(...) La globalizzazione ormai si insinua quasi ovunque, anche in questo paese dove per anni la Coca Cola non ha trovato posto e ci si doveva accontentare del terribile, ma simpatico, surrogato, la Campa Cola. Adesso nei centri commerciali più alla moda si aggirano Babbo Natale vestiti di tutto punto con le loro casacche rosse bordate di simil pelliccia, i lori pantaloni larghi e gli stivali, saune ambulanti dato che nei giorni freschi nel sud del paese ci sono almeno ventisei gradi. A quelli del nord va meglio, ci sono giorni di dicembre a Delhi nei quali la temperatura si abbassa fino a sedici gradi, dando un po’ di refrigerio ai poveri Babbo Natale. Sono giorni, però, nei quali lo smog si comprime verso terra, tanto da sembrare una fitta nebbia, e passeggiare per le vie della città diventa un incubo corredato di lacrime e tosse. Per questo gli indiani amano molto i centri commerciali. (...)
(...) Parlare di cucina indiana non è un’impresa semplice. Le religioni con le loro restrizioni sono le protagoniste della gastronomia, come anche le varie tradizioni locali: regioni nelle quali si pesca, regioni dove si caccia, regioni rurali ad alto tasso di povertà, luoghi lacustri o fluviali. Ognuno di questi elementi modifica i piatti e le tradizioni costruendo le basi per una gastronomia mai noiosa e mai uguale a sé stessa. Per esempio a Goa, ex colonia portoghese, dove il cattolicesimo è la religione dominante si mangiano il maiale e le sue interiora, una tradizione che più portoghese non si può. I piatti più comuni sono il Vindaloo a base di carne di maiale o il Sorpotel con carne e fegato di maiale. Un piatto che farebbe inorridire un abitante di Delhi, dove si trovano molti musulmani, come del resto in gran parte dell’India del nord, che senz’altro preferirebbero un bel piatto di Sikandhari Raan, succulento, tenerissimo cosciotto d’agnello cotto per ore in un forno a legna. (..)
Estratto dal mio libro "Il Natale è Servito" - Ed. La Linea, Bologna
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