martedì 27 settembre 2011

CENA PER DUE


La baia è grande, contornata da palme da cocco, sabbia e case basse, devono essere più basse delle palme, diceva la legge locale. L'oceano è tranquillo e la risacca fa da sottofondo musicale al tramonto. Niente tramonto rosso, un semplice, lineare sole che cala lentamente dietro alla punta che chiude la baia. I colibrì sono già andati a riposare, ma i gechi non si sono ancora svegliati. E' quell'attimo che precede la notte, nel quale si sentono solo gli uccelli acquatici che chiudono l'ufficio e vanno a mettere la testa sotto l'ala, per riposare un po'.
Un classico degli innamorati, la passeggiata sulla spiaggia al calar del sole. Un passo dietro l'altro, mano nella mano, in silenzio per godere del momento, per assaporare l'atmosfera, per veder brillare la prima stella della sera. Cammina, cammina  in lontananza una chiesetta sulla spiaggia battuta dalle onde, spuma leggera come pizzo di Bruges, gli ultimi raggi di sole che illuminano minuscole casette bianche, semplici e un po' stropicciate. La vegetazione di quel verde impossibile che si trova solo in Brasile, il faro bianco, la casa coloniale. Una cartolina. Una cartolina romantica che ti fa pensare, ecco io mi fermo qui, distendo il mio corpo sulla sabbia e guardo il cielo. La notte, ancora blu prima di diventare inchiostro. Ancora due passi per stradine sterrate e sabbiose, intorno ad un delizioso nulla da villaggio di pescatori che hanno tirato su le reti o stanno percalarle nella caccia notturna. Una casa, forse chiamarla casa è troppo, quattro mattoni tirati su alla bell'è meglio, appena spruzzati di intonaco e dipinti di bianco, una finestra grande e due piccole, una porta sorridente con la candida tenda di pizzo che svolazza nel crepuscolo. Appena fuori dall'uscio, appoggiato sulla sabbia, un tavolo,  in realtà quattro assi lavorate dal mare inchiodate insieme, lavorate col fil di ferro e due sgabelli passati anche loro tra i flutti. Un bambino, forse di dieci anni, fa cenno di sedersi sugli sgabelli edice che lì si può mangiare. Anche gli innamorati mangiano, scambiandosi uno sguardo di intesa si siedono. In mezzo al tavolo un vaso grande da marmellata, dentro una candela, quattro conchiglie, semi di cotone e un paio di fiori appena tagliati dall'albero davanti alla casa. Il bambino tutto compito elenca il menu del giorno. Pesce, il papà è pescatore. Bolinhos de Peixe com molho de limao, robalo grigliato com arroz e, sobremesa: manga. Crocchette di pesce, branzino grigliato con riso, dessert: mango. D'accordo. Arriva l'antipasto, due enormi bolihos de peixe, ma proprio grandi, da immergere dentro una salsina piccante, ma proprio piccante. Un bel branzino grande come una balena cotto alla perferzione il riso con qualche verdura d'accompagnamento e anacardi tostati, da mangiare su piatti spaiati. La birra da bere alla canna, bella gelata, che va giù fresca, fresca nel clima tropicale. Il mango, ecco, il mango, niente piatto, niente forchetta, niente coltello. Il mango è tagliato a metà, come lo mangiamo chiedono gli innamorati. Il bambino fa un gesto inequivocabile. I due si applicano: portano alla bocca il mezzo mango e cominciano a dare morsi alla polla arancione, staccandola dalla buccia, il succo che cola lungo il mento.  Il conto lo porta la mamma, la cuoca, arriva a piedi nudi con il grembiule e sorride porgendolo. Pochi spiccioli passano di mano.

P.S. Sei anni dopo la casa era di due piani, il ristorante aveva quaranta coperti e la cuoca indossava scarpe col tacco. Il bambino continuava ad invitare la gente a mangiare e a servire ai tavoli. Era un bellissimo adolescente.

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