lunedì 18 aprile 2011

UN DONO DELLA PROVVIDENZA

Santiago del Cile in estate è un calderone rovente, che assomiglia molto al pentolone fumante di Amelia "la strega che ammalia", sovrastato da un cielo plumbeo. La Cordigliera delle Ande fa da corona alla capitale cilena e nel clima estivo, torrido e umido, contribuisce a tenere compresse verso il basso le nuvole di umidità arricchite dallo smog aiutando a rendere l'aria non dico irrespirabile, ma poco gradevole. Sono arrivata in città in una sera di inzio estate, quindi in un clima tollerabile, il cielo era azzurro pallido e soffiava una debole brezza deliziosa. Ho sempre desiderato visitare il Cile, quindi quella sera ero felice di essere lì. Il nostro albergo si trovava a Providencia, magnifico quartiere residenziale pieno di alberi e verde, ma piuttosto lontano dal centro e dalla vita mondana. Il giorno successivo sarebbe stata la giornata dedicata al turismo e alla serata mondana pensata apposta per noi da un nostro amico residente. Per quella sera non ci restava altro che trovare un ristorante dove mettere qualcosa sotto i denti e, dopo, andare a dormire con le galline. 
Scovare un ristorante, questa è l'impresa da compiere quella sera, ma la cosa si prospetta più difficile della ricerca del Sacro Graal. Gira che ti rigira per le strade alberate, finalmente avvistiamo un locale invitante, per altro l'unico presente nelle vie vuote e silenziose di Providencia. Una volta entrati prendiamo posto sotto ad una magnifica pergola di vite americana. Molti gli avventori intorno a noi, nessuno mangia. Arriva il cameriere e ci porge il menu. Più che un  menu è una carta dei vini e delle bevande. Grandi bottiglie di Sauvignon e Cabernet, cocktail vari, tra cui la specialità nazionale: il Pisco Sour. Noi vorremmo mangiare, diciamo al cameriere. Lui gentilissimo, sorride e risponde "La cocinera, nuestra unica cocinera, se hospitalizò hace una media hora. Por la noche no se come. Pero se toma, todavìa el barman esta vivo". Traduzione: "La cuoca, la nostra UNICA cuoca, è finita all'ospedale mezz'ora fa. Stasera non si mangia. Però si beve, il barman è ancora vivo".  Ci viene il sospetto che la cuoca non sia all'ospedale, ma in un luogo molto più definitivo visto la precisazione sulla vivacità del barman. Tuttavia sorridiamo e, per pura cortesia, ordiniamo un Pisco Sour, mangeremo da un'altra parte. Dopo un po' arriva il nostro cocktail, quello dove lo servono non è un bicchiere, è una piscina. La profumatissima grappa cilena è mescolata con il succo di limone in quantità industriali. Una piscina a testa bevuta ad una velocità media sostenuta, visto che il tempo corre e dobbiamo trovare un altro ristorante. Il Pisco Sour è buono, anzi buonissimo, ma non abbiamo niente da mettere sotto i denti, nemmeno un tocco di pane secco, pare lo abbiano finito gli altri avventori. Usciamo, faccio due passi e colpisce. Come un Mamba nero, detto seven steps, sette passi, il Pisco mi lascia camminare il necessario per attivarsi, poi mi arriva al cervello passando veloce attraverso tutte le vene del mio corpo e mi da una mazzata terribile. Nella mia testa c'è come un'esplosione. Sono completamente ubriaca, nessun ristorante in vista e comincio un coro a bocca chiusa per le strade silenziose. Dopo un po' canto la marsigliese, intono l'Italiano e Trottolino Amoroso dudududadadaaaa, la mia voce rimbalza sui palazzi, nelle strade deserte e torna alle mie orecchie come un eco infernale. Il silenzio assoluto è rotto solo dalle note stonate che escono dalla gola lubrificata a dovere. Il mio fidanzato cerca disperatamente di fermarmi, è meno ciucco di me e teme che qualcuno da casa chiami la polizia. Incontrare la polizia cilena, di quei tempi, con il generale Augusto Pinochet vivo, vegeto e lontano da essere un papà buone ed affettuoso, non è una delle priorità di cileni e turisti. Nemmeno la mia. Il fidanzato, combattuto tra il panico e la fame che lo attanaglia,  sceglie il panico e decide di riportami in albergo. Cerca inutilmente di zittire le mie intemperanze canore senza grande successo. Finalmente arriviamo. Dormiamo in un residence senza ristorante dove non è previsto nemmeno il servizio di prima colazione. Il pensiero del mio fidanzato roso dai morsi della fame per colpa mia mi perseguita ancora oggi. Noi donne si sa, però, siamo sempre piene di risorse e, pur sbronza, tiro fuori dal cilindro il coniglio (molto metaforico, purtroppo) della serata. Seduti sul letto ci dividiamo mestamente il pacchetto di noccioline, sette a testa, che ho preso sul volo della Lan Chile da Buenos Aires a Santiago. 
Dopo sono schiantata tra le lenzuola e mi sono risvegliata la mattina successiva, fresca come una rosa, i ricordi della sera precedente persi nel nulla. Un gran mal di testa ha fatto da corona a tutta la giornata.  


P.S. Da quest'esperienza ho imparato: 
1) mai cercare un albergo in un quartiere prettamente residenziale 
2) rubare sempre le noccioline dell'aereo, non si sa mai, potrebbero venirti utili 
3) quando ti dicono che la cuoca non sta bene, uscire dal ristorante e cercare un bar, magari ti sbronzi lo stesso, ma è probabile che con l'aperitivo ti diano almeno uno stuzzichino 
4) cambiare gusti musicali 
5) il Pisco Sour è magnifico, ma picchia forte. 


PISCO SOUR 


2 bicchieri di Pisco - 1 bicchiere di zucchero semolato - 4 limoni - 2 albumi - 1 bicchiere di cubetti di  ghiaccio - angostura e cannella per decorare 


Mettere tutti gli ingredienti, tranne l'angostura e la cannella, nel frullatore. Quando si forma una bella spuma e il ghiaccio si è triturato versare nei bicchieri e decorare con una goccia di angostura e una spolverata di cannella. Servire immediatamente. 
per otto persone 

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