, con
fettine di cipolla, peperoncino e coriandolo. Alzi una mano e il venditore
inchioda, letteralmente, e ti prepara la tua ciotolina nello stile rustico chic dei Cayos, un poco poetico
bicchierino di plastica bianco, una forchettina e via, il pranzo è servito.
Segue, astutamente, il venditore di birre ghiacciate o, meglio ancora, secondo
le preferenze venezuelane, quello di whisky.
Adoravo
quei momenti, i ricordi idealizzati dalla patina del tempo. I miei istanti
preferiti sono quelli trascorsi a mollo nell’acqua bassa, su e giù dalla barca,
facendo finta di essere via dalla pazza folla, ma in realtà immersi in essa
come un banco di acciughe che fa il pallone. In quei posti, tra un Cayo e
l’altro, non si tocca la spiaggia, si vive sulla barca o nell’acqua bassa, che
ti arriva fino alla cintola. I venditori agiscono di conseguenza, muniti di
barchino sgangherato passano tra i natanti lussuosi o altrettanto sgangherati,
e servono le loro leccornie. Che c’è di meglio di una birra gelata bevuta a
lenti sorsi sbocconcellando un Ceviche immersi nell’acqua fino alla cintola in
mezzo a centinaia di altre persone? Forse l'istante perfetto.
Lungo
le bianche spiagge dei Cayos si vendevano anche i Polvorones, biscotti leggeri fatti con la farina di manioca
ultra raffinata, che, a onor del vero, è più facile trovare sulle autostrade a
coronamento delle infinite, e frequenti code, che regala questo paese dove la
benzina costa molto meno di un litro di acqua.
Stranamente
i Polvorones, con un altro nome, si possono trovare anche sui litorali
brasiliani, in un eterno scambio di abitudini di un continente che è enorme
eppure apparentemente simile in alcune parti del suo meridione. I Polvorones
brasiliani (nome locale: Bolacha o Biscoito de Polvilho) sfrecciano sulle spiagge,
soprattutto quelle di Rio, nella loro confezione di carta plasticata bianca e
blu (marca Biscoito Globo, rigorosamente) attaccati a lunghi pali che i
venditori in canottiera e calzoncini trasportano lungo il litorale. Uno
spettacolo nello spettacolo delle già spettacolari spiagge brasiliane. Tra le
cose che amo di più sui litorali brasiliani, siano carioca, paulista, bahiano è
la gratella. Anzi, no, la frutta. Anzi no, l'acqua di cocco. Anzi no, il mais
bollito Anzi, no, no la Caipirinha. Anzi no. D'accordo, mi piace tutto, anche i
costumi da bagno, i cappelli e i parei che non si mangiano. Diciamo che ho un
debole per i litorali paulista, carioca, fluminense, bahiano, florianense, e
uffa, sì, per il Brasile.
Cominciamo
dall'inizio: la gratella, che non è un piatto, ma una vera graticola di ferro,
di forma rettangolare, poco profonda, con carbonella rovente, si insomma un
mini barbecue, sulla quale cuociono spiedini di formaggio bianco. Un formaggio
solo un filo, forse, ma giusto un filo, plasticoso, ma quel plasticoso buonissimo. E che caspita,
ha il sapore di un vacanza sul litorale brasiliano, vuoi mettere? Con un
piccolo cenno si ferma il venditore, fornito della solita borsa frigo su una
spalla e con la gratella rovente nell’altra mano. Gelo e fuoco sullo stesso uomo. Ordini il tuo spiedino e lui
lo cuoce davanti a te, lento, paziente, rispettando i tempi di cottura per ottenere una
crosticina croccante e leggermente affumicata. L'istante perfetto?
Intorno un popolo di venditori armeggia con vari tipi di merce. C’è il simpatico venditore di frutta intera o tagliata che ti offre pezzetti succulenti e deliziosi, per uno spuntino leggero. Che dire del magnifico venditore di acqua di cocco? La Gatorade naturale che circola sulle spiagge, che volteggia nel suo stato naturale, un grande frutto verde, ripieno di bontà, appesa come al solito al palo della cuccagna. Seduto sulla sdraietta da spiaggia, sotto l'ombrellone, al riparo dal feroce sole brasiliano, il bagnante fa un cenno al venditore che arriva, stacca un frutto dal palo, prende il machete, forse un po’ più arrugginito di quanto l’avventore vorrebbe, e spunta la noce di cocco verde. Poi fa un buco, con la punta del machete, e ci infila una cannuccia. Ecco pronta un’acqua deliziosa, rinfrescante che scende nella gola e ti senti in paradiso. Poi, a richiesta il venditore spacca a metà il frutto, con il machete ovvio, ed appare l'interno del cocco verde, la noce ancora immatura, leggermente gelatinosa, bianco trasparente, che ha un leggero sapore di cocco. Il gusto si intensifica quando la noce secca.
Intorno un popolo di venditori armeggia con vari tipi di merce. C’è il simpatico venditore di frutta intera o tagliata che ti offre pezzetti succulenti e deliziosi, per uno spuntino leggero. Che dire del magnifico venditore di acqua di cocco? La Gatorade naturale che circola sulle spiagge, che volteggia nel suo stato naturale, un grande frutto verde, ripieno di bontà, appesa come al solito al palo della cuccagna. Seduto sulla sdraietta da spiaggia, sotto l'ombrellone, al riparo dal feroce sole brasiliano, il bagnante fa un cenno al venditore che arriva, stacca un frutto dal palo, prende il machete, forse un po’ più arrugginito di quanto l’avventore vorrebbe, e spunta la noce di cocco verde. Poi fa un buco, con la punta del machete, e ci infila una cannuccia. Ecco pronta un’acqua deliziosa, rinfrescante che scende nella gola e ti senti in paradiso. Poi, a richiesta il venditore spacca a metà il frutto, con il machete ovvio, ed appare l'interno del cocco verde, la noce ancora immatura, leggermente gelatinosa, bianco trasparente, che ha un leggero sapore di cocco. Il gusto si intensifica quando la noce secca.
Mi è
capitata una cosa eccezionale, una volta sola, ma magica. Il venditore stanziale. Stava accucciato sotto una
palma da cocco, il cappello abbassato, il machete lungo il fianco. Era
all’ombra. Siamo arrivati, e abbiamo visto il cartello. Agua de Coco. Ne
abbiamo chiesti due. Il venditore si è alzato, noi ci siamo guardati intorno
chiedendoci dove fosse la montagna dei cocchi da aprire. Lui con eleganza è
salito lungo il tronco della palma, a piedi nudi, senza rete, col machete sul
fianco. E’ arrivato in cima, ha preso il machete, tagliato due cocchi che ha
fatto cadere sotto l’albero all’urlo di “Chega o Coco!!!” (arriva il cocco). E’
sceso con la stessa eleganza con cui è salito. Ha aperto il cocco come al
solito. Si è seduto e ha aspettato il cliente successivo. L'istante perfetto?
Pensandoci
bene, che c'è di meglio del mais bollito rutilante di, purtroppo sì, margarina,
dei carretti fissi sul retro delle spiagge? Che c'è di meglio che
addentare una cosa che è sana e allo stesso tempo veleno. Ecchecavolo siamo in
vacanza? Beh, la Caipirinha (nel blog la ricetta) che si beve al tramonto
davanti al sole che affonda dietro la rigogliosa Mata Atlantica (litorale
paulista), quella natura impenetrabile costellata di mille sfumature di verde,
o dietro ai Morros (litorale carioca), le corone nere e verdi delle spiagge di
Rio, nell'Oceano (litorale bahiano) infinito, ondeggiante, luccicante. Ovvio,
molto meglio di tutto è la Caipirinha del tramonto. L'omino lavora con mani
sapienti e un grande pestello di legno il lime a pezzetti e lo zucchero di
canna finissimo. Spinge e spreme con un movimento rotatorio finché gli
ingredienti non sono perfettamente amalgamati e della giusta consistenza. Con
un gesto sapiente trasferisce lo sciroppo e i pezzetti di lime dentro ai
bicchieri dove c'è il ghiaccio. Termina il tutto con una bella dose di Cachaça,
di solito la più comune in Brasile, la 51, un liquido poco al di sopra
dell’alcool da trazione, dice un mio amico che preferisce Rum e Vodka dentro al
suo cocktail. Il profumo inebria le narici mentre il barista da spiaggia gira deciso
tutto quanto con uno stecchino, di quelli di legno da gelato per intenderci.
Sorride mentre porge la pozione all’ignaro avventore. Ignaro perché non sa che
la pozione è Magica, già dal primo sorso. Dopo quel primo sorso ne verranno
altri, altri, altri, perché la pozione crea dipendenza. Non tanto per l'alcool
che si mescola con l'acidulo zuccherino, si stempera col fresco del ghiaccio, quello è una normale evoluzione di un cocktail fatto bene. No, è quello
aggiunto alla bellezza della spiaggia, alla musica di qualche radiolina,
all’urlo degli ultimi venditori di gratella. Il tramonto fa il resto. L'istante
perfetto.
Coco, tu vuo' coco? Forse no, 'na biretta magari.
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