lunedì 30 gennaio 2012

ATTERRAGGIO A LAS VEGAS

Aereo in fase d'atterraggio
Per un certo periodo della mia vita ho vissuto a Las Vegas, non a lungo, giusto il tempo per imparare a conoscere i suoi ritmi e le sue contraddizioni, ma soprattutto per innamorarmi del deserto.
Sono arrivata in città una sera al tramonto, dopo un volo intercontinentale che non finiva più, un cambio eterno e litigioso all'aeroporto di Chicago - avevo le valigie troppo pesanti secondo la signorina del check-in, io la pensavo diversamente, e il nostro scambio di opinioni è stato piuttosto vivace; siamo arrivate ad un compromesso e lei mi ha fatto pagare solo metà dell'eccesso peso; la carta di credito non funzionava e, come a volte mi capita, non so per quale divino intervento, lei ha deciso di abbuonarmi tutto il carico in eccesso, un bel momento di fortuna, che avrebbe meritato una giocata immediata non appena scesa dall'aereo. A noi piace talmente giocare che abbiamo puntato un po' di dollari alla roulette solo l'ultimo giorno, tanto per dire di averlo fatto. Dicevo, un intercontinentale senza fine, una semi lite, ore di fuso orario sulle spalle, e ad accogliermi una temperatura decisamente sopra lo zero per essere il giorno dopo San Valentino. Schiacciata nel posto accanto al finestrino, costretta a non muovere nemmeno un muscolo in un aereo con la spazio gambe dedicato ai Puffi, guardavo fuori. Sotto di me il paesaggio dello Utah, con le sue montagne innevate e il suo lago salato, era diventato una distesa di colline aride e senza vegetazione, che si trasformavano in zone di sabbia sfumata dal bianco all'ocra, al marrone, fino al rosso di qualche canyon che si apriva come sospeso nel nulla.
L'arrivo a Sin City è decisamente spettacolare, da un lato il deserto, dall'altro le colline e le montagne aride che circondano la città, in mezzo i grattacieli lucenti. Si atterra in bocca allo Strip, questo è il nome con cui il mondo conosce il Las Vegas Boulevard, la pista finisce proprio dove inizia la strada più famosa della città, ci manca poco che non si veda il cartello stradale con la scritta "Welcome to Fabulous Las Vegas", che sta lì piantato dal giorno della fondazione. Durante la manovra di avvicinamento, se sei fortunato cominci a vedere gli alberghi "parco giochi", la Tour Eiffel del Paris spicca su tutti, è grande due terzi di quella vera, ma vedi anche qualcosa che assomiglia ad un cioccolatino rivestito di carta lucida marrone, il Whynn, affiancato dal suo gemello Encore; di fianco la Venezia di cartapesta del Venetian e, un po' più spostati, i merli e le torrette che paiono un gioco per bambini fatto di zucchero, à vous l'Excalibur. E quella sera nella luce del tramonto la città accendeva le sue luci, ma era ancora illuminata dai raggi radenti del sole, un momento sospeso. Una luce magica dorata, aranciata, che sfumava nel blu cobalto trasparente del cielo.  Una città irreale, surreale, che, se New York non dorme mai, non solo non dorme, gioca, scommette, mangia, beve, pecca, si fa puttana, madonna, tutto quello che vuoi, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Quella sera pareva magica, un leggero pulviscolo ti accoglieva all'apertura dei portelloni dell'aereo, da qualche parte doveva esserci stata una tempesta di sabbia, la luce era d'oro, d'argento e sangue. E poi il buio, non nero come l'inchiostro, ma blu come il mare, le stelle brillanti offuscate dal milione di watt dello Strip. La macchina aveva puntato il muso da sola, come se avesse il pilota automatico, verso la via principale. "Welcome to Fabulous Las Vegas" diceva il cartello, davanti a noi rutilanti, scintillanti, tutti gli alberghi-casino e un fiume di persone per strada, eccitate, allegre, vocianti, tutte pronte per ingoiare la notte, ognuna di loro pronta a fare quello che non avrebbe mai osato nemmeno pensare a casa. "What happens in Vegas, Stays in Vegas", quello che succede a Las Vegas resta a Las Vegas, dice il motto della città, e ognuno lo interpreta alla sua maniera. Quella sera abbiamo guidato a passo d'uomo fino in fondo allo Strip e da lì, passati gli alberghi più belli, c'è una strada a destra che si chiama Sahara Avenue, prende il nome da uno dei primi casinò nati in città, operativo ancora oggi, e noi quella strada l'abbiamo imboccata. Ecco se si guida piano, tutto dritto fino in fondo, passando per le zone depresse della città, dove niente luccica e tutto è torbido, proseguendo per le urbanizzazioni della media borghesia locale, scivolando in silenzio accanto alla villa di qualcuno che ha fatto fortuna; ecco, giù, giù fino in fondo, dove finisce bruscamente la strada, dove regna il silenzio e la brezza tiepida fischietta un motivetto sconosciuto nelle tue orecchie; ecco, in quel punto esatto, proprio lì, il deserto torna padrone, e le stelle ricominciano a brillare di luce propria.

2 commenti:

  1. Bello e interessante....come sempre.

    Sei già americana oppure ancora italiana de Milan?

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