Vivere a Las Vegas è stata un'esperienza affascinante, ho già raccontato della magnifica sensazione di atterrare e guidare nella notte attraverso la città fino al deserto (vedi nel blog: Atterraggio a Las Vegas) e della storia del gangster che l'ha fondata (vedi: Quattro Passi tra i Prati a Las Vegas), mentre ero lì lavoravo per una rivista e ho scritto una serie di articoli sugli alberghi e sulla storia di Las Vegas. Eccone uno qui sotto, adattato a questo luogo di storie e ricordi.
Non sono stati dei pionieri qualsiasi a
fondare Las Vegas. Come sempre questa città riesce a stupire e lo fa anche con
le sue origini. Las Vegas significa “i prati” in spagnolo e perché ci fossero
dei prati doveva esserci acqua in abbondanza. Nel deserto? Nel deserto. Fu un
particolare evento geologico che, qualche migliaio di anni fa, provocò la
nascita di sorgenti d’acqua pura in un’area molto arida, poco lontano da quello
che è oggi lo Strip. Per secoli questi luoghi furono frequentati unicamente
dagli indiani e solo verso l’inizio del XIX secolo gli esploratori cominciarono
a segnalare la presenza dell’acqua su cartine e mappe. Attratto dalle risorse
idriche del luogo un gruppo di pionieri scese da Salt Lake City per stabilirsi
e creare una comunità. Erano missionari Mormoni. La città del gioco d’azzardo
fondata da predicatori puritani, non male come inizio. Il luogo dove si
stabilirono è oggi conosciuto come Las Vegas Fort, il forte di Las Vegas. I
mormoni non rimasero a lungo, se ne andarono per un non ben specificato motivo,
forse l’aria si stava facendo troppo peccaminosa per loro.
Il forte di Las Vegas, dove tutto ebbe
inizio, è poco lontano da quello che è stato per molti anni il fulcro della
vita cittadina: Downtown. All’inizio, lasciava un po’ a desiderare l’aspetto
del luogo nel quale si fermavano i pionieri e gli avventurieri per cambiare i
cavalli, mangiare, dormire, riposarsi. Tutto si svolgeva lungo le polverose
strade sterrate costeggiate da edifici di legno un po’ fatiscenti, in classico stile
“Mezzogiorno di fuoco”. Rivendite di liquori, saloon, bordelli facevano da
cornice a quello che era considerato il quartiere a luci rosse, noto a tutti
come Block 16’s,sulla First Street. Il più famoso degli edifici ospitava
l’“Arizona Club”, bar e casa di tolleranza di “classe”. Oggi non esiste più. Al
suo posto il parcheggio del Binion’s Casinò, che sorge sulla Fremont Street,
proprio di fronte a quello che è considerato la vecchia e nobile signora di
Downtown, il Golden Nugget.
Il Golden Nugget è stato il primo edificio
costruito allo scopo di ospitare unicamente il gioco d’azzardo. Tra i suoi
proprietari anche - e chi altrimenti - “The Voice” Sinatra, re incontrastato di
questa città che ha amato e dalla quale è stato corrisposto, e Steve Wynn, l’uomo
che ha cambiato Vegas. Quella di Wynn è un’altra storia e la racconteremo la
prossima volta, comunque sarà difficile dimenticarvi di lui quando girerete per
la città.
Downtown, dopo il boom del parco giochi
Strip, si era trovata in una fase di declino e tristezza. La sue luci, una
volta le più brillanti della città erano almeno un po’ appannate, perché il
grosso della clientela sceglieva i più facili e ridondanti divertimenti dello
Strip. Così l’enorme insegna del Golden Nugget, alta più di 14 metri e larga
altrettanto, se ne stava triste e sconsolata sulla Fremont a guardare il suo
compare, altrettanto depresso, il Binion’s. Abbattuta quell’insegna, è stato
dato un tetto, letteralmente, alla via e da qualche anno si è riusciti ad
attirare i turisti che sono tornati di nuovo numerosi. Tutte le sere ci sono
concerti dal vivo, dal gruppo cover dei Queen a piccole star della Country
Music; artisti plastici che dipingono quadri in pochi minuti, giocolieri che
roteano palline e clave di fuoco; localini senza tavoli che propongono dolci
fritti dall’aspetto inquietante e, per le signore “anche l’occhio vuole la sua
parte”, un paio di depilatissimi, mica tanto muscolosi, Chippendale’s che si
fanno fotografare a torso nudo. Come in un rito catartico abbracciano ragazze più
o meno giovani (con diritto di palpata…) che pagano profumatamente per l’onore
della foto. Versione un po’ meno glamour, ma accettabile, e sempre decisamente
kitch, del teatrino che si esibisce al Rio. Dulcis in fundo, lo spettacolo
suoni, laser e luci. Fantasmagorico e divertente, vale la pena di mollare i
tavoli da gioco per goderselo insieme alla folla eterogenea che popola questa
via assurta a nuova vita.
L’ambiente di Downtown è sicuramente più
ruspante rispetto a quello dello Strip, ma forse qui si ritrova un po’ di
quell’America delle Fiere di paese, quelle che popolano l’estate rurale del
paese profondo. Quell'anima un po' rude dei cowboy che alla fine di una giornata di lavoro a controllare la mandria o a lavorare i campi si diverte in quelli che un tempo erano i saloon. A Downtown Las Vegas si ha ancora la sensazione di essere in quell'America che ha fatto la storia nei film western, nonostante sia un mondo in transito tra sberluccichii, fantasia e un pizzico di concretezza.
E’ in quest’aria rilassata e meno formale
che si presenta il Golden Nugget. Sempre piuttosto elegante, si presenta con le
sue luci bianche che brillano sullo sfondo altrettanto candido dell’esterno e
la luce prosegue all’interno. Finalmente da queste parti si riesce a capire se è giorno o
notte, un bel vantaggio in una città dove nessuno vuole che tu abbia il senso
del tempo. In bella vista all'entrata c’è anche la teca
che racchiude la famosa pepita, quella che da il nome al locale, è enorme e sta
a voi stabilire se è vera o falsa. Il buffet, fiore all’occhiello dei
ristoranti dell’hotel, è accreditato tra i migliori e più riforniti della
città. Le sale da gioco, molto affollate a qualsiasi ora, hanno i soffitti più
bassi se paragonate a quelle dello Strip, dando così la sensazione di trovarsi
in mezzo ad un’allegra confusione. Tanti tavoli, ma anche tante slot machines.
Gli amanti del genere “ciliegie, prugne e bar” non resteranno delusi.
La piscina è assolutamente imperdibile,
anche se le dimensioni sono lontane da quelle formato gigante del Bellagio o
del Mandalay Bay. In mezzo all’essenziale vegetazione molti lettini, alcuni
anche nell’acqua, e al centro una vasca nella quale nuotano squali di
dimensioni ragguardevoli. Come? Certo che è a prova di bomba. Nell’acquario
fanno compagnia agli squali, rocce, alghe e varie specie di pesci. Visto che lo
spazio è ridotto all’osso il sun deck si snoda su tre piani, per ospitare più
amanti della tintarella, e all’ultimo troviamo l’attrazione. Lo scivolo. Uno
scivolo particolare, si tratta di un tubo trasparente (attenzione se soffrite
di claustrofobia!), perfettamente stagno, che passa dentro al tank degli squali
dando la sensazione di nuotare con loro. Un brivido perfettamente controllato, come quasi niente a Las Vegas.
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