martedì 26 febbraio 2013

COCA COLA, BACI E DANNI TRA LE NEBBIE

La Casa in Mezzo ai Prati della mia Infanzia
Siamo cresciuti in un posto dove c'erano i prati, gli alberi e la libertà. Eravamo una banda di ragazzini scatenati e selvaggi, liberi di fare tutto quello che volevamo, gli adulti  una presenza attenta, ma discreta. Correvamo per i prati, giocavamo a nascondino, agli indiani e cowboy, a baseball, con le bambole, i soldatini, ci arrampicavamo sugli alberi, sul quadro svedese e a volte stavamo semplicemente seduti in cerchio a parlare. Capitava raramente. Ci siamo divertiti come pazzi, senza controlli, attenti a rispettare le regole che i nostri genitori avevano stabilito per noi: tornare a casa prima del tramonto e, possibilmente, integri. Per quanto mi riguarda tornare integra a casa era la sfida più grande, sono e resto "accident prone", come dicono gli inglesi, che tradotto significa "ho la spiacevole tendenza a procurarmi involontariamente ferite, lividi, ammaccature e altre amenità." Cado spesso, mi taglio con vetri che non vedo, mi infilo invisibili, ma dolorosi, aghi nei calcagni, sono una distratta cronica, questo è il vero motivo. Cammino con la testa fra le nuvole. Riesco a prendere una cassetta delle lettere nella spalla semplicemente camminando per la strada, io ci passo accanto e lei come per incanto entra in collisione con il mio arto superiore. Al Pronto Soccorso mia madre aveva una corsia preferenziale, era conosciuta e stimata. Credo che a Natale i medici le facessero dei regali, tanto per ringraziarla delle frequenti visite. Questa però è un'altra storia. Mia mamma si rilassava solo d'inverno, quando gli alberi erano privi di foglie e i prati si coprivano di nebbia cotonose, allora noi passavamo ai giochi in casa. Rilassata, è una parola grossa. Diciamo che i giochi erano meno pericolosi, benché non fossero esattamente tranquilli. Tra le attività preferite, mamma e figlio, e il dottore, mio cavallo di battaglia perché grande frequentatrice di medici. Spaziavamo dai giochi classici da casa, come "fiumi, laghi e città" a "facciamo casetta", con i cenci trovati qua e là,  arrivando a cose un po' più frenetiche. Facevamo merenda, che di solito era a base di Petit Ecolier (biscotto tipo Oro Saiwa con un lato ricoperto di cioccolato, che è rimasto una delle mie grandi passioni), Gaufres (dolce tipico belga), pane burro e sale (un po' meno tipico), biscotti e latte con Nesquick. Poi, iniziavamo a giocare.
E' capitato che giocassimo alla banda e majorette nel salotto di mia madre, tutte bambine, una dietro l'altra in fila indiana, mimando con la bocca il ritmo della banda e in testa una di noi che recitava la parte del mazziere. La giovane mazziere, poco più che decenne,  teneva in mano un bastone da collezione di mio padre, era appartenuto ad un ufficiale giordano, capo scorta di re Hussein. Una reliquia che è servita a rompere un prezioso vaso di mia madre, infatti il mazziere sventolava dal basso verso l'alto lo scudiscio per dare il passo alla banda, lo sventolava con una tale foga da rompere il prezioso vaso di vetro di Hebron, soffiato a metà del XVIII secolo da un celebre artigiano. Il mazziere ero ovviamente io. Ne è conseguita una punizione esemplare: la ricostruzione del vaso e una settimana senza poter ospitare le amiche.
Avevo un'amica del cuore, non ci lasciavamo mai, eravamo sempre insieme. Frequentavamo la stessa, scuola, la stessa classe, eravamo compagne di banco e io, come è ovvio, andavo spesso a casa sua. Lì l'ambiente era più vivace, c'erano un sacco di bambini di tutte le età, perché lei era fornita di fratelli e sorelle in abbondanza, al contrario di me. L'ambiente era divertente, quasi meglio delle nostre scorribande estive nei prati. Giocavamo a tutti i giochi possibili ed immaginabili, non smettevamo un minuto di parlare e scambiarci opinioni, non so dire quali fossero, non ricordo. Abbiamo giocato così per anni, poi, un giorno suo fratello grande e i suoi amici, che ci avevano snobbate come le piccole pesti da ignorare volontariamente, ci hanno invitate a giocare. Avevamo undici o dodici anni e, diciamo, che i nostri sentimenti erano contrastanti, non ci fidavamo molto, ma allo stesso tempo eravamo lusingate, i grandi ci davano una possibilità. Quindi, dopo esserci consultate abbiamo accettato di giocare con loro. Chissà cosa avevano da proporci. Loro subdoli pre adolescenti, e consci di avere tre anni più di noi, quindi liberi di manipolarci. Ci hanno proposto il gioco della bottiglia. Noi non avevamo la più pallida idea in che cosa potesse constitere 'sto gioco della bottiglia e per non fare la figura delle babbione abbiamo acconsentito senza indagare. D'altronde non potevamo assolutamente sfigurare. Ci siamo trovate sedute in cerchio insieme ai maschi attorno ad una bottiglia della CocaCola, quelle da un litro di vetro o forse già di plastica, ma non ne ho un ricordo preciso. I giochi sono partiti, come è ovvio è stato uno dei maschi a far girare la bottiglia per primo. La bottiglia ha puntato su una di noi bambine, e allora ci hanno spiegato cosa era necessario fare quando la bottiglia ti puntava. Dovevi baciare colui o colei che l'aveva fatta girare. Urca, siamo rimaste folgorate. La designata si è avvicinata al maschio puntatore e gli ha schioccato un bel bacio sulla guancia. Io ricordo che loro si sono guardati, hanno ammiccato e proseguito nel gioco. Forse avevano un piano. Per un po' abbiamo proseguito coi baci sulla guancia. Poi, uno di loro l'ha buttata lì, con indifferenza "E se ci baciassimo sulla bocca". Toh, guarda che casualità. Avevano senz'altro un piano. Naturalmente noi, onorate dal fatto che ci facessero giocare con loro, intimidite, un po' per la giovane età, un po' non fare la figura delle cretine, ci siamo prestate e abbiamo accettato con entusiasmo, non esagerato forse. Allora la bottiglia è partita, l'ha fatta partire l'amico del cuore del fratello della mia amica. Ha puntato la mia amica. Le loro labbra si sono unite ed è tutto finito lì. Io a bassa voce le ho chiesto "Come è stato?", lei ha fatto spallucce. Immagino che mi volesse dire "niente di che". Nei giorni successivi abbiamo giocato parecchio al gioco della bottiglia e i maschietti si sono fatti più arditi, alle labbra hanno aggiunto la lingua. Suscitando strane domande in noi. Il contatto umido ci pareva strano, non capivamo cosa fosse né da dove venisse tutta quella umida morbidezza. Accettavamo la cosa senza capirla bene, decisamente passive. La prima volta che mi è capitato sono rimasta stranita. Ero io ad aver fatto girare la bottiglia che puntava sul fratello della mia amica. Un tipetto decisamente carino, che tutte le ragazzine a scuola guardavano con occhi concupiscenti. Io mi sono avvicinata per il solito bacetto, lui ha appoggiato le labbra e ha tirato fuori la lingua, la muoveva anche leggermente. Io ho provato una strana sensazione in bilico tra che "cavolo sta succedendo", interesse e un filo di disgusto. Non ho detto nulla, ho incassato e non ho commentato la sensazione che quell'umido aveva provocato sulle mie labbra chiuse, e che sono rimaste chiuse per tutti i giochi della bottiglia successivi. E non era una bella sensazione, a ripensarci bene. Qualche anno dopo ho avuto occasione di baciare quelle stesse labbra, in modo diverso e con ben altri risultati. E sensazioni.

Nessun commento:

Posta un commento