martedì 20 novembre 2012

A SPASSO CON LA BELLA TOPOLONA


La Micia Alice che gioca con la carta di un regalo che mi ha fatto la Bella Topolona

La Bella Topolona è una mia amica, sono io che la chiamo così e nessun altro. Come dice il soprannome è bella, ma proprio bella, da sempre, e con lei io vado a spasso. Facciamo gite a corto, medio, lungo e lunghissimo raggio. Insieme siamo state a fare corsi di cucina di tutti i tipi, viaggi di piacere con i nostri amici, vacanze stupende e gite in giornata in località più o meno amene. Spesso il nostro muoverci si riassume in puntate di shopping più o meno sfrenato, in città. Sono note a tutti le sfiancanti ricerche di scarpe per il piede da Cenerentola della Bella Topolona, un piedino fatato, veloce e raffinato. Spesso sono stata in missione per conto della BT (Bella Topolona), ho ricercato scarpe di una nota marca in luoghi spersi per il pianeta, ho trovato il numero, telefonato alla BT, comprato dietro sua autorizzazione e portato a casa. Questo argomento però non fa parte deila storia di oggi, non credo che a qualcuno interessino le disavventure di piede della BT.
Tornando a bomba nel discorso. Di solito io guido e lei dirige. Lei non ama molto guidare, a me non dispiace. Allora partiamo verso la nostra destinazione e cominiciamo a chiacchierare. Parliamo ad un ritmo di 455 parole al minuto, fitto, fitto, ci raccontiamo di tutto, e maciniamo chilometri. Non ci si secca mai la gola, non siamo mai stanche, non ci fa tacere nemmeno la radio, siamo una corazzata della chiacchiera da automobile. Una volta siamo partite per andare a fare un corso di piadina in Romagna, la sua terra di nascita. Un corso fondamentale per la nostra formazione di cuoche sopraffine, una parte indispensabile di un’istruzione culinaria. Ogni cuoca che si rispetti deve saper stendere una piadina favolosa, ovvio. Siamo partite un pomeriggio di una bella giornata primaverile, il cielo era azzurro, l'aria tiepida, noi eravamo in pieno spirito "gitesco". Ovviamente, non appena salite in macchina le nostre lingue sono partite, siamo scivolate indifferenti attraverso il traffico cittadino, e abbiamo imboccato l'Autostrada del Sole. Tra una chiacchiera e l'altra, abbiamo continuato il nostro viaggio. La nostra destinazione era la casa di una parente della BT che ci avrebbe ospitate per quella notte, dopo averci nutrite naturalmente. Anche la nostra ospite, ottima cuoca, avrebbe condiviso la lezione del giorno dopo. Non sia mai detto che una lezione di piadina non si debba condividere. Quel pomeriggio abbiamo viaggiato sull'autostrada, prudenti e attente, facendoci compagnia l'un con l'altra in una nuvola di chiacchiere in libertà. Fino a Ronco Bilaccio. Sopra il lungo viadotto che attraversa una parte particolarmente impervia della tratta ho chiesto: "Ma quando dobbiamo girare per andare verso la Riviera Romagnola? Prima di Firenze, mi auguro", sul volto della BT è calato un velo di panico. Si è girata verso di me, il terrore negli occhi, e ha detto "Come Firenze?". Chiacchiera che ti chiacchiera noi avevamo proseguito lungo l'Autostrada del Sole, verso la Toscana. A nessuna delle due, ma soprattutto alla BT che percorre quella strada piuttosto sovente, era venuto in mente di controllare i cartelli che indicavano la nuova direzione da prendere. Con grande abilità e rassegnazione abbiamo invertito il muso dell'auto e ripreso lemme lemme la strada verso la Riviera. Ad un certo punto abbiamo anche ricevuto una telefonata da chi ci aspettava. Non vedenci arrivare si era preoccupata, noi abbiamo abilmente glissato millantando molto traffico e code, omettendo la vergonosa verità. Siamo arrivate con circa un'ora di ritardo, e abbiamo chiaccherato a raffica per tutta l'ora in più.
Un altro dei nostri celebri exploit è stata la gita all'Ikea. Siamo due appassionate acquirenti dei prodotti per la tavola della premiata azienda svedese, siano oggetti o cibo. Ci divertiamo un mondo a comprare bicchieri, piatti, sotto piatti, tovagliette, posate, caraffe, padelle, coletelli, sottobicchieri, tovaglie, tovaglioli di carta, di tutte le grandezze e colori. Siamo davvero appassionate e giriamo per il reparto come cani da fiuto alla ricerca del gadget che non possediamo. Quella volta l'oggetto del desiderio erano le mini ciotoline di design, deliziose coppettine alte quattro centrimetri e del diametro di cinque. Qualcosa di totalmente inutile, assolutamente indispensabile per le nostre tavole. Fiere come bambine che hanno ricevuto il nastro della più brava, siamo passate dal reparto alimentari prima di uscire. Le nostra braccia cariche di ciotoline, aringhe, salmone, patatine siamo scese al parcheggio e abbiamo cominciato a cercare l'auto. "Ti ricordi dove l'abbiamo messa?". Silenzio, non voglio ammetterlo, ma ero annebbiata dalle nostra solite chiacchiere a 455 parole al minuto. Ci siamo guardate intorno, le borse pesanti, timidamente abbiamo preso una fila che ci pareva potesse essere la nostra, l'abbiamo percorsa tutta, niente. Ci siamo guardate, in silenzio questa volta. Abbiamo percorso un'altra fila in senso inverso. Niente,  della nostra auto nessuna traccia. Ci siamo fermate. Ci siamo concentrate. Abbiamo Pensato. Guardato, file e file di auto, in corsie che partono dalla lettera A e finiscono, boh, chissà, noi non siamo mai andate più lontano della G. In silenzio, in un silenzio angosciato, preoccupato, frastornato. Poi, l'illuminazione. Un flash che partiva da lontano, dalle 12 di quella mattina, e ormai erano le 17, una sorta di luce bianca che ha solcato il nostro cervello da dietro e è arrivata ai nostri occhi, alle nostre fronti. Ab-bia-mo sbagliato piano. Abbiamo Tirato un sospiro di sollievo, non siamo pazze. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo, non siamo rimbambite. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo, non lo raccontiamo a nessuno. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo e ricominciato a parlare. Veloci, veloci come non lo siamo mai state.
L'ultima avventura in ordine di tempo è recentissima, circa una quindicina di giorni. Siamo partite una mattina presto alla volta di Torino, indirizzo Lingotto per il Salone del Gusto, noi e i nostri trolley da riempire di leccornie. Siamo arrivate benissimo, in tempo record e entrate ancor più rapidamente. Abbiamo passato una giornata tra i contadini abruzzesi, calabresi, pugliesi, liguri, africani, ucraini, belgi, inglesi, americani, andini messicani, siamo riuscite persino a conversare con un contadino afgano che aveva perso la sua valigia contenente 20 chili di uvetta Presidio Slow Food. Ci siamo intrattenute con le nostre solite 455 parole al minuto, ci siamo bevute due litri di acqua e un paio di bicchieri di vino.  Abbiamo degustato specialità di ogni angolo di Italia e del globo, incontrato svariati amici e alcuni parenti, il ritmo della conversazione è sceso da 455 a 350 parole al minuto per la stanchezza e l’intensità della giornata. Ad un certo punto abbiamo smesso di camminare, ci siamo sedute nel magnifico orto africano, distrutte, sfatte, senza più la minima volontà di reazione. "Andiamo a casa" ci siamo dette in un rantolo. Salite in macchina, coi piedi che pulsavano, siamo partite. Il navigatore ci ha mandato su una strada che a noi pareva strana, ma il navigatore saprà ben lui, abbiamo pensato. Ecco, ho dei dubbi che il navigatore "sappia ben lui". Un po' è stata colpa nostra che abbiamo sbagliato una svolta, forse quella fondamentale, un po' è che il navigatore è maschio e mal sopporta le donne che chiacchierano, fatto sta che ci siamo trovate in pieno centro a Torino, lontano da una tangenziale, un’ autostrada o qualcosa che ci portasse a casa. E quando ho scoperto che il navigatore ci aveva mandate in piazza San Carlo, notoriamente il cuore pulsante di Torino e soprattutto isola pedonale, ho perso le staffe e ho cominciato ad urlargli contro come se fosse umano. La BT ha cercato di calmarmi con la sua voce dalle zeta pizzicate, inutilmente. Ci abbiamo messo un'ora e mezza ad uscire da Torino, io furiosa ho continuato a parlare a 455 parole al minuto, la Bella Topolona stava in silenzio rassegnata alla mia rabbia. Mi sono calmata solo dopo essere arrivata in autostrada, col muso della macchina diretto verso casa. Solo allora abbiamo ripreso a conversare normalmente. Quando l'ho depositata sotto casa abbiamo ancora parlato per cinque minuti, lei che teneva la portiera aperta, io il motore acceso.

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