mercoledì 5 febbraio 2014

DI CORSA A CENTRAL PARK

Sdraiata a Central Park 

Non c'è paragone. E' vero, è un parco come tanti altri. Ci sono gli alberi, i prati, il cielo, le case intorno. Però, chi ci ha passeggiato lo sa. Non può essere paragonato a nessuno. Hyde Park a Londra è splendido, forse è anche più grande, i Jardins du Luxemburg a Parigi sono uno spettacolo, e forse anche Parco Sempione a Milano non è male. Ma lui è lui. Ovviamente sto parlando di Central Park. C'è poco da fare, Central Park è come la città che lo ospita: l'assoluto. D'accordo, quelli che non amano l'America e New York possono dissentire, credo siano pochi, esistono, e rispetto la loro opinione. Però, questa volta lasciatemi fare l'innamorata. Una volta tanto lascio che i sentimenti abbiano il sopravvento. E allora racconto di quella volta che sono finalmente riuscita a correre a Central Park. Ho parecchie passioni nella vita, la cucina, il cinema, la musica e anche la corsa. Si d'accordo, amo il mare, la nebbia, il cioccolato, ballare, il sole, la neve, e via elencando le cose che mi fanno piacere, però quelle prime quattro sono le mie vere, verissime passioni. La corsa è un amore tardivo, difficile, ma incondizionato. E New York riesce a unire tutte le mie passioni, c'è tutto e il contrario di tutto. Diciamo che una corsa a Central Park ne soddisfa tre in un colpo solo: cinema, musica e corsa. Non è poco. Dicevo, una mattina finalmente sono riuscita a correre a Central Park e l'ho fatto come una vera newyorchese, all'alba. Ecco come è andata.
Era una mattina di tarda primavera, la temperatura non era delle migliori, faceva ancora freddo e sulla città aleggiava una leggera pioggia, di quelle uggiole fini, fini e fastidiose. Ma avevo bisogno di correre, sentivo il miei muscoli pronti e guizzanti, forse eccitati dalla vicinanza di Central Park. Un lento risveglio, guardando fuori dalla finestra che dava di sguincio sulla Broadway. Avrei voluto aprirla, quella finestra, ma era incastrata e non ho mai capito perché, ma le finestre sono spesso incastrate a New York. Se qualcuno sa dirmelo, lasci un messaggio qui sotto. Mentre sorseggiavo il primo caffè della giornata, lunghissimo e quasi insapore, ho capito che comunque fuori non doveva fare caldo, anche dal decimo piano si vedeva la gente che indossava il piumino. Ho infilato le scarpe, l'abbigliamento adatto, un cappellino per proteggermi la testa dall'acqua e ho fatto quello che fanno centinaia di newyorkesi a quell'ora. Sono andata a fare jogging. Le cuffiette del mi iPod (pausa pubblicità) ben piazzate nelle orecchie. Ho preso l'ascensore, sono scesa. Il portiere mi ha salutata e poi ero in strada. A sinistra il Lincoln Center, a destra la Broadway da attraversare. Mi sono girata, ho schiacciato il tasto play mentre cominciavo a correre lungo la Sessantatreesima Strada Ovest. Nelle orecchie sono esplose le note di New York, New York con la voce di Frank Sinatra che mi diceva dove mi trovavo, cosa ero, cosa facevo e come mi sentivo nella "... city that never sleeps", che in effetti, visto il traffico, alle sette meno dieci, deve proprio dormire pochino. Poche centinaia di metri ed ero sulla Central Park West, l'attraversavo e la lunga Avenue che avevo sulla destra mi lasciava senza fiato. Mi sono trovata a uno dei tanti ingressi del parco. Il nastro di asfalto, diligentemente diviso tra corridori, ciclisti e automobilisti, si snodava esaltante sotto i grattacieli. Nel petto sentivo un'emozione che non provo mai quando corro, anche quando corro al meglio delle mie possibilità. Sentivo un'esaltazione, una scossa di adrenalina, un'agitazione così forti da lasciarmi quasi senza fiato. Tutto il mio corpo era teso verso la corsa, resa ancora più esaltante dal freddo e dalla musica che avevo nelle orecchie. Le note che venivano dal registratore aiutavano a mettere un passo davanti all'altro, emozionandomi a ogni metro macinato. Correvo al freddo e sotto alla pioggia, sospesa tra sogno e realtà, una cosa che non avevo mai provata, quando è entrata Ella Fitzgerald che, con la sua voce melodiosa, mi diceva "We'll take Manhattan, il Bronx and Staten Island too", sulle note di quel piccolo gioiello che è Manhattan. Sulla destra gli appartamenti del Upper East Side, lì dove c'è la Fifth Avenue e dove si concentrano alcune tra le più grandi ricchezze della città, correvo ed ero in pieno sogno, ero come scorporata da quella me stessa, che forse era sdradiata nel letto a Milano e si immaginava tutto. Ho affrontato la prima salita sulle note di Daddy don't live in that New York City No More degli Steely Dan. Non fosse stato per il loro groove non ce l'avrei fatta, accidenti quanto è in salita Central Park! Passo dopo passo transitavo davanti alla statua del cane Balto. Correvo, correvo guardando avanti a me, su verso l'alto in direzione Harlem, sulle note quanto mai consone di Angel of Harlem degli U2. Chi non ha corso per questi luoghi, con i corridori ordinati, rispettosi, il cielo sopra, gli alberi intorno, tutto coronato dai magnifici grattacieli di epoche diverse, non può capire l'esaltazione che si prova. Le note di Walk on the Wilde Side di Lou Reed mi hanno portato la contraddizione di una città che è così, ordinata e disordinata allo stesso tempo, tollerante e intollerante, alta e bassa. Non sentivo la stanchezza mentre lasciavo sulla destra il Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir. Accidenti, questo lago ha il nome di un'icona americana e io ci sto correndo intorno, ho pensato. Mentre correvo, misericordiosamente in discesa, e guardavo avanti ho notato un gruppetto di uomini, correvano in fila indiana. Uno davanti, uno in mezzo e il terzo dietro. Tutti con lo stesso passo, mentre li incrociavo ho riconosciuto l'uomo di mezzo. Nicholas Sarkozy, pantaloncini corti, t-shirt, giubbottino leggero anti pioggia. Nient'altro, le guardie del corpo erano vestite come me, protette dalla pioggia e dal freddo. Anche lui come me, ho pensato esagerando il "come me" giusto di qualche tacca. Diciamo però che la corsa livella un po' tutti: sudiamo, fatichiamo, abbiamo un po' di fiatone, pensiamo ai fatti nostri. Magari i fatti di Sarkozy hanno un po' più a che fare con i destini dell'umanità, i miei su cosa posso fare per migliorare la cosistenza del budino di latte. Mi è capitato di incontrare Giovanni, di Aldo, Giovanni e Giacomo, mentre correvo a Parco Sempione. Entrambi hanno in comune le stesse dimensioni, altezza e magrezza, ma vuoi mettere un President de la Republique, anche se a riposo? Avevo macinato un po' di chilometri e di musica, a questo punto, nelle mie orecchie erano passate Englishman in New York di Sting, Leaving New York dei Rem, New York State of Mind di Billy Joel. Su quest'ultima avevo avuto un attimo di cedimento, ma è subito entrata Doris Day con Lullaby of Broadway a ridarmi la carica necessaria a proseguire. Stavo quasi finendo la corsa quando mi è entrata nelle orecchie  53rd and 3rd dei Ramones, correre su quelle note è un filo anacronistico, e ancora di più sulla canzone che ha quasi chiuso la mia corsa, Waitin' for my Man, ancora una volta di Lou Reed, due canzoni che esaltano una New York viziosa, eroinomane, fatta e sfatta. In realtà ho cominciato a decelarare su M79 dei Vampire Weekend e ho finito su New York di Paloma FAith. Dopo quasi un'ora ero al punto di partenza. Sulla Central Park West era arrivato il poliziotto per far attraversare i bambini che entravano a scuola. Senz'altro un istituto esclusivo, visto che indossavano divise all'inglese, pantaloni o gonne corte su calzettoni e gambe nude. Ho ripreso a camminare, sudata e affamata. Felice. Adesso ogni volta che ne ho voglia rimetto su la stessa musica, nello stesso ordine e corro a Parco Sempione, facendo finta di essere a Central Park. Parco Sempione è molto più in piano di Central Park e, a volte, è preferibile.

P.S. Si, si sono abbastanza folle da aver creato una playalist, o compilation, con tutti i pezzi dedicati a New York. L'ho creata apposta per correre a Central Park o per far finta di esserci, tutte le volte che mi viene nostalgia. Purtroppo non sono poche.

Nessun commento:

Posta un commento