martedì 5 marzo 2013

UNA MEZZA RIVOLUZIONE EQUATORIALE

All'equatore le giornate hanno la stessa durata e, come dire, signora mia, non esistono le mezze stagioni. Anzi, non esistono le stagioni concepite come le nostre, inverno-primavera-estate-autunno, da quelle parti c'è un'unica, eterna, dolce estate. Piove un po' di più in certi periodi dell'anno, non piove affatto in altri. In alcuni paesi equatoriali piove sempre, come in quello che prende proprio il nome dal "parallelo latitudine zero", l'Ecuador. Oggi, però, non ci troviamo nel paese dove piove sempre, ma nel paese caraibico che vanta un Presidente simpaticamente socialista, che si autodefinisce Bolivariano, giusto uno zic fuori sincronia con la storia e che guarda a Fidel Castro come ad un fratello maggiore saggio. "Mi chiamo Chavez, Hugo Chavez", il suo atteggiamento è più o meno quello che userebbe James Bond per presentarsi, armato del fascino letale dell'uomo di potere, suadente, un po' adulto e un po' bambino, stringe il suo paese in una morsa d'acciaio di ordini e comando. Eletto Presidente con una maggioranza bulgara nel 1998 è stato eletto più volte ed è ancora in carica. Inutile qui fare un trattato politico sulle scelte di governo del Presidente venezuelano, non competono a questo racconto. Però, in fondo, ad un certo punto è stato anche il mio Presidente, benché non fossi cittadina venezuelana. Per circa un anno  ho vissuto in Venezuela, e mi sono trovata ad essere lì quando il Presidente ha deciso di mettere mano alla costituzione e cambiare un articolo che non gli permetteva di essere rieletto per l'ennesima volta. La Reforma poteva avvenire solo attraverso il Referendum che, controvoglia, El Presidente era stato costretto ad indire, visto che era a capo di un paese democratico. E' partita una campagna piuttosto infervorata, una campagna pro o contro l'abolizione di un particolare articolo della costituzione venezuelana. Un momento in cui lo scambio di opinioni si è fatto intenso e veemente. Un periodo che per una giornalista, seppur ex come me, aveva il sapore del vissuto, dell'essere al centro di un mondo dove si sta facendo la storia. Fantastico.
Il paese di una bellezza struggente, c'è una natura meravigliosa, un'aria di eterna allegria, e i venezuelani sono gente davvero ospitale, gentile e simpatica. In quel periodo c'era un'aria diversa, tesa come un vento di tramontana, gonfia di cambiamento come un maestrale. Si percepiva una sorta di tensione elettrica nell'aria, un certo fastidio per le voglie di potere del capo del governo. I venezuelani sono piusttosto miti e dediti al "vivi e lascia vivere", amano divertirsi e ogni occasione è buona per fare festa, con loro si balla, si mangia, si ride. Difficilmente si pensa ai venezuelani come ad un popolo esplosivo, se esplodono è per ballare un merengue, è per ridere con un amico, sono relativamente pacifici, nonostante il tasso di delinquenza nel paese sia piuttosto alto. Sempre pronti alla festa, quella della Reforma era una festa al contrario. E da bravi festaioli i venezuelani, un po' arrabbiati, organizzavano momenti di protesta: i cazarolazos. Moti di ribellione spontanea che nascevano dal passa parola, da una sorta di rete clandestina che stabiliva che, ad un dato momento, in un dato orario, tutti gli abitanti di una città, o addirittura di tutta la nazione, uscissero di casa, o si mettessero alla finestra, a dimostrare la loro indignazione percuotendo pentole, padelle, teglie. Aiutati da mestoli, cucchiai di legno, posate o qualsiasi oggetto col quale percuotere il pentolame. Il rumore era assordante, esaltante e divertente, sconcertante, una sorta di festa dell'arrabbiatura. Di solito questo capitava verso mezzanotte o l'una a sorpresa, e come era cominciato finiva. Di colpo. Ovviamente, la prima volta che è accaduto, nel cuore del nostro sonno più profondo, a noi è venuto un principio di infarto e nell'ordine abbiamo pensato: è giunta la fine del mondo, e queste sono le trombe celesti, a dire il vero piuttosto furiose per come ci siamo comportati in vita nostra; è arrivato il terremoto e sta crollando tutto, però c'è da dire che nulla si muove, anche se siamo al tredicesimo piano, non male, forse ce la caviamo; la nostra vicina è furiosa perché abbiamo fatto il barbecue sul terrazzo e sta prendendo a pugni la porta, quest'ultima soluzione andava a cozzare contro il rispetto che hanno i venezuelani per le feste altrui. I cazarolazos erano diventati un piacevole passatempo delle nostre serate, ormai li aspetavamo e ci informavamo di quando erano previsti, giusto per non farci cogliere impreparati. Ci siamo armati anche noi di pentola e mestolo, tanto per far numero. Nel corso di queste occasioni nessuno parlava, la protesta stava nel rumore furioso, nel far capire la proprio dissidenza senza pronunciare la parola Reforma. Ad essere sinceri, i cazarolazos erano cominiciati un po' prima della decisione del Presidente di mettere in atto la Reforma, segno che c'era un certo disagio nel paese. Era un modo di protestare senza scendere in strada, un modo di esprimere la propria opinione senza uscire di casa, tutti insieme, senza distinzione di classe e cultura. Mano a mano che diventava più chiaro che il Presidente avrebbe modificato la costituzione, le proteste con le casseruole erano diventate più frequenti. Poi, è stato chiaro che ci sarebbe stato un referendum per stabilire, con voto popolare, se era il caso di cambiare la costituzione. Allora era iniziata la campagna referendaria. SI alla Reforma o NO alla Reforma, sarebbe stato il paese a decidere. E il paese era inizialmente spaccato in due, e allora i partitto del NO protestava, protestava con cazarolazos, ma i cittadini si erano accorti che i cazarolazos non bastavano e allora erano iniziati i cortei. E nei cortei c'erano un po' di scalmanati che la polizia aveva caricato, e quando la polizia aveva caricato gli scalmanati erano aumentati. Un'onda di malcontento, nervosismo, rabbia era calata sulla campagna referendaria, insieme ai dibattiti televisivi erano cominciati i dibattiti per strada. E non erano dibatti dove la fine dialettica degli intellettuali costituzionalisti e dei giornalisti aveva la meglio. Erano un corpo a corpo con i poliziotti, con gli avversari, con il mondo. Il paese era in vero fermento, oramai l'argomento di conversazione alle feste, alle cene, ai pranzi, per strada, alla cassa del supermercato, ovunque, insomma, era la Reforma. Non si perdeva occasione per dire la propria e non sempre i toni erano pacati.  Ricordo perfettamente una sera, eravamo allo stadio di calcio di Valencia, dove i Manà, gruppo rock messicano, tenevano un concerto. Lo stadio era pieno e in ebollizione, un po' per l'eccitazione del concerto e un po' per quanto stava succedendo nel paese. Anche lì si ammazzava il tempo parlando della Reforma. Noi, un gruppetto misto di italiani e venezuelani, scherzavamo e ridevamo, bevevamo birra, un classico in Venezuela, sgranocchiavamo Platanos Fritos, e ovviamente citavamo l'argomento principe. Ad un certo punto nello stadio è calato il silenzio, il sindaco della città era arrivato nel palco d'onore. Il sindaco, uno chavista della prima ora, era un sostenitore della riforma, ovviamente in favore di Chavez. Quando il pubblico ha registrato la sua presenza ha smesso di fare quello che faceva: mangiare, bere, chiacchierare, ridere, baciarsi, tenersi per mano. E' calato il silenzio. E' calato piano, da vociare in toni alti è passato a brusio appena percettibile fino a morire. Trentamila persone in assoluto silenzio. Un momento irreale, solo il rumore del traffico in sottofondo e la musica degli altoparlanti accompagnava l'arrivo del sindaco. All'improvviso è partito, è partito da non si sa dove, non da un punto esatto dello stadio, è partito un mormorio che è andato ad ingigantirsi, è diventata un'onda di voci che scandiva tre parole, tutti all'unisono, una sola unica voce.  "NO a la Reforma" ha fatto il gioro della stadio e l'urlo della folla è diventato gigante. "NO a la Reforma. No a la Reforma" il mantra urlato da trentamila voci è stato ripetuto decine di volte "NO a la Reforma. No a la Reforma". Faceva paura, ti faceva sentire piccolo, un insetto in mezzo ad un traffico folle di macchine, un insetto che avrebbe potuto spiaccicarsi contro un vetro. La folla, le voci, il caldo, un momento incredibile, che ci ha fatto cogliere quanto sia facile esaltarsi in meomenti di arrabbiatura collettiva. Poi, come era iniziata la protesta è finita e la schitarrata di "Corazòn Espinado" ha aperto i concerto.

(1 - continua)

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